Si è spento, proprio nel giorno di Pasqua, Camillo Ballin, vescovo del Vicariato dell’Arabia del Nord. Lo ricorda un suo confratello comboniano.
I miei primi incontri con padre Camillo Ballin (24 giugno 1944 –12 aprile 2020) ebbero luogo a Roma, nel contesto dei suoi soggiorni romani per la collaborazione al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (PISAI) e per la preparazione della sua tesi dottorale.
L’Istituto Comboniano deve a mons. Camillo questo contributo alla conoscenza di un periodo drammatico della storia della prima generazione di missionari e missionarie comboniani che soffrirono la prigionia durante la rivoluzione madhista (1881-1898) nel Sudan.
Poi mi sono incrociato di nuovo con lui, agli inizi degli anni 2000. Lui era in Egitto e dava il suo meglio al funzionamento di Dar Comboni, il Centro per gli Studi Arabi e d’Islamologia, per il Dialogo con l’Islam, che i comboniani stabilirono al Cairo.
P. Camillo stava spendendo la sua vita missionaria tra il Sudan (dal 1969 al 1972 e poi dal 1990 al 2000) e l’Egitto (dal 1972 al 1990 e poi dal 2000 al 2013) e per molti di noi incarnava la figura del missionario comboniano identificato con la missione primigenia dell’Istituto, appunto la presenza missionaria in terre d’Egitto e Sudan.
La sua consacrazione episcopale e l’assegnazione al Vicariato dell’Arabia del Nord (2 settembre 2005) hanno portato ancora più lontano e ad una donazione totale questa sua identificazione con la missione cristiana nel mondo islamico.
Nel 2012 l’ho rivisto a Kuwait, in una visita che gli ho fatto per preparare un dossier sulla Chiesa negli Emirati Arabi, per la rivista missionaria portoghese Além-Mar, di Lisbona. È stato il momento in cui mi sono avvicinato di più a lui, alla sua visione missionaria e ho potuto apprezzare il suo impegno apostolico e il suo sentire ecclesiale. Mi accompagnato nei soggiorni nei vari Emirati e ho potuto vederlo pastore in contatto con i suoi sacerdoti, con le comunità cristiane. Lo guidava una preoccupazione: aiutare a radicare la Chiesa in quei contesti islamici, aiutando i migranti cristiani a sentirsi Chiesa locale, localizzata in un contesto di sfida, come è appunto il contesto islamico.
Durante il mio anno sabbatico del 2015 e nell’anno seguente, per una felice coincidenza, ho potuto soggiornare a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, durante la quaresima, e accompagnare le comunità cristiane in preparazione alla Pasqua. Una volta, lui ha potuto venire: viveva il sogno di costruire il centro cattolico e la cattedrale nel Barhein, il che faciliterebbe anche la sua presenza in Arabia Saudita. Questo sogno ha avuto un felice natale e illuminava il suo attuale impegno missionario… fino al momento in cui gli sviluppi della sua salute (l’evoluzione del tumore) lo fermarono, in modo improvviso, proprio a Riad.
E così mi son trovato di nuovo con lui, stavolta nell’ospedale Gemelli di Roma dove fu ricoverato d’urgenza. Prima, nelle visite durante la settimana per gli esami medici; poi, portandolo all’ospedale per gli incontri con i medici per vedere eventuali percorsi da seguire. La serenità e la fiducia in Dio lo accompagnavano, come il desiderio di poter ritornare al Vicariato, tante erano le cose, le persone, le urgenze che lo aspettavano. Lui non si sbilanciava e scherzava. Diceva: «Ssembra che (invece di ritornare) io debba scrivere l’omelia per il mio funerale!».
Mons. Camillo Ballin era un missionario che non temeva di avanzare, sempre sul filo del rasoio, affrontando situazioni incresciose, fiducioso in Dio. Si è spinto in avanti fino alla fine… fin dove il suo Signore lo aspettava, sorprendente come sempre, per accoglierlo col suo abbraccio d’amore, che lo ha riscattato dalla sofferenza, per la vita eterna: era il giorno di Pasqua, il 12 aprile dell’anno 2020, la pasqua del coronavirus.
Un vero pastore dedicato corpo e anima alla sua missione! Che il Signore Risorto li dia la gioia della vita eterna in cielo per il bene spirituale condiviso qui sulla terra. Requiescat in pace!
Un uomo di Dio straordinario la cui grandezza permetteva a chiunque si fosse avvicinato a lui di sentirsi importante, guardato da Dio. La sua fede e il suo esempio sono stati una ispirazione per tanti a seguire con radicalità la propria vocazione cristiana.