Il decreto, firmato dal segretario di stato, card. P. Parolin il 13 maggio e approvato in forma specifica da papa Francesco, non lascia alternative: fr. Enzo Bianchi, altri due monaci e una monaca dovranno abbandonare Bose e trasferirsi altrove. Il testo è stato letto e presentato ai diretti interessati il 26 maggio (e successivamente alla comunità) dal delegato pontificio, p. Amedeo Cencini, accompagnato da mons. J.R. Carballo, segretario del dicastero per i religiosi, e da mons. M. Arnolfo, arcivescovo metropolita di Vercelli (cf. SettimanaNews).
Per la notorietà delle figure interessate la notizia è esplosa sui media lasciando un lungo strascico di interrogativi fra i molti credenti (e no) che fanno riferimento al monastero e alle sue molteplici attività.
Scrivere sul post-concilio in Italia non sarà possibile senza incrociare in alcuni punti rilevanti fr. Enzo Bianchi e la comunità monastica che lui ha fondato a Bose (Biella) l’8 dicembre del 1965. Dalla formazione cristiana per molte generazioni giovanili alla riscoperta del monachesimo, dalla cura liturgica (la comunità ha un ritmo e testi propri per la preghiera salmica) alla riflessione teologica (alimentata dall’editrice Qiqajon), dalla coltivazione estetica (musica, architettura, arte sacra) all’annuncio dentro la cultura contemporanea, dalla pratica del “monastero doppio” (uomini e donne) all’interlocuzione con l’intelligenza laica, dalla fedeltà al concilio (anche in tempi difficili) alla pratica ecumenica (verso protestanti, anglicani e ortodossi), dalla presenza sui media (affidata in particolare a fr. Bianchi) alla critica sociale in nome della «differenza cristiana»: tutto questo sarà necessario tener presente in ordine a una valutazione complessiva.
Esercizio dell’autorità
Limitando l’attenzione alle disposizioni vaticane, si deve fare riferimento alla visita canonica, motivata «per certi aspetti problematici per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno» nella comunità oggi guidata dal monaco Luciano Manicardi dopo le dimissioni di Bianchi nel 2017.
Affidata all’abate p. Guillermo Leon Arboleda Tamayo, a p. Amedeo Cencini e alla abadessa Anne-Emmanuelle Devêche, a pochi anni da una visita precedente, la visita si è svolta fra il 6 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020. Le visite canoniche seguono un preciso schema: l’ascolto di ogni confratello e consorella, gli incontri con la comunità e la relazione condivisa fra i visitatori da trasmettere all’autorità competente per le decisioni in merito.
Di solito i visitatori danno ampio spazio al dialogo personale di cui appuntano i passaggi maggiori. Il risultato esprime l’opinione ampiamente condivisa, anche se non unanime, della comunità. Le decisioni dell’autorità superiore ne rispecchiano molto spesso le attese prevalenti. Il caso di Bose è complicato dal fatto che la comunità non è riconosciuta nell’Ordo monasticum, non ha quindi le forme giuridiche e amministrative classiche delle abbazie, né il sistema di pesi e contrappesi comuni ai monasteri.
Né Bianchi né gli altri monaci interessati alle disposizioni sono parte del clero e la comunità non fa riferimento al dicastero dei religiosi. Gli orientamenti giuridici sono meno precisi, anche se, trattandosi di un decreto con l’autorità papale, non ammette ulteriori ricorsi. Nel comunicato della comunità si ricorda l’esercizio del massimo rispetto ai diritti di riservatezza degli interessati. «A partire dalla notifica del decreto, l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio» e ha consigliato di rendere pubblici i nomi.
Se la maggioranza mette in evidenza le difficoltà relative all’esercizio dell’autorità del fondatore e il suo condizionamento del governo, la minoranza richiama l’opportunità di salvare l’identità specifica di Bose rispetto al pericolo di “normalizzazione”: una tensione che attraversa sia i fratelli che le sorelle.
Turbamento
Il turbamento di una parte significativa del cattolicesimo italiano è legato non tanto all’appannarsi dell’immagine di Bose, ma al rischio che essa possa conoscere un tramonto, se non una implosione, sulla base di motivazioni che non interessano motivi gravi come gli abusi né aspetti rilevanti della fede.
La coerenza fra magistero papale di Francesco e testimonianza monastica di Bose sconsiglia una lettura di contrapposizione istituzionale e orienta verso una tensione prevalentemente interna. In attesa di ulteriori sviluppi e dell’evoluzione delle decisioni personali, l’invito è di accompagnarne il cammino con il sostegno della preghiera.
Le informazioni di cui si viene a conoscenza in questi casi sono sempre parziali quindi è bene sospendere ogni giudizio, soprattutto sulle persone coinvolte. Certo è che spezzare la comunione è sempre una controtestimonianza che ha gravi ricadute su tutta la Chiesa. E’ un grave fallimento che ci rende come cristiani uguali a tutti gli altri e incapaci di trasmettere quel di più cristologico che interroga i cuori e fa la differenza. Abbiamo appena celebrato la Pentecoste e lo Spirito Santo fonte di unità…ci sono problemi? Ci si separa e ci si allontana…e ci omologhiamo alla mentalità del “mondo”…ma se il sale perdesse il suo sapore…
Lara
Nessuna eventuale causa deve infrangere la comunione e l’unita’. Misericordia! CARITA’! Non punizioni! Abbracciatevi e ricominciate “con Cristo”! Invidia orgoglio vanagloria… non vengono dallo Spirito. Non si allontanano i fratelli !!! Si deve dialogare e continuare in pace. È ciò che scrivete e predicate. Lo vuole il Signore. Trattenete i fratelli Siete ancora in tempo.
Comunque la si legga è una storia brutta e molto dolorosa.
Non rimane che pregare.
Un personalismo di meno all’interno della comunità ecclesiale, intendo Chiesa globale, che non ne ha proprio bisogno. Certo l’immagine di Bose ne esce un po’ appannata (e anche di questo non ce n’era bisogno) e ancor più la figura dell’ex priore Bianchi, ma la triste vicenda mostra ancora una volta che occorre saper abbandonare il “mio” per passare al “nostro”, l’io per passare al “noi” e forse Bianchi ha faticato un po’ troppo in questa “impresa”, nonostante quanto era, e sarà ancora, capace di scrivere e indicarci. Certo non è facile abbandonare la propria firma per passare ad un noi collegiale, ma è quanto mai necessario agire in prima persona: articoli e prediche sono sacrosanti, ma la testimonianza personale è quella che può indurre una riflessione e, talvolta, anche una conversione.
Conosciamo e frequentiamo la comunità di Bose da quando è nata alla fine degli anni 60 del secolo scorso. Come famiglia, abbiamo ricevuto molto da questa piccola oasi cristiana di bellezza e di evangelica fraternità/sororità. Quello che sta succedendo ora ci sembra una cosa quasi inverosimile, anche se pensiamo che non ci siano luoghi o persone esenti dalle fatiche e dalle difficoltà che ognuno può incontrare. Possiamo solo pregare perché le ferite non siano troppo dolorose per le persone e non venga meno la testimonianza che la comunità di Bose ha offerto in tanti anni e a tante persone.
Andrea e Margherita