Mons. Daniele Gianotti, vescovo di Crema, invia una lettera pasquale a tutta la sua diocesi, nella quale segue il ritmo della preghiera e delle celebrazioni della Settimana Santa. Un invito a rimanere nel tempo della liturgia anche quando le sue forme abituali non sono praticabili a causa delle disposizioni della CEI e del governo italiano per far fronte alla pandemia del Coronavirus.
«Dapprima siamo stati esiliati e da tutti perseguitati e caricati a morte; tuttavia abbiamo celebrato anche allora la festa pasquale. Ogni luogo, dove si soffriva, fosse esso un campo, un deserto, una nave, una locanda, un carcere, diveniva come un tempio per le assemblee sacre; i martiri perfetti celebravano una festa più perfetta di tutte, partecipi del convito celeste» (Dionigi Alessandrino, in EUSEBIO, Storia ecc. VII, 22, 4).
Le parole riportate qui sopra sono di Dionigi, vescovo di Alessandria in Egitto verso la metà del terzo secolo. Dionigi racconta di una celebrazione della Pasqua avvenuta all’epoca della persecuzione di Decio (249-251). Si trattò di una Pasqua celebrata non nei luoghi di culto, ma «in ogni luogo dove si soffriva»: nei campi, nei deserti, su una nave – una galera – o in prigione… eppure, la Pasqua fu celebrata. Fu celebrata non con dei riti, ma attraverso la tribolazione dei cristiani, tribolazione che li unì, nel modo più forte che ci potesse essere, al passaggio di Gesù Cristo da morte a vita.
Una Pasqua «anomala»
Mi è tornato in mente questo testo, letto per la prima volta tanti anni fa, nel momento in cui ho deciso di scrivervi questa lettera pasquale, chiedendomi come potevo accompagnare la mia Chiesa, le nostre comunità, con i loro pastori, verso la celebrazione della Pasqua così singolare che ci aspetta in questo 2020. Ho pensato a quei cristiani che, diciotto secoli fa, non avevano chiese, erano soggetti a persecuzioni, partecipavano anche allora dei mali di tutti (Dionigi racconta che dopo quella Pasqua ci fu anche una pestilenza, e che i cristiani si distinsero nel soccorso ai malati, cristiani o pagani che fossero…), eppure celebrarono la Pasqua: e ritennero anzi quella celebrazione, quella Pasqua di passione, il modo migliore per «fare Pasqua».
Insieme con la testimonianza di Dionigi di Alessandria, mi sono venute in mente le parole con le quali Gesù apre l’ultima cena, secondo il racconto di Luca: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (22, 15-16).
Il desiderio della Pasqua attraversa tutta la vita di Gesù: perché è il desiderio di portare alla verità la sua dedizione al Padre e il suo amore per i fratelli, è desiderio del compimento del disegno di salvezza, di completare l’«esodo» (cf. Lc 9, 31) e di arrivare alla terra promessa.
Da parte nostra, abbiamo sperato che l’emergenza sanitaria, incominciata in Lombardia pochi giorni prima dell’inizio della Quaresima, si potesse concludere presto. Abbiamo desiderato che le nostre chiese, svuotate per le misure di sicurezza alle quali abbiamo aderito subito, con sacrificio e senso di responsabilità, potessero riempiersi per lasciare risuonare l’alleluia pasquale…
E invece, anche se non siamo perseguitati, la nostra Pasqua assomiglierà a quella descritta da Dionigi di Alessandria. Anche se vi saranno celebrati i riti previsti, le nostre chiese dovranno rimanere vuote. A noi la sfida di far sì che ogni luogo nel quale ci troveremo, nei giorni santi – e principalmente le nostre case – diventino luogo della «festa» cristiana per eccellenza, luogo di una santa Pasqua.
È per questo che ho pensato di scrivere, un po’ di getto, questa «lettera pasquale». Non volevo limitarmi a comunicare le norme e i decreti emanati per la Chiesa universale o le scarne indicazioni date alle Chiese in Italia. Ho pensato che fosse mio dovere provare ad accompagnarvi con qualche indicazione insieme pastorale e spirituale, e dare qualche suggerimento per celebrare la Pasqua nelle nostre case.
