Il vescovo montenegrino Joannice (Budimlja-Nikšić) e sette preti ortodossi sono stati messi in libertà (16 maggio) dopo alcuni giorni di prigionia. Erano stati arrestati il 13 maggio a causa di una processione in onore del santo locale, s. Basilio d’Ostrog, promossa contro le regole di confinamento per il Covid-19.
Secondo gli interessati, la folla dei fedeli si era radunata davanti alla cattedrale e, di propria iniziativa, ha iniziato la processione a cui vescovo e preti si sono aggiunti. «Volevamo fare un breve percorso attorno alla cattedrale, ma quando abbiamo visto tutta quella gente non abbiamo potuto fare altrimenti. Il popolo l’ha voluta. Comprendiamo e sosteniamo le norme contro il virus…, ma c’è chi non capisce come sia importante la processione di san Basilio per gli abitanti della città di Nikšić, e non solo per loro».
La polizia è intervenuta in forze per arrestare vescovi e preti che, per legge, rischiano fino a 12 anni di carcere, mentre la folla era in tumulto. Per la sensibilità ortodossa, il potere ha voluto umiliare il vescovo e proseguire un conflitto aperto con la Chiesa ortodossa serba.
Il tutto è partito con l’approvazione il 25 dicembre scorso di una legge sulle fedi che colpisce la Chiesa maggioritaria del paese (su 630.000 abitanti, 450.000 sono ortodossi serbi). Mentre le altre minoranze religiose (dai cattolici ai musulmani) godono di proprie disposizioni legislative, nella legge si chiedeva alle istanze ortodosse di esibire i titoli di proprietà, anteriori al 1918, di circa 650 siti religiosi in loro uso. In quell’anno tutto il territorio montenegrino fu ripreso dalla dinastia dei Karadiordjevic e le proprietà ecclesiali ortodosse passarono da una Chiesa ad ampia autonomia da Belgrado ma pur sempre legata alla Chiesa serba, alla diretta giurisdizione serba.
Da mesi si ripetono manifestazioni antigovernative che, nel loro insieme, hanno coinvolto un terzo della popolazione, convogliando tutto il malcontento verso una situazione di stagnazione economica e di polarizzazione politica.
Le sfide e le narrazioni
Un contesto che il metropolita Anfiloco, 83 anni, ha gestito con grande abilità. Arrivato in Montenegro nel 1990 quando la Chiesa locale poteva contare su una ventina di preti, ha dato un grande impulso alle attività ecclesiali. Oggi i pope sono 600.
Discepolo del teologo dell’identità serba Justin Popović e già professore all’istituto San Sergio a Parigi, Anfiloco sta mettendo in seria difficoltà l’egemonia politica di Milo Dukanović e del suo Partito democratico, il leader che ha promosso l’indipendenza del paese nel 2006 contro la pretesa della Serbia. Il timore del metropolita è che il governo voglia privilegiare una piccola Chiesa locale ortodossa, candidata all’autocefalia, contro la Chiesa ortodossa filo-serba.
Uno scontro ad un tempo ecclesiale e politico che ha visto saldarsi attorno al metropolita il consenso della Chiesa serba e russa, il sostegno del governo serbo e la distanza benevolente delle altre Chiese ortodosse.
Sulla questione del vescovo Ioannice si è espresso immediatamente il sinodo della Chiesa ortodossa serba e il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca.
In un lungo comunicato il metropolita Anfiloco ha protestato la propria responsabilità sul merito: «Se c’è qualcuno che deve rispondere, io chiedo a chi detiene il potere di essere io stesso. E se qualcuno deve essere arrestato e giudicato, costui è il metropolita, il successore di san Pietro di Cetinje. Se colpevole, sia condannato».
Non sarebbe il primo – sottolinea – e ricorda l’uccisione nel 1945 del metropolita Lipovac, la condanna dei suoi due successori, rafforzando una narrazione che accomuna l’attuale governo democratico e filo-europeo alla tradizione comunista.
Alle prossime elezioni di novembre si vedrà quanto lo scontro religioso potrà pesare anche rispetto alla collocazione geopolitica (europeista o russofila) del piccolo paese balcanico.