Dice Agamben nel suo intervento su SettimanaNews: “una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.”
Questo è un punto fondamentale intorno a cui si arrovella tanta parte del pensiero occidentale da secoli, se non proprio dalle sue origini, da Parmenide e Zenone. Il problema è immenso, formidabile e ci scuote l’anima forse anche perché sentiamo il peso di questi millenni di riflessione nelle due righe.
Ma questo è anche un cortocircuito, interessantissimo, fondamentale per mille sviluppi ideali e pratici, e dobbiamo tesaurizzarlo per questo. Ma anche forse dobbiamo tenere in mente che è un cortocircuito.
Praticamente cosa vorrebbe fare il professore Agamben? – chiederebbero i miei amici cinesi con alle spalle due millenni di tradizione culturale molto diversa. Avrebbe voluto celebrare funerali pubblici, concedere l’ultimo addio dei parenti ai malati e così moltiplicare il numero delle vittime per cento o mille? Perché in pratica, così sarebbe successo.
A Venezia il primo Lazzaretto nel 1423 fa separava forzatamente i malati dai sani, gli infermi dai loro parenti. Calpestava le tradizioni cristiane fortissime del tempo per la salvezza della comunità. Oggi si è andati oltre, sì, ma anche le tradizioni ora sono diverse, e probabilmente il salto che si fece nel 1423 contro le tradizioni imperanti sulla sacralità dei defunti a Venezia fu ben più ampio di quello di oggi.
Ciò che salvò Venezia allora, con la fondazione di quella che poi divenne una istituzione fondamentale fino all’attuale pestilenza del Covid 19, su il senso pratico, di realtà che prevalse sul principio, l’idea importantissima ma in pratica letale al momento, della cura e la sacralità dei morti.
Qui c’è un principio che il papa ha ripetuto più volte, che la realtà è più importante dell’idea. Ciò non significa che l’idea va uccisa e squartata sull’altare del vile e cinico realismo, ma rende conto di quello che fa ogni massaia in cucina ogni giorno: si prende conto della realtà. Se vuole fare la matriciana e non trova il guanciale, usa la pancetta o il prosciutto o mangia semplicemente quello che c’è.
Ciò non significa che la ricetta non serve, perché senza ricette mangiamo male, ma che le idee devono trovare un’incarnazione ragionevole a seconda delle circostanze.
Ciò quindi ha un’estensione sul ruolo della Chiesa nella società e nella politica. Essa non può fermarsi ad affermare principi sacrosanti ma difficilmente applicabili. Né naturalmente, avere un senso di realismo significa trasformare San Pietro in un banco per il traffico delle indulgenze.
Ma in un momento in cui la politica mondiale sembra oscillare tra l’affermazione astratta di principi e la quasi speculare totale resa al più bieco cinismo, si crea forse uno spazio enorme, un vuoto, di ragionevolezza che andrebbe occupato.
In dialogo con Giorgio Agamben, Una domanda:
- Redazione, Il sovrano e la barchetta.
- Andrea Grillo, Una domanda sbagliata.
Ottimo articolo (amatriciana e argomenti del genere a parte).
Il dramma è che ci sia bisogno di scriverne, perché a qualcuno ancora non risulta che l’acqua sia bagnata…
L’intera argomentazione non tiene gia solo per l’analogia iniziale tra covid e peste. La peste uccideva 1 infetto su 3, il covid forse 1 su 100. Il covid quindi non è la peste, ed oggi avremmo avuto tutti mezzi e le conoscenze per poter presenziare al funerale di un nostro caro senza rischiare alcun contagio. Pessimo articolo.
Per me invece tiene, eccome. Il principio centrale non è l’analogia con la peste, ma che “la realtà è più importante dell’idea” e che “le idee devono trovare un’incarnazione ragionevole a seconda delle circostanze”. Agamben enuncia bei principi, ma non fa uno straccio di proposta per applicarli in modo ragionevolmente realizzabile. Ciò chiarito, sono d’accordo anch’io che momenti fondamentali come l’ultimo saluto ai nostri cari siano stati gestiti in modo pauroso: si poteva e doveva fare di meglio.