Non siate solo «spettatori»
Le settimane dell’emergenza sanitaria sono state anche le settimane dell’esplosione delle trasmissioni di celebrazioni di ogni genere: in televisione, per radio, in diretta streaming sui vari social… Potrebbe essere questa la «soluzione»? I riti della Settimana santa presieduti dal Papa saranno trasmessi in vari modi, così pure le celebrazioni del vescovo, in alcuni casi anche quelle della parrocchia: potremmo «seguire» la Settimana santa in questo modo.
Parafrasando la Lettera di Giacomo, che invita a non essere solo «ascoltatori», mi permetto di dirvi: non siate solo «spettatori». Penso che sarebbe un errore affidare il nostro desiderio di vivere la Pasqua principalmente ai mezzi di comunicazione. Ve lo dico con chiarezza: se siete indecisi tra, che so, il seguire via streaming la celebrazione della Passione del Signore presieduta dal vescovo e, invece, fermarvi, personalmente o in famiglia, per mezz’ora, a leggere insieme il racconto della Passione e a fare un breve memento di preghiera davanti al Crocifisso, scegliete questa seconda strada.
Sentitevi protagonisti, e non solo spettatori. Intendiamoci: l’unico vero «protagonista» è il Signore Gesù Cristo, nel mistero della sua Pasqua. Rispetto a questo, siamo tutti «spettatori» (cf. Lc 23,48). Però la liturgia è un invito a «entrare» anche noi nel cammino pasquale del Signore; e a entrarci appunto «attraverso i riti e le preghiere» (concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium 48), per essere sempre più conformati a lui, nella sua passione d’amore che apre la via della gloria, della gioia, della vita piena.
Ciò che abbiamo perduto nelle settimane scorse non è soltanto il fatto di trovarci insieme in chiesa: sono anche le «cose» che facciamo in chiesa, a mancarci. È vero, a volte le facciamo malamente: per male che siano fatte, però, non possono essere surrogate troppo a lungo solo dagli schermi.
È pur vero che rischiamo di rimanere solo spettatori anche quando siamo in chiesa. Ebbene, forse è proprio questa l’occasione buona per cambiare. Il Battesimo che abbiamo ricevuto ci abilita a qualcosa di più: ci abilita a vivere quel sacerdozio che abbiamo ricevuto, e che è diverso certo da quello dei preti, ma che si esprime anche nella preghiera, nella lode, nella liturgia, che si può compiere in tanti modi.
Sento, naturalmente, l’obiezione possibile: non siamo capaci, non l’abbiamo mai fatto… (eh sì, purtroppo: e questa emergenza dovrà farci riflettere, anche a questo proposito). Il senso di questa lettera è anche quello di dare un piccolo contributo perché possiate farlo: perché possiate celebrare la Pasqua in casa, e non soltanto assistere alle celebrazioni trasmesse in vario modo.
Naturalmente, l’una cosa non esclude l’altra: assistere alle celebrazioni teletrasmesse ci può aiutare a sentirci meglio parte della Chiesa nelle sue varie dimensioni: parrocchiale, diocesana, universale. Il mio intento non è certo quello di “vietarvi” di assistere così ai riti della Settimana santa, ma di invitarvi piuttosto a non fermarvi solo a questo.
In questi giorni l’Ufficio liturgico nazionale della CEI ha pubblicato un Sussidio per la celebrazione della Settimana santa in casa e in famiglia: è disponibile in formato digitale in tanti modi, e Il Nuovo Torrazzo lo ha stampato in un inserto allegato al numero del 4 aprile. Lì troverete suggerimenti, proposte, testi di preghiera ai quali anch’io farò riferimento. Non è un testo «obbligatorio» ma, piuttosto, uno strumento, un sussidio, appunto, per non trovarci proprio senza niente in mano. Ciascuno ne faccia l’uso che può, e che riesce.
Qualche indicazione pratica
Un modo di «guardare». Anche per quanto riguarda televisione, computer ecc., c’è modo e modo di essere «spettatori». Il corpo non è insignificante, per la nostra vita di fede. Se decidiamo di seguire una celebrazione trasmessa in TV o in diretta streaming, cerchiamo di farlo con compostezza e raccoglimento – e, naturalmente, evitando il multitasking. Soprattutto in famiglia, sarà utile tenere in qualche posizione non troppo lontana dallo schermo un segno che ci aiuti: il crocifisso, un’icona, la Bibbia, un cero acceso…
Luogo di preghiera. Dove possibile, in base a come sono fatte le nostre case, sarebbe utile realizzare un piccolo «luogo di preghiera», che rimane dedicato solo a quello (potrebbe essere, ad esempio, dove a Natale mettiamo il presepe); anche in questo caso, con qualche segno come la croce, la Bibbia, un’icona, un cero, qualche fiore… Lì, possibilmente, ci si raduna per la preghiera.
