Il volume raccoglie sei intense riflessioni del professore emerito di Filosofia teoretica all’Università di Milano-Bicocca. Lo Schmerzenmann – vir dolorum, «l’uomo dei dolori» – è un’immagine che nei secoli ha attirato l’empatia, la compassione e la contrizione di moltissimi credenti e non. Natoli sottolinea subito però il fatto che la «patetica della miseria» non si addice al Cristo sofferente e crocifisso, essendo il suo un dolore non patito per cause naturali dovute alla natura umana mortale ma un dolore inflitto e patito ingiustamente per la violenza degli uomini di quel tempo.
La teologia ha elaborato un’ampia riflessione a partire dal fatto che Cristo patì pro nobis. Ma anche questo fatto ha subìto deviazioni teologiche e scorrettezze spirituali. Gesù infatti non ha patito al posto nostro e a causa nostra quale sacrificio espiatorio per placare l’offesa ricevuta dal Padre da parte dell’umanità peccatrice, come spesso si è scritto e predicato. «Questo è paganesimo», grida Nietzsche!
Gesù, vero uomo e vero Figlio di Dio, è morto a nostro favore per ridare all’uomo la gioia di una vita divina. Con la sua sofferenza ingiusta e subìta, vissuta nel perdono e non nella volontà di rivalsa, egli neutralizza il male svelandone la vanità, spezza il cerchio della violenza e ci insegna e ci dona la forza di vivere per il regno di Dio.
La terza riflessione si sofferma sulla domanda rivolta da Pilato a Gesù circa la sua regalità, mentre la quarta è dedicata all’esclamazione del prefetto romano di fonte al Cristo torturato e flagellato selvaggiamente: «Ecce homo». Questo pone tutti di fronte alle proprie responsabilità, ma in primis a quelle dei diretti colpevoli. «La contemplatio dell’uomo dei dolori ci pone innanzi all’umanità violata nella vittima, ma ancor più innanzi a quella perduta dagli stessi carnefici» (p. 43). «L’Ecce homo» svela le diverse facce dell’umanità: il dogmatismo dei capi, l’eccitabilità e la strumentalizzazione delle folle, la ricerca del capro espiatorio, il facile giustizialismo, i più o meno squallidi compromessi e, soprattutto, la giustizia non resa» (pp. 44-45).
In Gesù crocifisso e innalzato, «figlio di Dio» ma anche «servo di Dio/pais tou Theou», si compiono le profezie di Is 53. Si realizza certo la sua intronizzazione ma è pure esposta pubblicamente l’umanità misconosciuta e umiliata. In lui si può contemplare la quantità di dolore che in tutti i tempi viene inflitto e che invece potrebbe essere evitato, ma che – purtroppo – è lasciato correre, da noi, colpevolmente.
Eritis mihi testes è il titolo della quinta riflessione. L’icona dell’uomo dei dolori invitava il credente a un’adesione privata e strettamente personale all’imago Christi. La Via crucis, invece, era ed è una pratica devozionale sulla passio Christi di tipo narrativo, più corale e discorsiva. In essa si applica, talvolta con un tema preciso, il quadro rappresentato dallo Schmerzenmann alle condizioni dell’umanità odierna. Questo immedesimarsi dell’uomo nelle sofferenze di Cristo, nella certezza che, grazie a quel suo sacrificio, egli sarebbe arrivato alla gloria, ha guidato la Chiesa a far sì che «il farsi uomo di Dio doveva condurre l’uomo al trasumanar dell’uomo in Dio; esser liberato dal dolore e dall’ultimo aculeo, la morte» (p. 55). Credono ancora questo i cristiani di oggi? si domanda Natoli.
Oggi pare – osserva l’autore – che, nei credenti, si sia insinuato «qualcosa di umano, troppo umano da risolvere quello che un tempo si chiamava la “patria celeste” […] nella pratica tutta terrena della carità» (p. 55). Al posto del «resurrexit tertia die» – e ciò che ne consegue –, constata Natoli, è ormai d’uso correte l’espressione: Gesù (o meglio Dio) «in compagnia degli uomini». «Mi pare indice evidente di uno slittamento – conclude lo studioso – e non tocca a me dire quanto sia rilevante agli effetti del credere» (p. 57).
Non è necessario essere cristiani per vivere la compassione tanto esaltata oggi, secondo Natoli. Molti non credenti possono condividere l’aspetto di Gesù quale ideale morale di amore che rende più amabile la vita sulla terra.
L’exinanivit ricordato da Paolo in Fil 2,7– Natoli ama citare i testi biblici in latino – è interpretato dall’autore in termini filosofici moderni come un invito a oltrepassarsi aprendosi agli altri. Uccisa l’idolatria dell’io, la cupidigia del dominio instillata dal diabolos che vuole dividere l’uomo da Dio, è possibile trovare la vera via per diventare dèi, per avvicinare – almeno – il regno di Dio (che, per Nietzsche, «esiste ovunque e in nessun luogo»), assimilando ciò che ha vissuto il vir dolorum. Guardare a lui tormentato, piagato ma che mantiene lo sguardo mite e non condannatorio, rende possibile a ogni uomo diventare solidale con tutte le vittime del dolore inflitto, non chiudere gli occhi di fronte ad esso, ma sentirsi responsabili delle sofferenze evitabili e che invece avvengono per le proprie connivenze e omissioni. Grazie a questo, il Regno può – almeno – avvicinarsi (cf. p. 74).
«Tradotto in un vocabolario profano, dico che solo nella communio può esserci per gli uomini salvezza», afferma Natoli (p. 71). Lo sperimentiamo sulla pelle in tempo di Covid-19, non ancora comparso quando lo studioso stendeva queste riflessioni…
PS. Una breve osservazione. A p. 11 Natoli, riferendosi a Col 1,24 senza citarlo espressamente, parla di una strumentalizzazione che ha reso equivoca la formula di Paolo, pur annotando che lì si parla delle sofferenze di Paolo dovute alla sua missione e alle persecuzioni che l’accompagnano. Osservo però che, se ci si attiene alla nuova traduzione CEI 2008, ogni equivoco è ben risolto. Non si parla infatti più di sofferenze che completerebbero quelle mancanti a Cristo, ma di sofferenze apostoliche che completano ciò che in Paolo (e tendenzialmente in ogni credente) manca della piena assimilazione del mistero pasquale di Cristo, alla cui pienezza di redenzione onerosa non fa difetto alcuna sofferenza colmabile dall’uomo.
All’ultima riga di p. 34 leggasi non «procuratore» ma «prefetto».
Salvatore Natoli, L’uomo dei dolori (Le ispiere s.n.), EDB, Bologna 2020, pp. 80, € 9,00, ISBN 978–88–10–56919–1