È proprio vero che più di mezzo mondo sia fermo? Non è meglio dire che si sta muovendo moltissimo, ma con modalità totalmente inedite e rimanendo chiuso in casa?
L’Unione Europea ha faticato da principio ad ammettere che la risposta italiana alla crisi non fosse esagerata e ha impiegato qualche giorno a convincersi che fosse necessaria una risposta straordinaria ad una situazione straordinaria.
Le iniziative
Una volta compresa l’entità della crisi, però, il lavoro è diventato frenetico.
Una breve sintesi di quello che è successo nelle ultime due settimane ci dà un’indicazione di ciò che si è attivato.
- 28 gennaio: la Presidenza croata del Consiglio Europeo decide di attivare i dispositivi integrati dell’UE per la risposta politica alle crisi (IPCR), in modalità di “condivisione delle informazioni”;
- 24 febbraio: la Commissione annuncia aiuti per un valore di 232 milioni di euro, in parte per finanziare le iniziative di emergenza dei Paesi membri, gli investimenti in ricerca e il supporto all’OMS, il resto erogato nei mesi successivi;
- 10 marzo: il Consiglio Europeo interviene per coordinare il lavoro dei Paesi membri, concentrandosi su quattro priorità: limitare la diffusione del virus, garantire la fornitura di attrezzature mediche, promuovere la ricerca sul vaccino e affrontare le conseguenze socio-economiche dell’emergenza;
- 12 marzo: la Presidente della BCE, Christine Lagarde, presenta le misure per sostenere la liquidità delle banche. Tuttavia, riferendosi all’Italia e ad altri Paesi dell’eurozona, dà l’impressione di non essere disposta a difendere a tutti i costi la stabilità dei loro conti pubblici, innescando la reazione negativa dei mercati;
- 17 marzo: il Consiglio Europeo coordina la condivisione di materiale sanitario e il supporto a cittadini UE bloccati in Paesi terzi. Inoltre, vengono temporaneamente limitati i viaggi non essenziali verso l’UE per un periodo di 30 giorni;
- 18 marzo: il Consiglio Europeo approva la Coronavirus Response Investment Initiative di 37 miliardi di euro aggiunti agli 8 miliardi di investimenti sbloccati da diversi fondi europei e ai 29 miliardi di fondi strutturali a cui viene garantito in tutta l’UE per il 2020; lo stesso giorno la BCE vara il Pandemic Emergency Purchase Programme, un programma di Quantitative Easing di 750 miliardi di euro per tutto il 2020;
- 19 marzo: la Commissione Europea adotta un Temporary Framework che autorizza gli Stati membri a utilizzare la flessibilità prevista dalle norme sugli aiuti di Stato, per sostenere l’economia durante l’emergenza. Questa misura dovrebbe mettere gli Stati membri nella condizione di garantire liquidità sufficiente alle imprese e di preservare la continuità dell’attività economica durante e dopo la pandemia;
- 22 marzo: la Commissione europea approva la decisione del governo italiano di sostenere la produzione e la fornitura di dispositivi medici e di protezione individuale per un valore pari a 50 milioni di euro;
- 23 marzo: i ministri delle finanze UE concordano di allentare le norme fiscali dell’UE. I ministri decidono di applicare la massima flessibilità possibile nel quadro fiscale del Patto di Stabilità per garantire agli Stati membri la possibilità di adottare tutte le misure necessarie a sostenere i sistemi sanitari, la protezione civile e l’economia.
- 26 marzo: il Parlamento Europeo terrà una sessione plenaria speciale con votazione online per approvare le prime misure contro il coronavirus. Durante la sessione gli eurodeputati dovranno approvare la Coronavirus Response Investment Initiative e l’estensione del campo d’applicazione del Fondo di Solidarietà dell’UE, al fine di coprire anche le emergenze sanitarie.
Critiche da ridimensionare
Questo elenco, non esaustivo, dà un’indicazione dell’affiancamento importante che le istituzioni europee hanno attivato nelle ultime settimane.
È bene ricordare un aspetto: le istituzioni europee hanno competenza solo su alcune materie, tra le quali NON sono incluse le politiche sanitarie, quelle fiscali o di sostegno al reddito, e in generale tutte le politiche sociali.
La critica, che si è prontamente affacciata rispetto all’assenza o all’inefficienza dell’Europa, deve essere ridimensionata sulla base degli effettivi poteri che l’Europa detiene. Ciò non vuole minimizzare gli eventuali errori che sono stati commessi, ma serve per avere la giusta prospettiva, specialmente in vista delle future decisioni che dovranno essere prese.
E la fase che si apre innanzi a noi sarà una fase di grandi decisioni, ben oltre la fine della fase emergenziale che speriamo giunga presto.
La storia ci insegna infatti che momenti di cesura come quello che stiamo vivendo porta a due scenari: o a una situazione di inasprimento delle contraddizioni che erano già presenti nell’economia e nella società oppure a nuove forme di convivenza e di solidarietà globale.