In famiglia o da soli. Le indicazioni e i suggerimenti ai quali farò riferimento sono offerti soprattutto alle famiglie e comunque alle case dove ci sono più persone. So bene che molti vivono da soli, e chi è solo ha esigenze diverse, anche per la preghiera. Anche chi è solo potrà avere comunque un aiuto dai testi proposti; qualche volta, forse, ci si può organizzare anche con il telefono, per vivere un momento di preghiera almeno con la «presenza» di una voce che si unisce a noi e ci fa sentire meno soli.
Le celebrazioni che vengono suggerite nel Sussidio CEI non sono troppo complicate. Chiedono però una piccola preparazione, dando un’occhiata previa a cosa viene proposto, per decidere che cosa e come fare. In famiglia, i vari testi della preghiera possono essere distribuiti tra i presenti; è bene che il papà o la mamma introducano e concludano la preghiera (cf. i testi indicati con «G» [= Guida]).
La Parola di Dio. È un elemento fondamentale di ogni preghiera cristiana. È l’occasione buona per tirare fuori la Bibbia. Nel Sussidio CEI i testi sono riportati per esteso; ma è bene che la Bibbia, o almeno il libro dei Vangeli, sia sempre presente e visibile dove ci si trova per la preghiera.
Domenica delle Palme della Passione del Signore
La Settimana santa si apre con la «domenica delle Palme». Questo, almeno, è il nome con il quale siamo soliti chiamare questa domenica speciale e molto sentita, per via del segno delle palme – diventato piuttosto, nella nostra tradizione, il ramo d’ulivo: ramo ricordato, peraltro… in nessun punto dei vangeli! L’ingresso festoso di Gesù a Gerusalemme avvenne mentre egli era vicino al «monte degli Ulivi» (cf. Mt 21,1): per questo, forse, si è pensato che i rami tagliati degli alberi e stesi sulla strada al passaggio di Gesù (cf. Mt 21,8) fossero, appunto, rami d’ulivo.
Poco importa: questo ramo è diventato per noi un segno di benedizione e di pace, e qualche volta si ha l’impressione che portare a casa il ramo d’ulivo benedetto sia la cosa più importante di tutte le feste pasquali. Qualcuno, forse, in questa Pasqua così fuori dall’ordinario, sarà più rammaricato della mancanza del ramo d’ulivo che di ogni altra privazione.
Ci mancherà – chissà – la processione festosa (che dovrebbe riservare un posto privilegiato ai bambini e ai ragazzi: cf. Mt 21,15-16) con la quale rievochiamo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Il fatto è che la «domenica delle Palme» si chiama anche «della Passione del Signore». Nel giro di pochi minuti, la liturgia ci fa passare dalla baraonda festosa che accompagna l’ingresso di Gesù nella città santa, alla folla che grida a Pilato: «Sia crocifisso!»; dai discepoli che accompagnano con gioia il Signore, agli stessi discepoli che si danno alla fuga, quando Lui si consegna nel Getsemani.
Il passaggio sembra troppo brusco. Ma questo è il mistero pasquale, nel quale gioia e dolore, lode e tradimento, esultanza e imprecazione sono strettamente legate. E Gesù è presente a tutto e in tutto. Il mistero della Pasqua, che anticipiamo in questa domenica, ci dice che Dio, nel suo Figlio, si accompagna a tutta la nostra vita: alle sue gioie e ai suoi dolori, alle giornate di festa come a quelle del lutto, alle delusioni come alle speranze… Cosa c’è di più «adatto» ai tempi che stiamo vivendo?
Nel Sussidio CEI trovate le indicazioni e le proposte per una celebrazione in casa della Domenica delle Palme.
Invocare il perdono di Dio
I giorni della Settimana santa sono quelli nei quali ci si accosta più del solito al sacramento della Penitenza, per prepararsi a celebrare degnamente la Pasqua e, in particolare, per ricevere la Comunione pasquale: è giusto che sia così. È vero, lo si farà anche per abitudine, lo si farà per via di poter poi «soddisfare il precetto pasquale…». Ma il Signore può raggiungerci anche attraverso le abitudini, e farci capire ancora una volta che precisamente la sua Pasqua è la rivelazione definitiva dell’amore di Dio che per dona e salva.
