Per i giovani, un manifesto

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manifesto per i giovani

Scrivere sull’Italia, da austriaco, in questi giorni è difficile, soprattutto se si ama l’Italia, la Lombardia, Bergamo, e in parte ci si vive. Il modo in cui l’Europa, l’Austria, la Germania e altri paesi dell’Europa nordoccidentale hanno trattato l’Italia non è stato fraterno.

C’era bisogno di medici e queste nazioni non li hanno inviati. Ora sarebbe tempo di mostrare anche una grande solidarietà economica.

Un’Europa vecchia

L’Europa è un mondo irrigidito: un mondo anziano, un mondo di benestanti che difendono ciò che hanno ottenuto, senza pensare al futuro. È di fatto un mondo che ha bandito il “dopodomani” dal proprio orizzonte. Lo si può notare nella mancanza di una visione politica: nell’assenza di un pensiero veramente europeo, di una politica ambientale e nel modo assai scadente di trattare i giovani, ai quali non è concessa una prospettiva economica.

Ciò si manifesta ora nel modo in cui viene affrontata la crisi causata dal coronavirus, una maniera che esprime la mancanza di prospettive future.

In Italia, e soprattutto in Lombardia e a Bergamo, il virus ha colpito più duramente che altrove. Molte persone erano probabilmente già infetti a dicembre e da marzo è iniziata una grande morìa. Il paese è sotto shock, eppure sarebbe importante porsi alcune domande, specialmente in Lombardia, il centro economico dell’Italia, se l’anno prossimo si desidera avere ancora una vita sociale degna di questo nome.

I dati e le decisioni

Perché non si fanno dei controlli a campione sullo stato dell’infezione in territori selezionati (per esempio nella Val Seriana, la zona più colpita)? Dall’esterno si ha l’impressione che decisioni politiche di vasta portata vengano prese senza essersi prima procurati dati statistici concreti. Testando solo poche migliaia di persone, selezionate casualmente tra diverse comunità e fasce d’età, sul loro stato immunitario, si potrebbero fare delle stime su quante persone siano o siano state effettivamente infette, su quanto realisticamente sia alto il tasso di mortalità e su quali siano realmente i rischi di contagio per i singoli.

I primi dati dell´Austria e della Germania suggeriscono un tasso di mortalità tra 0.3 e 0.4% tra le persone positive al Covid-19 (e circa 70% senza sintomi). Per la Lombardia dove i morti sono 10.000 persone (ma probabilmente di più) questo vorrebbe dire che sono state già contagiate, e probabilmente già immunizzate, milioni di persone. Le statistiche ufficiali italiane non rappresentano la situazione reale, in quanto si sa che il numero di persone effettivamente infettate dal virus è molto maggiore.

Supponiamo che in alcune zone lombarde più del 60% della popolazione abbia superato il virus (solo i test potrebbero mostrare se ciò sia vero; ma, parlando con la gente di queste zone e guardando il numero dei decessi, è molto probabile che lo sia), allora avremmo le prime zone ad aver raggiunto l’immunità di gregge e, quindi, secondo la maggior parte dei virologi, le nuove infezioni si arresterebbero.

È veramente giustificata la chiusura dell’economia? È giusto imporre una chiusura sociale per tutti indistintamente? Forse ci possono essere delle valide ragioni, ma penso che ora serva una discussione più articolata. Si ripete solo il mantra del distanziamento sociale (che brutta parola!) anche là dove varrebbe la pena discuterne.

Il costo sociale

È davvero arrivato alla coscienza pubblica il prezzo dello stallo sociale, culturale ed economico? Non si dovrebbe iniziare a discutere di come deve essere il volto dell’Italia in futuro (e questo ovviamente vale per tutta l’Europa)? Per me l’Italia è il paese più bello del mondo, non solo per i beni culturali che possiede, ma anche per le molte occasioni e luoghi di incontri pubblici, per la incredibile varietà di prodotti artigianali, imprese, istituzioni sociali, culturali e culinarie, per i bar e le trattorie…

Io come viennese rimango colpito dalla vivacità della vita sociale: le associazioni, le biblioteche, le parrocchie, le molte piccole imprese che lavorano in nome della qualità. Con ogni giorno di stallo aumenta la probabilità che questo stile di vita vada irrimediabilmente perduto. C´è piena consapevolezza del rischio del collasso delle banche e della bancarotta dello stato, dunque di un futuro di miseria di massa, se non si rimette in moto la vita sociale ed economica al momento opportuno?

