Abbiamo dato nota su queste pagine delle diverse reazioni delle Chiese cristiane rispetto ai limiti sanitari imposti dalle autorità competenti anche relativamente al culto. La Chiesa cattolica, le Chiese protestanti storiche e le Chiese ortodosse di minoranza nei Paesi occidentali hanno accolto con disciplina, ma non senza qualche perplessità, le indicazioni degli stati. Maggiore resistenza da parte delle Chiese ortodosse (cf. SettimanaNews: «Ortodossia: il rito alla prova del virus»), con il caso critico della Chiesa ortodossa in Cechia e Slovacchia. Lo spettro va dalla chiusura totale delle chiese e delle celebrazioni (permesse solo a distanza), all’apertura della chiese (senza celebrazioni), a celebrazioni ridotte al minimo con numeri che permettano le distanze, fino a chi ignora i pericoli e si oppone alle autorità pubbliche.
Il caso brasiliano è diverso. L’autorità ultima, il presidente, Jair Bolsonaro, su sollecitazioni delle Chiese evangelicali (che costituiscono un punto nevralgico del suo bacino elettorale), ha reintrodotto nel decreto governativo (26 marzo) la celebrazione dei culti fra i servizi considerati “essenziali” e quindi frequentabili da tutti. Aveva in precedenza fortemente criticato quei governatori locali che avevano applicato rigorosamente le indicazioni governative accusandoli di voler fare «terra bruciata» del paese. Dietro l’ottusità presidenziale si intravvedono alcune figure di pastori neopentecostali come Everaldo Dias Preira che nel 2016 ha battezzato Bolsonaro nel Giordano (era già battezzato come cattolico) e Silas Malafaia che ha ospitato nel suo mega-tempio il presidente in più occasioni. Quest’ultimo ha detto ai suoi fedeli: «Cari amici, non inquietatevi a causa del coronavirus. È la tattica di Satana per alimentare la paura». Del resto il motto elettorale di Bolsonaro diceva: «Il Brasile sopra tutto e Dio sopra tutti».
Teologia della prosperità senza croce
Un giorno dopo, il 27 marzo, un giudice dello Stato di Rio de Janeiro, ha annullato l’istanza del decreto presidenziale non riconoscendo come «necessarie» le celebrazioni cultuali che, contrariamente ai dettami dei medici «incoraggiano la concentrazione e la circolazione delle persone» mettendo in pericolo la salute pubblica.
Su questo si ripropone la tensione fra Chiesa cattolica e potere di destra, ma anche con l’avventurosità delle Chiese neoprotestanti. Frizioni col governo si sono registrate prima e durante la celebrazione del Sinodo sull’Amazzonia. In una dichiarazione della Conferenza episcopale si suggerisce di «rimanere a casa», dando ragione agli esperti e alle esperienze internazionali. «Le strategie di isolamento sociale, fondamentali per contenere la crescita accelerata del numero di persone colpite da coronavirus sono mirata a far fronte alla situazione che, seppur grave, può essere affrontata in maniera ordinata». «È giunto il momento di affrontare questa pandemia con lucidità, responsabilità e solidarietà». Sulla stessa linea il commento dell’arcivescovo di Rio, J. Tempesta: «Dobbiamo rimanere a casa in quarantena». Così anche il vescovo W.O. de Azevedo, vescovo di Belo Horizonte: «Restate a casa. È l’indicazione delle autorità sanitarie competenti e sensate. Facciamo il possibile per contribuire alla costruzione di una società giusta e fraterna».