Le misure di sicurezza imposte dall’emergenza che stiamo vivendo rendono molto difficile, e anzi concretamente impossibile, salvo pochissime eccezioni, la celebrazione della Penitenza con la confessione personale e l’assoluzione. Ora, confessarsi personalmente e ricevere l’assoluzione – ci ricordano la tradizione e la disciplina della Chiesa – è, di per sé, il solo modo ordinario per riconciliarci con Dio e con la Chiesa, quando siamo consapevoli di peccati gravi.
Qui dobbiamo sottolineare l’aggettivo «ordinario», perché ci troviamo in una situazione straordinaria, nella quale è concretamente impossibile – e non per cattiva volontà dei singoli – confessarsi personalmente e ricevere l’assoluzione.
Ma Dio non è certo impossibilitato a raggiungerci con il suo perdono, in una situazione di questo genere. Intendiamoci bene: non si tratta di «confessarsi da soli», come è stato detto banalmente in qualche titolo di giornale. Si tratta, invece, di implorare umilmente e seriamente il perdono di Dio per i nostri peccati: il che richiede fiducia in Dio, un sincero pentimento, la volontà di allontanarsi dal peccato, di riparare in quanto possibile il male inflitto ad altri e di cambiare vita. È tutt’altra cosa, che una facile «autoassoluzione»!
Forse Dio ci dà una grazia speciale, in questo tempo così anomalo: quella di prendere sul serio, anche più del solito, la questione del male che è in noi, e del perdono di Dio, senza il quale non possiamo vivere – e anche la questione del perdono reciproco, che pure ci è indispensabile. E chissà che non torniamo poi a confessarci con più sincerità e profondità!
Non ci autoassolviamo, dunque: ma ci mettiamo davanti a Dio, gli chiediamo sinceramente perdono dei peccati, ci proponiamo anche di confessarci, appena ciò sarà concretamente possibile, e ci affidiamo alla sua misericordia, capace di guardare nella profondità del nostro cuore e di riconoscervi il desiderio di convertirci, con la grazia che ci viene dalla Pasqua del Signore.
Vi suggerisco di cercare un momento specifico, in cui fare questo, nei primi giorni della Settimana santa. Il Mercoledì santo ho proposto ai preti di celebrare, anziché la Messa, una liturgia penitenziale, dandovi comunicazione di quando questo avverrà. In corrispondenza con questa celebrazione, nelle vostre case, potreste vivere questo gesto di richiesta del perdono di Dio. In ogni caso, potete farlo nel momento che riterrete più adatto: e potete farlo, naturalmente, sia da soli che in famiglia.
Potreste rileggere la parabola del «Padre misericordioso» (Luca 15,11-32); e poi, nella vostra preghiera personale, ringraziare Dio per tutti i suoi doni, compiere un esame di coscienza nel quale mettere davanti a Lui i vostri peccati, recitare il Salmo 51/50 – il Miserere – per chiedere il perdono di Dio; dite finalmente il Padre nostro (nel quale chiediamo a Dio di «rimettere i nostri debiti» ma «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori»), e poi ringraziate Dio, con un salmo di lode, con il Magnificat, con una vostra personale preghiera di ringraziamento…
E non dimenticate di compiere un gesto penitenziale, meglio se di carità (ad es. una telefonata a una persona sola, anziana…), anche come primo passo della novità di vita che il Signore vi dona con la sua Pasqua.
Il Triduo santo
Secondo la tradizione della Chiesa, il Triduo santo – momento culminante dell’anno liturgico – è il triduo del Signore «crocifisso, sepolto e risorto». Corrisponde, dunque, ai giorni del venerdì santo, sabato santo e domenica di Pasqua.
Durante questi tre giorni, accompagniamo il Signore che si consegna nelle mani degli uomini, come Agnello mansueto; lo contempliamo mentre viene «innalzato da terra» sul patibolo che è, al tempo stesso, il trono di gloria da dove Egli regna vittorioso; sostiamo in silenzio presso il suo sepolcro, che è l’abisso del «regno dei morti», dove Egli scende, per giungere fino all’estremo della nostra perdizione; e ci lasciamo raggiungere dal lieto annuncio del mattino di Pasqua, quando la tomba vuota ci rivela che l’amore di Dio è più forte della morte, e che Colui che gli uomini avevano respinto e buttato via, come «pietra scartata», Dio l’ha raccolto per farne la pietra angolare, il fondamento dell’umanità redenta.
