Saveriani a Parma: informazione e verità

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Che in tempo di epidemie ci si allarmi, è abbastanza normale, come è normale che nasca la tendenza alla caccia all’untore, allo scoop, al sensazionale. Questo produce la paura – a volte anche irrazionale – del contagio, la chiamata a tutto e tutti per salvarsi, e non di rado si attribuiscono, senza rendersi conto, delle responsabilità che non si possono scaricare onestamente né sulle strutture pubbliche e neppure sulle autorità.

Non c’è quindi da meravigliarsi troppo per quello che abbiamo letto su La Repubblica del 24 marzo, i cui toni da disperati hanno scosso molte persone. Una serie di telefonate hanno raggiunto i Saveriani (parlo anche a nome strettamente personale, anche se io abito lontano da Parma in provincia di Como), di persone amiche dei Saveriani chiedendo che cosa stava succedendo a Parma e perché nessuno interveniva.

L’articolo di Repubblica e la vita della comunità

In quel primo articolo si legge che quasi ogni giorno uno di loro, un Saveriano «muore in silenzio nel letto della sua stanza, che i Saveriani se ne vanno pregando fra le lenzuola della casa, la sede internazionale dei Saveriani a Parma». Che il mese di marzo sia stato un mese di lutti per noi Saveriani è una certezza che non si vuol negare né sminuire: perdere nel giro di un quindici giorni, o poco più, 13 confratelli non è affatto uno scherzo!

saveriani

Erano fratelli, amici, collaboratori di missione… Non è uno scherzo! Ma non si può essere neppure sicuri che si trattasse sempre di coronavirus, dato che le cose sono andate molto in fretta. Concludere tuttavia mettendo sulla bocca di un superiore la frase: «preghiamo, ci ammaliamo e moriamo. Ma adesso qualcuno deve venire ad aiutarci…» –  questo mi pare troppo, ed è questo tono da ultima spiaggia che ha suscitato tutto lo scalpore di cui sopra.

Ripeto che non sono qui a negare i fatti né a minimizzare l’avvenimento: è stata una quindicina di passione dura e dolorosa per tutti noi Saveriani e per quei confratelli che si occupano dei malati, perché va detto che i malati non sono stati lasciati soli a morire «fra le lenzuola del letto…», come abbandonati a se stessi.

Seguiti e accuditi, non certo soli

Sono stati seguiti fino alla fine dal nostro confratello medico Gildo Coperchio, responsabile del cosiddetto “quarto piano”, cioè dell’infermeria della Casa Madre. Certo, una volta scoperta la presenza del virus, ci si è resi conto di essere in ritardo e tardi si sono prese le necessarie precauzioni.

Sono stati lasciati a casa tutti gli operatori esterni dell’infermeria e sono entrati in funzione alcuni confratelli saveriani di buona volontà e in condizioni sanitarie accettabili per supplire quanto possibile. Non si è creato «fra i corridoi e le stanze un lazzaretto» (!), senza praticamente nessun medico a parte uno di noi… Ci siamo dovuti arrangiare, come hanno fatto tanti italiani normali. Certo, «la situazione è peggiorata», come ha detto il superiore della comunità regionale: «adesso c’è bisogno di aiuto, che qualcuno venga. Lo abbiamo anche scritto al sindaco [di Parma], detto alle autorità: serve un intervento tempestivo, venite a bonificare».

Ma dette così, le cose hanno ulteriormente suscitato preoccupazione e fatto crescere la paura non solo fra i parenti dei missionari, ma anche fra i numerosi amici che a Parma, soprattutto, sono da sempre molto vicini ai Saveriani e che non potevano leggere a cuor leggero l’articolo.

Come informiamo e perché lo facciamo?

Qualcuno dev’essere comunque intervenuto a far rettificare il tenore dell’articolo del 24 marzo e, nel numero del giorno seguente (25 marzo), lo stesso autore del precedente scritto chiama in causa la sig. Bianca Borrini del servizio di Igiene pubblica dell’Asl di Parma la quale afferma: «quando abbiamo ricevuto la prima chiamata che ci segnalava un’emergenza abbiamo subito attivato il protocollo ma credo che ormai, sinceramente, fosse tardi: il virus stava circolando già da qualche giorno nella casa dei Saveriani”.

Saveriani Parma

p. Gabriele Ferrari

Cosa del resto ben comprensibile in un complesso come è la Casa Madre di un istituto di missionari che comporta il passaggio, anche solo per un giorno, di molte persone, Saveriani e non,  provenienti dai diversi ambienti nazionali e non nazionali. Proprio all’inizio del mese c’era stato il funerale di un confratello bresciano per il quale, ovviamente, erano convenuti confratelli e amici di fuori Parma. Ma chi poteva immaginare che già il virus fosse in circolazione?

La sig. Borrini, che è la professionista che sta coordinando migliaia di richieste di soccorso in questo periodo «che mai avremmo immaginato», racconta che, nel caso dei tredici missionari morti in meno di quindici giorni a Parma nella sede dei Saveriani, l’“aiuto” da parte delle autorità c’è stato, ma «purtroppo, quando siamo stati avvisati, era già tardi per contenere il contagio».

La Borrini prosegue dicendo che, appena ci si è resi conto dell’emergenza, si è «fornita una prima assistenza telefonica e poi, nel tempo, sono stati lì una pneumologa, un medico del pronto soccorso, volontari del 118. Lì c’è già un medico, un missionario, che ha ricevuto istruzioni sull’isolamento». E prosegue: «tra la preoccupazione delle autorità e di tutti, abbiamo fornito anche materiale e medicine, ma ripeto: purtroppo il virus aveva già contagiato più persone. Molti dei missionari sono persone che hanno girato il mondo, che conoscono le guerre, l’ebola e… forse, per indole, all’inizio non si sono fatti spaventare dal virus, che probabilmente però, come detto, era già presente. Così sono iniziati i decessi».

Noi come milioni di altre persone

Vorrei infine ricordare che quello che è successo tra i Saveriani non è una cosa unica e che noi non possiamo sentirci privilegiati perché missionari o religiosi o gente di Chiesa. È quello che capita a tanti nostri fratelli e sorelle nel mondo e che si verifica soprattutto nelle RSA e nelle case per anziani o strutture assistenziali: non più tardi di questi ultimi giorni, ad esempio, è accaduto in una casa di riposo della provincia di Trento dove sono mancate una trentina di persone anziane.

Voglio concludere questo articolo, che non vorrei offendesse nessuno, ma che sento di dover scrivere e spero sia fatto conoscere, non solo ringraziando tutti quelli che si preoccupano di noi missionari Saveriani, ma anche invitando a pensare a tutti i malati di coronavirus e alle loro famiglie, e a cercare di fare una lettura quando possibile oggettiva dei fatti che sia insieme contestualizzata e non semplicemente un resoconto di numeri.

Coloro che informano sanno bene che se c’è – ed effettivamente c’è – un diritto all’informazione, questo deve essere onestamente coniugato con il rispetto per le persone e per la verità.

Tavernerio, 26 marzo 2020.

  • Gabriele Ferrari s.x., ex sup. generale dei Saveriani
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