Martin Velasco è entrato nel profondo “mistero” della risurrezione – fenomeno che aveva interessato tutta la sua immensa produzione teologica – il 5 aprile all’età di 86 anni.
Era nato a Santa Cruz del Valle, quattro case nella provincia di Avila, sacerdote dal 1956, incardinato nella diocesi di Madrid.
Fu professore nel seminario, direttore dell’Istituto superiore di pastorale, rettore del seminario conciliare di Madrid, docente nell’università ecclesiastica San Damaso, autore di più di 58 opere tradotte in più di 14 lingue, una moltitudine di articoli e di saggi sulla mistica e il mistero di Dio. Era un mistico che incantava.
Mi recavo da lui, nella zona “rossa” di Vallecas, nella periferia di Madrid, quando seguivo le vicende della Chiesa spagnola negli anni ’80. Era veramente un mistico. Veniva infatti dalla terra di santa Teresa e di san Giovanni della Croce, le cui opere aveva intensamente studiato. Amava la semplicità, godeva dell’amicizia, parlava con sincerità, ascoltava con rispetto.
Dovette subire l’umiliazione di essere destituito da rettore del seminario, ma non aveva risentimenti nei confronti dell’arcivescovo di Madrid, Suquia, che non era certo dello stampo del mitico card. Tarancon.
Senza aria di superiorità, mi parlava dei suoi libri, tanti, soprattutto del rapporto tra filosofia e fenomenologia, il cui studio già dagli anni ’70 lo aveva imposto all’attenzione di dogmatici, filosofi, pastoralisti.
Si concentrò sulla vita cristiana del suo Paese e del mondo, approfondendo la metamorfosi del sacro e le sue implicanze; non si stancò di scrivere sull’esperienza cristiana di Dio, accentuando l’importanza del fenomeno mistico.
Scrisse sul rapporto tra l’uomo e la religione all’inizio del terzo millennio, proseguendo con un interrogativo che lo appassionava: che significa essere cristiano in una cultura post-moderna e qual è il rapporto tra la mistica e l’umanesimo?
Era un uomo pio, nel senso che la “pietas” lo penetrava e gli dettava il comportamento. Dalla “pietas” gli venivano la saggezza, l’arte del comunicare nell’insegnamento, la bontà senza finzione, la fede solida anche nelle avversità e negli attacchi mossigli dall’intransigenza clericale.
Con il suo modo di pensare, il vivere nel mezzo dell’emarginazione sociale, la sollecitudine pastorale come collaboratore nella parrocchia di San Paolo a Madrid, Velasco fu guida di generazioni e – come l’ha definito il teologo Fernando Vidal – fu «architetto di una Chiesa più povera, colta e compassionevole, di cui abbiamo bisogno ogni giorno di più».