Il giovedì santo e la Messa «nella cena del Signore»
Come un prologo, il giovedì santo ci fa guardare al senso complessivo del mistero pasquale, e ci ricorda dov’è che il Signore ha voluto «consegnarlo» a noi: nell’eucaristia, memoriale della morte gloriosa del Signore e sacramento del suo amore per noi: sacramento che ci impegna poi a vivere secondo la «logica» pasquale ed eucaristica della vita donata. Il gesto della «lavanda dei piedi» ricorda che Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, lì amò fino alla pienezza» (Gv 13,1), fino al dono totale di Sé, che si compie precisamente sulla croce.
La sera del giovedì santo, il Signore ci consegna entrambe le cose: l’eucaristia e la lavanda dei piedi. Esse sono inseparabili, sono insieme dono e compito: il dono insuperabile dell’amore di Gesù per noi, che riceviamo nel suo Corpo e nel suo Sangue, prima e al di là di ogni nostro merito e «diritto» (anche per questo motivo sopportiamo con pazienza il «digiuno eucaristico» che dura ormai da diverse settimane); e il compito di diventare anche noi “segno e strumento” dell’amore di Dio per i fratelli, nell’umile servizio che ci rende conformi a Cristo – lui che sta a tavola «come colui che serve» (cf. Lc 22,27).
Ci è mancato nelle settimane scorse e, purtroppo, ci mancherà anche in questo giovedì santo, e ancor più la domenica di Pasqua, il dono di poter comunicare al Corpo e al Sangue del Signore. Abbiamo avuto, però, il dono di tanti esempi di «lavanda dei piedi», in particolare ai letti degli ammalati negli ospedali, o nelle residenze per anziani. Sì, la Pasqua è «mortificata» nelle nostre chiese, quest’anno, ma certo non nei luoghi nei quali si soffre. In quei luoghi, la Pasqua è «glorificata» dai gesti di cura amorevole per il prossimo, negli atti di carità, piccoli e grandi, conosciuti e sconosciuti, di queste difficili settimane.
Ci conceda il Signore di nutrirci di questi gesti, per capire anche meglio la grazia straordinaria di poterci riaccostare, speriamo presto, alla sua Cena, che ci fa essere il suo Corpo ancora vivente in mezzo al mondo.
Per la celebrazione in casa del mistero del giovedì santo vi rimando ancora una volta al Sussidio CEI. Mi permetto di suggerirvi, se ve la sentite, di ricordare anche il gesto della lavanda dei piedi.
Dopo la lettura della pagina della prima lettera ai Corinzi, che ricorda l’istituzione dell’eucaristia, potreste leggere anche il vangelo di Giovanni che racconta appunto della lavanda dei piedi (13,1-15): e poi ripetere il gesto del Signore. Vi occorrono una brocca con dell’acqua tiepida, una bacinella e un po’ di sapone, qualche asciugamano… e, naturalmente, la consapevolezza che non si tratta di un gioco, ma di un gesto bello e impegnativo, che il papà o la mamma potrebbero fare per i figli, o anche l’uno per l’altro.
Una preghiera per i vostri preti. Il giovedì santo è anche un giorno dedicato in modo particolare ai preti che, di solito, si radunano per la «Messa del Crisma» al mattino e, in questa occasione, rinnovano insieme con il vescovo gli impegni presi nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.
Quest’anno non la potremo celebrare, per lo meno non nella data del Giovedì santo ma… chissà quando. Vi chiedo però una preghiera per i vostri, i nostri preti, in particolare in quel giorno.
Ho già avuto occasione di dirlo, ma lo ripeto: certamente è una fatica enorme essere privati dell’eucaristia, specialmente nella messa domenicale. Vi prego di credere che anche per i preti è una fatica enorme celebrare senza la presenza fisica, visibile, delle proprie comunità. Vedere le chiese vuote, gli oratori deserti, non poter visitare le famiglie, portare loro la benedizione… è una grande sofferenza. Dite una preghiera per i vostri preti e, magari, proprio nel giorno del giovedì santo, mandate loro un messaggio, una parola di augurio, assicurate loro il ricordo nella preghiera: gli farà un gran bene.
