Trieste, 25 maggio 2020
Il nostro punto di vista è al di qua della frontiera. Operiamo nella città di Trieste. Dopo una pausa coatta dal 28 marzo al 18 aprile, siamo tornati, ogni giorno, con i nostri volontari, nel piazzale della stazione. È la nostra postazione e il nostro luogo di incontro dei migranti provenienti dalla rotta balcanica.
L’impegno – come organizzazione di volontariato “Linea d’Ombra” – si manifesta, dal settembre scorso, con interventi di medicamento dei piedi feriti da chilometri percorsi da queste persone attraverso i sentieri nei boschi, dalla Bosnia sino a noi. Doniamo scarpe, vestiario essenziale e un po’ di cibo a chi non intende comunque presentare domanda di asilo in Italia, perché fortemente determinato a raggiungere altre mete nell’Europa del nord. Iniziano così la rotta europea, non meno problematica di quella balcanica.
Negli ultimi quindici giorni circa il flusso di arrivo nel gioco del passaggio da un confine all’altro sembra essersi ridotto. Incontriamo, di media, cinque o sei persone al giorno. La pausa dei transiti determinata dall’epidemia era comunque già finita da un po’. Il flusso era decisamente ripreso. La momentanea riduzione sembra significare altro.
Sappiamo infatti che i blocchi della polizia presso il confine e nei dintorni della città sono divenuti molto più efficienti. Una decina di giorni fa la polizia ha bloccato i migranti avviandoli ai luoghi della quarantena obbligata. Stimiamo che almeno duecento migranti abbiano avuto questa sorte. Forse più. Ogni giorno qualcuno viene fermato e sparisce.
Secondo la cronaca locale, che evidentemente riporta dati ufficiali, i migranti fermati e avviati in due giorni nei centri prontamente istituiti per lo sconto della quarantena sono ottantaquattro. Le persone fermate nel loro viaggio in questo in Italia sono obbligate a presentare una domanda di asilo nel nostro paese. Per loro questo è un grosso problema. Cercano in tutti i modi di evitarlo.
Maggiori controlli avvengono anche da parte della polizia slovena da quando c’è la questione dell’epidemia. Sappiamo persino dell’esistenza di bande paramilitari anti-migranti sui confini sloveni.
Poiché sappiamo che le partenze dalla Bosnia non sono affatto diminuite, anzi stanno progressivamente riprendendo vigore, ci aspettiamo ben presto, nonostante tutti i controlli e le misure forzate, un maggior afflusso di persone nella piazza e alla nostra postazione. La polizia normalmente non arriva sino a noi. Una ventina di persone, in questo momento, peraltro senza alternative, dorme allo scoperto nelle strade della città, attorno alla piazza.
I migranti che solitamente incontriamo sono nordafricani, soprattutto marocchini, poi pakistani e afghani e anche alcuni siriani. Malgrado i tanti blocchi fisici e temporali posti sul loro cammino, i migranti non si fermano. Passano. Piccole quote per volta, a piedi, in treno o con i passatori pagati, riescono a lasciare la città e l’Italia verso le loro mete nella testa e nel cuore. Li accompagniamo col nostro.