Per costruire un popolo in pace, giustizia e fraternità assumendo le contraddizioni e le antinomie presenti nel sociale come energia per il cambiamento l’attuale pontefice chiede di far riferimento ai quattro principi, riproposti in Evangelii gaudium, ma in elaborazione nel suo insegnamento almeno dal 1984[1]. Vorrei provare ad applicarli alla situazione che l’attuale pandemia ha provocato. Non è semplice, anche perché Bergoglio non insegna ad usarli[2].
Il tempo superiore allo spazio
Questa pandemia ha ristabilito il primato dello spazio sul tempo, soprattutto nelle nostre esistenze personali: confinati in casa, abbiamo vissuto e viviamo giorni uguali gli uni agli altri; la sensazione è quella del criceto che gira all’infinito nella sua ruota. Abbiamo, così, sperimentato il limite e perso di vista la pienezza.
Per interpretare il tempo presente è decisiva una frase: «I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae»[3]. In una tragedia incalcolabile, con oltre 30.000 morti solo in Italia[4], nessuno riesce a garantire un futuro privo di contagi, in attesa di un messianico vaccino. La ristrettezza e, a volte, la solitudine delle case ruba il domani. Il primo principio appropriatamente parla del tempo come luce, come orizzonte per superare i limiti, come utopia che diventa la causa finale che attrae.
L’utopia, «può nascere soltanto quando, con il passaggio alla modernità, si affaccia la possibilità di progettare una società alternativa a quella dominante e di lottare per la sua trasformazione in realtà».[5] Occorrerebbe ricomprendere la profezia, cioè la critica radicale che la parola rivelata riversa contro i poteri e i potenti e chiedersi cosa vuol dire oggi profezia.
Dovremmo recuperare la parola rivoluzione, parola decisiva per la storia dell’Occidente, tanto che su di essa ha costruito le sue fortune e proprio la sua mancanza ne sta decretando il tramonto.[6] Proprio questo evento inatteso (fino ad un certo punto inatteso)[7] mostra la nostra fragilità e la nostra incapacità a trasformarlo, a rivoluzionarlo. Dove troviamo un pensiero rivoluzionario? La storia potrebbe insegnarci qualcosa, ma abbiamo ripudiato le tre parole della Rivoluzione francese, soprattutto nel loro rafforzarsi a vicenda. Qualcuno ha assolutizzato la libertà, altri l’uguaglianza; tutti si sono dimenticati della fraternità.
È interessante leggere il documento sulla Fratellanza umana, firmato dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb e papa Francesco: compare la fratellanza ma anche libertà e uguaglianza. L’isolamento cui siamo costretti potrebbe spingerci verso le tre parole della Rivoluzione francese, verso orizzonti più larghi. Nel chiuso delle nostre celle, abbiamo bisogno di imparare dalle claustrali, per le quali il ritirarsi vuol dire aprirsi all’eternità di Dio. Abbiamo solo rivendicato la possibilità di tornare a riempire spazi, per altro già abbondantemente svuotati.
La Chiesa e la politica hanno bisogno di riscoprire il gusto dei tempi lunghi, dell’avvio di processi verso la comprensione della pienezza dell’umano: occorre «dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: “L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca”».[8]
L’unità è superiore al conflitto
Il virus è un nemico invisibile e non sappiamo bene come combatterlo. Si rischia di massacrarci a vicenda, cercando di colpire la minaccia con strumenti non adeguati. Una crisi così delicata può incancrenire i conflitti, piuttosto che portare all’unità. Prendiamo come esempio l’Italia e le misure adottate dal governo e dalle Regioni.
La Costituzione, prevede l’articolazione territoriale per essere più vicini alle persone, non per minare l’unità della nazione, della solidarietà che unisce dal Sud a Nord. Ma tutti si sono dimenticati che la profilassi internazionale è di stretta competenza dello Stato, non delle Regioni (art. 117q; nell’art. 120 lo Stato può sostituirsi alle Regioni per l’incolumità delle persone; per le epidemie è responsabile il ministro della Sanità).