Venerdì santo – Passione del Signore
C’è stato un tempo nel quale, nei primi secoli della Chiesa, in alcuni luoghi la Pasqua era strettamente associata alla passione del Signore: si pensava (sbagliando, ma poco importa…) che anche la parola «Pasqua» avesse lo stesso significato di «passione». Celebrare la Pasqua voleva dire celebrare la passione gloriosa del Signore. Non solo la passione, non solo la sofferenza: ma la passione in quanto splendente di gloria, l’«innalzamento» del Signore sulla croce che è già in sé stesso innalzamento nella gloria e nella vita di Dio, come è chiaro anche nel racconto della passione secondo Giovanni, che si legge appunto nella liturgia del venerdì santo. Anche il testo di Dionigi di Alessandria che ho citato all’inizio di questa lettera riflette questa concezione: per questo i luoghi di sofferenza possono diventare luoghi della celebrazione piena della Pasqua.
Mai come quest’anno possiamo fare nostra questa prospettiva. E sentire così che le circostanze che stiamo vivendo non ci stanno «derubando» della Pasqua: se mai, ce la stanno restituendo, perché ci aiutano ad andare all’essenziale.
Un grande testimone di questo «stile di Pasqua», il beato Pierre Claverie, vescovo in Algeria, ucciso nell’agosto del 1996 e beatificato insieme con altri diciotto fratelli e sorelle – tra i quali i monaci trappisti di Tibhirine – pure uccisi in quegli anni in Algeria, scriveva così: «Le crisi che attraversiamo, la morte che sfioriamo, ci costringono a rivelare le nostre ragioni di vivere… Le scosse e gli impoverimenti che c’impongono le circostanze difficili possono essere benefici se dissipano le illusioni e le false apparenze. Si tratta di altrettante “morti”, di strappi a volte dolorosi, senza i quali rischiamo di vivere alla superficie di noi stessi, unicamente preoccupati delle apparenze ed esposti a qualsiasi crollo. La nostra vita può allora diventare più giusta, più forte e più vera.
Tutto ciò si compie nel mistero pasquale. Non solo nei giorni in cui la morte e la vita si affrontano sul Golgota, ma nel movimento di tutta l’esistenza credente, che si svolge sotto il segno del passaggio dalla morte alla vita. Allora la morte non è più il recinto in cui va a inciampare ogni speranza, ma la soglia di una vita nuova, più giusta, più forte e più vera. Non è più la negazione della vita, ma la condizione della sua crescita e della sua fecondità…
La Passione di Gesù è, prima di tutto, passione per colui che viene da lui chiamato: Abbà! Padre. Non è una pulsione di morte, ma una passione d’amore. Amore ricevuto dal Padre e vita data in cambio perché questo amore possa essere condiviso e sparso su tutta l’umanità… Prendere la propria croce al seguito di Cristo, come esplicitamente ci chiede, significa perciò accedere lucidamente insieme a lui al dono della vita per continuare l’opera creatrice di Dio Padre… L’amore ci fa partecipare a questa creazione, che si rinnova continuamente nella fede e nella speranza. È il senso della nostra vita, della nostra morte e della nostra risurrezione: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16)».
Non saprei dire meglio di così il senso del venerdì santo di quest’anno, che vi invito a celebrare accogliendo le proposte che troverete sul Sussidio CEI: e ricordandovi anche il valore del digiuno, che viene richiesto a noi credenti in modo particolare proprio oggi. Anche chi non è obbligato potrà pensare a come scegliere una forma di digiuno che esprima la nostra libertà interiore, per stare insieme con il Signore e anche dalla parte di tutti quelli che si sentono schiacciati dalla tribolazione.
Sabato santo
C’è qualcosa di «innaturale», in queste settimane: il grande silenzio che grava sulle nostre città e sui nostri paesi – interrotto quasi soltanto, soprattutto giorni fa, dal suono delle sirene delle ambulanze. È un silenzio a cui non siamo abituati, e che in certa misura anche ci sgomenta. È un silenzio al quale vi invito a prestare particolare attenzione soprattutto il giorno del sabato santo. È il giorno in cui la Chiesa veglia presso il sepolcro del Signore, e tace. Non del tutto, perché continua a pregare; ma lo fa con una consapevolezza diversa da quella di tutti gli altri giorni.
