Scrivo da uno sgabuzzino di Sarajevo trasformato in ufficio temporaneo. Si può lavorare ormai solo online. Il coronavirus è arrivato anche nei Balcani e ormai tutto sta chiudendo, come in Italia: scuole, negozi, uffici, mezzi di trasporto.
La situazione in Bosnia-Erzegovina
In Bosnia si sta impedendo alle persone al di sotto dei diciotto anni e al di sopra dei 65 anni di uscire di casa. Dalle diciotto di sera alle cinque del mattino vige il coprifuoco: cose mai viste dal tempo della guerra degli anni novanta che la gente ricorda ancora in maniera molto viva. Stanno tornando – per certi versi – lo stesso scenario e lo stesso clima.
A Banja Luka, nella repubblica serbo bosniaca, pare abbia sede il principale focolaio. Ma un altro focolaio è noto a Konjic, tra Mostar e Sarajevo. Qui, in città capitale, sono registrati ancora relativamente pochi casi. Ma si stanno facendo, secondo me, pochissimi test-tampone.
La situazione è sicuramente più seria di quanto dicano i numeri ufficiali. Il sistema sanitario in tutta la Bosnia Erzegovina è fragilissimo. La riproduzione di uno scenario “veneto” o “lombardo” determinerebbe migliaia di morti.
Abbiamo quindi dovuto rimpatriare, dall’oggi al domani, tutti i giovani collaboratori italiani: 2 caschi bianchi e 4 corpi civili di pace dalla Bosnia Erzegovina, così come altri 3 dalla Serbia, e 2 dall’Albania.
Caritas ha deciso per la soluzione di maggior sicurezza dei ragazzi. Sarebbe stato troppo rischioso trattenerli in servizio. Dopo poco sarebbe stato impossibile rientrare: la Bosnia, come altri stati, ha chiuso le frontiere.
Campi profughi: sbarrati dentro
Nei campi profughi lungo tutta la rotta balcanica – dalla Grecia, all’Albania alla Bosnia – la situazione è estremamente tesa e delicata. Si applicano misure restrittive di contrasto del contagio ovviamente anche ai migranti. C’è molta preoccupazione.
Si teme che il virus possa attecchire nei campi di accoglienza e di transito e da questi diffondersi più rapidamente. Sarebbe un disastro. In ciascun campo possono trovarsi insieme sino a 2.000 persone ammassate in spazi angusti e in condizioni igieniche precarie. Si tratta ovviamente di condizioni assai favorevoli al contagio.
Alcuni politici nazionalisti non mancano sciaguratamente di mettere all’indice i migranti quale causa di tutti i presenti mali. La storia si ripete. Le autorità temono pure che qualche migrante contagiato riesca ad attraversare i confini portando il virus in Europa, più di quanto lo stesso virus non sia già penetrato, ma senza alcuna possibilità di controllo sanitario.
Perciò stanno rendendo i campi profughi luoghi sempre più ermeticamente chiusi. Ad esempio, in Serbia è stato posto l’esercito a presidio degli accessi per tentare di azzerare ogni passaggio. In questa nuova e più grave situazione Caritas e le organizzazioni umanitarie cercano ancora di restare con i propri operatori. Ma non è escluso che a breve ci si veda costretti a mettere in “quarantena” anche tutte le attività di assistenza, in attesa di tempi, per così dire, migliori.
Gli italiani non dimenticano i Balcani
Sinora non è stato possibile notare in Bosnia l’influenza dello scenario turco-greco, con quanto avvenuto alle frontiere con la battaglia di Iblid in Siria e le provocazioni di Erdogan all’Europa. Non si capisce bene dove siano finite tutte le persone che avrebbero attraversato il confine. Se ne sa molto poco.
Prosegue tuttavia la nostra iniziativa di raccolta fondi a sostegno delle attività caritative di assistenza ai migranti nei campi e sullo snodo bosniaco di Bihac. L’idea di promozione è quella di “regali solidali” fatti in Quaresima. Pensavo che il dilagare del virus in Italia fermasse tutto.
In realtà gli italiani – ristretti in casa dai provvedimenti governativi – stanno rispondendo molto bene. Stanno mostrando attenzione e solidarietà. Forse perché hanno più tempo per informarsi su quanto sta accadendo nel mondo e quindi su quanto sta accadendo anche in Bosnia Erzegovina. Questo è di per sé positivo. La raccolta fondi prosegue anche attraverso la pagina dedicata del sito di Caritas italiana.
Terremoto in Croazia
Pochi giorni fa nei Balcani, come sappiamo, è arrivato pure il terremoto. In Croazia, a Zagabria in particolare, non è stata una cosa da poco. Anche se non ci sono state vittime, c’è stato il caos.
Soprattutto perché moltissima gente è stata evidentemente forzata da causa maggiore ad uscire di casa – rompendo l’isolamento voluto dalle autorità – riversandosi nelle strade e nei parchi: proprio ciò che non si voleva. Ora esiste il rischio che il virus si diffonda ancor più velocemente. I danni sono notevoli nel centro della città.
La cattedrale è stata danneggiata. La guglia di una delle due torri è precipitata schiantandosi sul tetto del palazzo vescovile, a pochi metri dalla stanza in cui si trovava il cardinale Bozanic. È molto seria – considerata pure l’attesa massiccia dei contagiati – la situazione dell’ospedale maggiore di Zagabria che è stato danneggiato, costringendo a trasferire tutti i pazienti all’esterno e quindi in altre strutture ospedaliere minori. Insomma, tutto questo decisamente non ci voleva. Si tratta di una fatica aggiuntiva in un momento di già grave difficoltà nei paesi balcanici.
Le conseguenze per la Bosnia-Erzegovina
Sto pensando alle conseguenze di ciò che sta accadendo, in Bosnia Erzegovina in particolare, ossia in quello che è divenuto il paese in cui vivo da anni con la mia famiglia. L’impatto economico sarà devastante.
Elevata è la probabilità che possano chiudere anche quelle poche attività imprenditoriali che faticosamente, dopo la guerra, avevano preso piede e che stavano sostenendo il paese. È facile prevedere che il fenomeno di emigrazione dei giovani e di spopolamento complessivo del territorio, già peraltro in atto, vedrà una forte accelerazione.
È per me difficile trovare ora motivi razionali per pensare in positivo ai Balcani dalla Bosnia. Da cristiani attendiamo comunque la luce della Pasqua.
- Daniele Bombardi è il coordinatore di Caritas italiana per la regione balcanica.
Dopo aver letto questo articolo posso dire che tutto il mondo sta passando un periodo di forte difficoltà perché ormai questo virus ha colpito tutti….ci sono poi i paesi piu in difficoltà che vanno sostenuti e aiutati piu di altri, ma per uscirne vittoriosi dobbiamo unirci tutti assieme e collaborare e tutte noi persone con un piccolo gesto possiamo dare un grande contributo. Personalmente io sono preoccupato piu per il “dopo” quando tutto questo sarà finito perche in qualche modo riusciremmo ad uscirne e spero proprio che tutto possa tornare alla normalità.
Prof volevo scusarmi per il ritardo ma ho avuto problemi con la conessione scusi ancora.