L’Italia si è frantumata; serve a poco cantare l’inno nazionale sui balconi. Non parliamo degli scenari geopolitici, dove il virus è servito per incancrenire le contrapposizioni e per dimenticare il semplice fatto che da queste crisi se ne esce solo insieme. Aggiungiamo i tentativi di molti di arricchirsi, danneggiando la collettività. Insomma la bella retorica secondo cui ne usciremo migliori può rimanere un puro esercizio retorico. Abbiamo anche fatto in modo di ritrovarci nel bivio lavoro o salute, che avevamo giurato, grazie all’ex ILVA di Taranto, di evitare in modo assoluto. Molta solidarietà è stata anche vissuta, ma non abbiamo costruito un mondo solidale. Eventi traumatici recenti sono serviti alle élite per consolidare il loro potere e le loro ricchezze.[9]
Non è, quindi, scontato che il ritornello Tutto andrà bene si realizzi. Anzi. Gli attuali leader sapranno interpretare correttamente il loro ruolo? Sapremo curarci degli altri? Siamo molto toccati dal dolore oggi, solo perché ora è anche nostro, nostro e dei nostri vicini e parenti? Nessuno ha detto Tutto andrà bene per le emergenze migranti o la guerra in Siria. Questo non è amore politico, ma egoismo sociale. Il Covid-19 doveva spingerci a ricordare che «è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto.
La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».[10]
Solidarietà come stile di costruzione della storia significa che la solidarietà deve divenire l’anima della rivoluzione da progettare; non bastano medici e infermieri generosi, ma occorre un mondo proteso a costruire la felicità dell’altro come fine della propria vita. La cura dell’altro è il capolavoro che può dare senso alle esistenze: e questo a tutti livelli a partire dalla famiglia per arrivare ai livelli politici ed economici più alti. Ogni conflitto va appianato, perché solo insieme, come per la questione ambientale, usciamo da questa tragedia.
La realtà è superiore all’idea
Il terzo principio è semplice e perentorio: «Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma»[11].
In questi ultimi mesi la correlazione tra realtà e idea ha percorso strade anche divergenti. Alcune idee hanno riplasmato il nostro modo di vivere da un momento all’altro. Non si discute sulla validità o meno delle idee. Resta il fatto che l’idea ha dominato il reale. Per l’Italia è sufficiente pensare ai vari DPCM, il cui contenuto è variato nei giorni, la cui complessità ha creato inutili disorientamenti, dove la politica si è fatta sostituire dal pensiero di scienziati: sono loro a dettare le linee guida per la nostra vita.
Gli strumenti per affrontare il reale sono stati consegnati in modalità assolutamente inedite e con effetti difficilmente misurabili. Dopo aver sottolineato l’eroismo di professori che hanno insegnato da remoto (oltre all’eroismo delle famiglie che hanno dovuto procurarsi connessioni, device, ecc.) nella didattica qualcosa è successo. Soprattutto nei più piccoli, l’insegnamento non può prescindere da una corporeità affettuosa. Nessuna spiegazione sostituisce la carezza di una maestra che invita a riprovare davanti a un problema che sembra non avere soluzioni.
Infine, il reale ha esigito nuovi paradigmi e prospettive. Per i lavori agricoli rimasti senza mano d’opera si pensa ora di fare sanatorie e regolarizzazioni di immigrati. Sono avvenute conversioni radicali in Europa sui temi dell’indebitamento pubblico e del ruolo dello Stato in economia. Quando il reale preme, non possiamo che sentire il bisogno di pensieri rivoluzionari che aiutino il vero sviluppo.
Ha, quindi, ragione il papa quando dice: «L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento. Bisogna passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa. Diversamente si manipola la verità».[12]
La realtà e la compassione che possiamo sperimentare davanti ad essa devono spingerci a rielaborare i nostri schemi per il futuro. In questo ha un ruolo decisivo la teologia che deve costruire per la Chiesa ‘in uscita’ luoghi dove iniziare a «cambiare il modello di sviluppo globale e ridefinire il progresso: il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade».[13] Il Covid-19 rende questo urgente e necessario.
Il tutto è superiore alla parte
«Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra»[14].