Il Signore è morto, la sua parola è stata messa a tacere, i suoi gesti spazzati via da una condanna ingiusta. La Chiesa si affaccia su questa possibilità. Il sabato santo fa trapelare che cosa sarebbe il mondo, senza la presenza di Dio. Che ne sarebbe delle nostre speranze, dei nostri sogni e desideri, dei nostri progetti? Che ne sarebbe di noi, di ciascuno di noi, dei nostri cari – dei tanti che in queste settimane hanno oltrepassato le soglie della morte, per andare… dove?
Dovunque siano andati, hanno incontrato il Signore Gesù. Perché il sabato santo è anche il giorno del Signore nello sheól, nel regno dei «morti»: «discese agli inferi», diciamo nel Credo. Discese fino all’estremo più lontano, più perduto, più abbandonato. Nella sua solidarietà con noi, è arrivato fin laggiù, per prendere per mano Adamo, Eva, e cioè tutti noi, questa nostra umanità così fragile e spaurita, e trascinarci con sé verso il Padre.
Il Sabato santo è il giorno in cui le braccia del Signore, aperte sulla croce e composte nel sepolcro, abbracciano tutti, ma proprio tutti e tutto: l’impegno dell’uomo, la sua fatica, e anche – e soprattutto – ciò che a noi sembra «in perdita», inutile e vano. Tutto il Signore raccoglie, perché niente vada perduto e tutto sia trasfigurato nella gloria del Padre.
Vi invito a sostare nella preghiera in questo giorno, ad ascoltare questo silenzio; a percepire che la materia di questo silenzio non è il vuoto della morte, ma la Vita, che silenziosamente si prepara a germogliare. È anche il momento giusto per ricordare i nostri morti e chiedere per loro la partecipazione piena alla vita di Dio.
La Veglia della notte di Pasqua
«Notte più chiara del giorno, notte più bianca della neve; l’oscurità, luminosa più del sole, fa impallidire le nostre lampade accese»: così un vescovo del quinto secolo, Asterio di Amasea, cantava la notte pasquale, nella quale i cristiani vegliano per partecipare, con la fede e i sacramenti, al passaggio di Cristo da morte a vita.
Primo Levi, in una sua poesia del 1982 dedicata alla Pasqua (ebraica), scriveva così: «Passeremo la notte a raccontare / Lontani eventi pieni di meraviglia…». Mi verrebbe da dire: se ne avete voglia, a costo di fare un piccolo sforzo, leggetevi al completo tutte le sette letture della Veglia pasquale, a cui seguono l’epistola e il Vangelo della risurrezione. Lasciatevi cullare dal lungo racconto della salvezza di Dio, della sua Pasqua preannunciata nella luce che vince le tenebre del mondo, nel sacrificio di Isacco, nel passaggio del mare, nelle sventure e nelle promesse dell’esilio…
È bello immergersi in questa storia meravigliosa, che in modi diversi racconta sempre la stessa cosa: e cioè il desiderio inesauribile di Dio di farci passare dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dalla tribolazione alla gioia, dall’avvilimento alla speranza. Dio non desidera altro, per noi, che la Pasqua: quella Pasqua che si è compiuta in un modo unico e insuperabile nella vicenda di Gesù di Nazaret, e alla quale noi siamo stati associati a partire dal nostro Battesimo: sepolti con Cristo nella morte, per partecipare alla novità della sua vita di Risorto; viventi per Dio, in Cristo Gesù, nella potenza dello Spirito, che porta nel mondo il soffio della Pasqua.
Nelle nostre case possiamo ritrovare – come proposto anche dal Sussidio CEI – almeno alcuni dei segni che la liturgia utilizza, per farci vivere la grazia della Pasqua del Signore: la luce del cero, «luce di Cristo», che possiamo accendere e anche mettere alla finestra, mentre nelle chiese, purtroppo a porte chiuse, si celebra la Veglia; la Parola di Dio, ricca, sovrabbondante, nelle pagine della Scrittura; l’acqua, ricordo del Battesimo che ci ha fatto entrare per la prima volta nella Pasqua del Signore…
Ci mancherà, sì, ci mancherà ancora l’ultimo segno: il Pane e il Calice, l’eucaristia nella quale il mistero pasquale continua a farsi presente nella nostra vita e diventa lievito della creazione trasfigurata in Cristo morto e risorto. Chiediamo a Dio di guardare al nostro desiderio appassionato, struggente, di ritrovare il Corpo del suo Figlio morto e risorto: quel Corpo che ci è dato nel sacramento dell’Eucaristia, quel Corpo che è la sua Chiesa, anche visibilmente radunata.