Quale scenario prevarrà?
Il primo scenario è la conseguenza dall’inerzia decisionale, nella convinzione che si possa ritornare a essere esattamente ciò che eravamo prima della crisi. Tuttavia, l’inevitabile rallentamento dell’economia dato dalle misure di lockdown che sono state prese da quasi tutti i Paesi non farà che esasperare i divari già presenti, da molti punti di vista, specialmente per tutte le categorie più fragili. Per questo è più che mai necessario uno sforzo di elaborazione e di persuasione affinché prevalga il secondo dei due scenari, quello potenzialmente in grado di dare all’umanità una prospettiva più rosea.
Ma per far ciò si deve avere il coraggio di pensare fuori dagli schemi e di avere una leadership europea e globale che sia all’altezza della situazione. Ma c’è anche bisogno del supporto di tutti i cittadini. Non è sufficiente, infatti, quel senso di responsabilità dimostrato pur con qualche ritardo e qualche eccezione nella condizione di emergenza. Sarà ancora più importante che ciascuno si senta investito di un compito storico, quello della ricostruzione dopo la crisi.
E per far questo c’è bisogno di creatività, dote di cui gli italiani sono particolarmente dotati.
Gli italiani, i primi in Europa a essere investiti dalla diffusione dell’epidemia, potrebbero avere l’occasione di essere i primi a presentare proposte per il futuro veramente creative, che sappiano parlare con paradigmi nuovi.
Creatività cercasi
C’è bisogno di creatività per ripensare prima di tutto le istituzioni europee stesse. Non basta sforare il Patto di Stabilità, considerando quel patto ancora in grado di reggere una comunità che brancola nel buio rispetto alle dinamiche globali. Si può pensare che ci si accordi perché finalmente il budget dell’Unione sia più elevato e che ci sia molto più coordinamento in tante materie, a partire da quelle sanitarie? Si può immaginare che dobbiamo trovare la forza per siglare un nuovo patto di solidarietà?
Possiamo immaginare che, per superare il rallentamento economico che verrà da questa crisi, si dovranno rimettere in campo politiche economiche a livello europeo e globale più interventiste, di supporto sociale, redistributivo e di trasferimento della ricchezza, da parte delle istituzioni, oltre gli eurobond o, come sono stati ribattezzati, “Coronabond”? Saranno in grado gli Stati di cedere finalmente parte della propria sovranità per consentire che ci sia una risposta adeguata a emergenze globali?
C’è bisogno di creatività anche per ripensare ai diritti delle persone, alle loro libertà e alla loro privacy in un momento in cui la tecnologia si sta dimostrando un alleato preziosissimo, ma al tempo stesso forse un possibile strumento di controllo invasivo.
Cosa sta cambiando e potrebbe cambiare nella vita degli individui e delle famiglie, ora che finalmente si è sdoganato lo smartworking come modalità di lavoro? Siamo in grado di approfittare di questa occasione anche per ripensare al ruolo degli uomini e delle donne in famiglia e nel lavoro? Come sarà il modello educativo dopo questa esperienza di home-schooling forzato? Riusciamo a pensare anche in questo ambito fuori dagli schemi per trovare un maggior equilibrio ed equità oppure le disparità rischiano di aumentare?
Ancora, c’è bisogno di creatività per ripensare non solo all’organizzazione del lavoro, ma anche ai sistemi di produzione, che tengano conto del fatto che questa esperienza di inattività del mondo più produttivo e inquinante sta facendo calare le emissioni di CO2 in modo esponenziale, più velocemente di quanto si diffonda il virus.
Una volta finita l’emergenza, potremo tornare alle nostre usuali abitudini o ci sentiremo in dovere quantomeno di porci un po’ di più il problema, evitando viaggi inutili? E come facciamo a non uccidere la nostra economia e i nostri commerci senza creare estreme povertà? Come si definiranno le filiere produttive e la catena globale del valore? Le soluzioni di cui si inizia a parlare, di salvataggio nell’immediato della nostra economia, sono certamente indispensabili, ma non risolvono le questioni di fondo.
Collaborare oltre gli individualismi
Le questioni citate sono solo alcune tra quelle che si dovranno affrontare. E, come detto, si tratterà di un massimo sforzo creativo. E proprio perché di tali proporzioni mai come in questo momento tale creatività deve essere stimolata da un processo di collaborazione, di raccolte delle idee e dei progetti, che tengano conto delle diversità di prospettive. Insomma bisognerà lavorare insieme e in modo coordinato. E su ciò noi italiani ci siamo distinti solo nelle fasi di vera emergenza.
Quindi, oggi l’impegno che dovremmo tutti prendere è quello di metterci al servizio di una causa comune più grande, superando individualismi e operazioni di piccola portata per far confluire i nostri sforzi in un unico grande progetto di rilancio dei nostri sistemi di governo della collettività e di rispetto di noi stessi e dell’ambiente in cui viviamo.