La globalizzazione per anni è stata presentata come il rimedio per ogni male; in realtà solo i ricchi si sono avvantaggiati, mentre miliardi di persone sono entrate in competizione con i lavoratori del mondo occidentale, facendo crollare salari e scomparire tutele, facendo tramontare lo Stato nazionale.
Questi mesi di pandemia impongono un riequilibrio. Per la tutela della salute sono stati determinanti medici di base e ospedali di prossimità, ma è altresì importante la cooperazione globale, che ha avuto in qualche ambito una certa crescita. In economia «quella spinta all’iperglobalizzazione nel commercio e nella finanza che puntava alla creazione di mercati mondiali perfettamente integrati ha finito per fare a brandelli le società a livello nazionale».[15]
Solo scelte politiche di altro genere, capaci quindi di ascoltare le vocazioni economiche locali e di collegare le varie regioni in modo costruttivo, possono farci uscire dal tunnel. Ma abbiamo poche speranze nei leader attuali.
Il papa, parlando del quarto principio, lancia la bellissima immagine del poliedro: il rapporto tra tutti i cittadini del mondo deve consentire a ciascuno di vivere e valorizzare la propria specificità, senza l’omogeneizzazione che potrebbe essere richiamata dal modello sfera. È decisivo che ognuno possa portare il proprio contributo; solo così si costruisce il popolo (parola chiave per entrare nel mondo-Bergoglio) in pace, giustizia, fraternità parole che hanno un significato solo se proiettate anche a livello globale, ma profondamente radicate nella vita concreta delle persone.
Conclusione
I quattro principi di papa Francesco possono aiutarci a costruire un nuovo pensiero, rivoluzionario, costruttivo e contagioso per il futuro del nostro mondo. Il pensiero di Bergoglio è talmente solido e pratico che non ha bisogno di difese. Queste riflessioni desiderano essere una spinta a tenerlo presente per i nostri sogni. La Lettera del santo padre ai movimenti popolari (12 Aprile 2020) conferma che queste sono le prospettive su cui camminare.
Innanzitutto occorre cambiare paradigma; e il papa dice: «Spero che i governi comprendano che i paradigmi tecnocratici (che mettono al centro lo Stato o il mercato) non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell’umanità».[16]
Poi occorre tenere presente la meta: «Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: tierra, techo e trabajo (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro)».[17] Infine il grande segreto trasformare la crisi in un bene da condividere: «Conoscete infatti le crisi e le privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e comunità».[18] Trasformiamo il mondo, augurandoci che i quattro principi di papa Francesco possano diventare virali!
[1] Per uno studio dei quattro principi, rimando a M. Prodi, «Fonti, metodo e orizzonti di papa Francesco a partire dai quattro principi. Applicazioni per l’oggi», in F. Mandreoli (a cura di), La teologia di papa Francesco. Fonti, metodo, orizzonti e conseguenze, EDB, Bologna, 2019.
[2] Essi, ad esempio, sono presenti nel ragionamento di Laudato si’, ma non sono l’elemento strutturante. Vengono citati quasi marginalmente.
[3] EG 221.
[4] Vale la pena ricordare, ad esempio, che i morti per il terremoto dell’Aquila sono stati poco più di 300.
[5] P. Prodi, Profezia, utopia, democrazia, in M. Cacciari, P. Prodi, Occidente senza utopie, il Mulino, Bologna, 2016, 27.
[6] Cf. P. Prodi, Il tramonto della rivoluzione, il Mulino, Bologna, 2015.
[7] Cf. ad esempio i libri sul rischio di U. Beck, pubblicati non pochi anni fa.
[8] EG, 224.
[9] Cf. N. Klein, Shock Economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, Milano, 2008..
[10] EG,
[11] EG 231.
[12] EG 232.
[13] VG 3.
[14] EG 234.
[15] D. Rodrik, Dirla tutta sul mercato globale. Idee per un’economia mondiale assennata, Einaudi, Torino, 2019, pag. 260.
[16] Lettera del santo padre ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020.
[17] Ivi.
[18] Ivi.