In attesa di quel momento, la speranza che viene dal Signore ci faccia partecipare con ancora maggiore intensità al mistero di Pasqua: «Quest’anno in paura e vergogna, / L’anno venturo in virtù e giustizia» (P. Levi). E ci sia però, alla fine del momento di preghiera che potrete fare nelle vostre case, la gioia di un brindisi, di una cioccolata calda, di un dolce… Insomma, facciamo festa nel Signore, anche così celebriamo la sua Pasqua!
Domenica di Pasqua
Come le donne al mattino di Pasqua, in questi giorni guardiamo davanti a noi in cerca della luce. Scrutiamo i segni che lasciano presagire la fine della notte; ci chiediamo chi potrà togliere dal nostro cuore i macigni che anche queste ultime settimane vi hanno accumulato.
Scopriremo di essere attesi: ma non in un tomba, non in un luogo di morte. Siamo attesi dal Vivente, dal Risorto. Scopriremo che Egli non ha disertato i nostri ospedali, né le case per anziani, i luoghi del lavoro interrotto, gli spazi del nostro ritrovarci, le stanze delle nostre famiglie… Egli era lì, è lì: il Risorto ha il volto del giardiniere, del pescatore, del viandante. Ha volti della vita di ogni giorno, ma sono i nostri occhi che non sono in grado di riconoscerlo: a meno che non sia lui ad aprirli, a chiamarci per nome, a dirci la parola che ci farà ancora gettare le reti, ricominciare il nostro cammino, continuare a prenderci cura di chi soffre, dei nostri piccoli e dei nostri vecchi, dei vicini e dei lontani…
Il giorno di Pasqua è per noi il giorno della vita che non semplicemente «riparte», ma incomincia: incomincia nella verità di Gesù morto e risorto, incomincia nella novità dello Spirito, incomincia nella possibilità di metterci ancora al seguito del Signore, al di là dei nostri tradimenti e rinnegamenti.
La Pasqua potrà insegnarci a uscire dalla crisi di queste settimane e mesi non soltanto per «tornare» alle cose di prima, e che tanto ci mancano, ma anche – e soprattutto – per «inventare», con la fantasia dello Spirito Santo, modi nuovi e diversi di essere insieme, di abitare il nostro mondo, di guardare al nostro futuro, di sperare e generare vita, e «vita eterna»?
Per noi cristiani, per la Chiesa, questa mi sembra la sfida decisiva. Intanto, nel giorno di Pasqua, mescoliamo con fiducia i segni umani e cristiani della festa (cf. il Sussidio CEI): sono, ormai, una sola realtà, dopo che Cristo ha fatto sua la nostra umanità e l’ha portata, trasfigurata, nel cuore del Padre.
E sfruttiamo tutti i mezzi che abbiamo, per dire a tutti: Cristo, mia speranza è risorto!
L’abbraccio che ci manca
Il principale canto di Pasqua della liturgia orientale dice: «È il giorno della Risurrezione! Irradiamo gioia per questa festa, abbracciamoci gli uni gli altri, chiamiamo fratelli anche quelli che ci odiano, perdoniamo tutto per la risurrezione e cantiamo così: Cristo è risorto dai morti, con la morte calpestando la morte, e ai morti nei sepolcri donando la vita».
«Abbracciamoci gli uni gli altri…»: forse è la cosa che ci manca di più, in questa Pasqua! Ci sia data la grazia di ritrovare presto questo abbraccio, «sacramento» anch’esso, a suo modo, dell’amore fedele del Padre, che nel suo Figlio morto e risorto sempre dona la vita al mondo.
Buona Pasqua!
Crema, 2 aprile 2020
UN ausilio veramente utile a molto amichevole di un pastore.
Sono un abitante di Bologna di 69 anni e ho trovato questi suggerimenti un vero accompagnamento fraterno e pastorale nel senso pieno, in questa difficile fase che ci porta ad essere piuttosto soli con il rischio di lasciarsi prendere dalla mestizia.
Un ringraziamento sincero