Silvia Romano è una cittadina italiana. Per godere dei diritti e dei doveri legati a questa cittadinanza la sua confessione religiosa è irrilevante – nel momento stesso in cui, qualsiasi essa eventualmente fosse, è riconosciuta e protetta dalla Costituzione della nostra Repubblica.
Questo dovrebbe valere anche per la politica in tutte le forme di sua rappresentanza partitica. In questo momento la deontologia professionale del giornalismo dovrebbe attenersi rigorosamente a questo principio; e vi è un dovere di vigilanza, non solo delle autorità competenti ma anche di tutti i cittadini italiani, per ciò che riguarda quel luogo deregolato della comunicazione che sono i social media.
Vi sono ragioni di rispetto verso la persona, da un lato, e di sicurezza personale non solo sua, dall’altro, che chiedono adesso un responsabile silenzio in merito alla sua vicenda. A motivo di queste ragioni ci sembra opportuno accompagnare i primi tempi del suo rientro in Italia seguendo le pratiche della fede cristiana, in quel segreto della camera della preghiera che rimane rigorosamente custodito tra il credente e Dio.
A tempo debito sarà una sua parola che potrà autorizzare una riflessione pubblica sia da parte dell’informazione sia da parte delle fedi religiose.
“Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”
Maccabei 2, 7 v29
Altri tempi… altra fede?