Si vogliono davvero chiudere per sempre tanti luoghi d’incontro sociale e culturale, i ristoranti, i bar…?

Forse non c’è alternativa alcuna. Ma, per saperlo, servirebbe una solida base di dati statistici. Che i test siano considerati troppo costosi e non sicuri al 100% è, in confronto alle conseguenze dello stallo, una forma di cinismo. Se coloro che hanno già avuto sintomi del coronavirus, allora, considerando quanto è noto fino a oggi, molti dovrebbero essere  immuni da questa malattia. Allora perché non possono tornare al lavoro?

Perché non possono uscire di casa, cosa necessaria per un buon stato di salute? Se a Bergamo diminuisce il numero dei decessi, è davvero merito del divieto di uscire di casa o è dovuto a una sufficiente immunizzazione della popolazione? Si vuole davvero aspettare una certezza assoluta sulle modalità di contagio prima di riprendere la vita sociale ed economica?

Aspettando Godot

La strategia di (quasi) tutti i governi europei, incluso quello italiano, sembra essere quella di aspettare un vaccino di cui nessuno sa quando arriverà. Nel frattempo potrebbero verificarsi il crollo economico, disoccupazione e povertà senza paragone e il crollo dell’Europa (con conseguente dipendenza dalla Cina).

Se non si vuole commettere un suicidio sociale, non c’è alternativa alla ripresa della vita pubblica. Dobbiamo convivere col virus nel miglior modo possibile e non possiamo ritirarci permanentemente dietro mascherine e dentro le case. La domanda è: come riprendere la vita sociale ed economica senza avere un collasso delle infrastrutture mediche?

Tanti virologi affermano che un virus può essere sconfitto solo se una certa quantità di cittadini è stata infettata. Forse questa cifra è stata raggiunta in alcune zone del Nord Italia, il che riporta alla domanda sul perché non vengano effettuati molti più test d’immunità (anche solo per mezzo di controllo a campione).

Viene attualmente ampliata in tutta Italia (e l´Europa) la quantità di letti in terapia intensiva? Viene preparata la protezione necessaria dei gruppi a rischio (senza che le persone colpite muoiano di isolamento sociale)? Perché non c’è una “patente” per le persone già immuni? Queste persone dovrebbero riprendere a lavorare, frequentare ristoranti e bar ecc.

L’imperativo virale

Il destino dei giovani, se abbiano o no una prospettiva futura, sembra avere poca importanza per i politici e le persone al vertice della società. È impressionante quanto le giovani generazioni, sebbene spesso ignorate dai programmi politici (investimenti nelle università, nell’inserimento lavorativo, vivere in autonomia e creare una propria famiglia), siano solidali con gli anziani. I giovani sono i meno colpiti dal virus in termini di salute, ma i più colpiti dal punto di vista economico e dalle prospettive di vita.

Ma questo non viene tematizzato né discusso in modo approfondito nel dibattito pubblico. Resta da sperare che le nostre società si ricordino di questa solidarietà e offrano ai giovani maggiori possibilità nella società.

Il decesso di così tante persone care è una grande tragedia, ma ora si tratta di evitare la morte sociale. Bergamo, la Lombardia, l’Italia, l’Europa devono rimettersi in moto, dobbiamo riprendere la vita sociale, e presto, e i paesi meno colpiti dell’Italia devono aiutarla.

Dobbiamo guardare tutti insieme al futuro. L’obbligo è: agisci in modo tale da fare di tutto affinché le giovani generazioni possano condurre una vita degna di essere vissuta e affinché il nostro mondo sociale e culturale dopodomani esista ancora.

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