La Zeit di oggi pubblica un articolo di Heiner Wilmer, vescovo di Hildesheim ed ex superiore generale dei Dehoniani. Wilmer attraversa non solo con lo sguardo, ma anche con il cuore credente, gli eventi recenti che hanno segnato la vita dell’umanità e quella della Chiesa: il Coronavirus, lo scandalo per gli abusi e le violenze sessuali, la perdita di fiducia nell’istituzione ecclesiale e la sua lontananza dalla realtà.
Tutte crisi che, paradossalmente, toccano insieme il mondo e la Chiesa; mostrando quasi all’inverso un legame dal quale non possono sciogliersi. Questo vincolo però può diventare distruttivo per entrambi, quando ci si fossilizza in un meccanismo di accusa e giustificazione, attacco e difesa. È compito della fede trovare la via per uscire da questo circolo vizioso di azione-reazione perfettamente speculari tra di loro. Cogliere «le crisi come un’occasione per trovare di nuovo la nostra strada e poter essere qui per gli altri» (H. Wilmer).
Ma come? In primo luogo rinunciando al perfezionismo ecclesiale, ma anche a quella professionalità tipica del cattolicesimo tedesco che si traduce in procedure tecnicamente «pulite» e irreprensibili, ma che sono in realtà «una prigione» per la fede concreta e per i suoi slanci nella storia che viviamo: «La sfida per la nostra Chiesa è quella di appoggiarsi sì su antiche fondamenta, ma di essere realmente inserita nelle strade di oggi» dove uomini e donne di ogni genere, provenienza, cultura, vivono concretamente le loro esistenze.
Mons. Wilmer riprende un passaggio di una canzone di Leonard Cohen come indicativo della Chiesa che deve venire, come principio del suo stile che sarà: «Dimentica la tua offerta perfetta. In ogni cosa c’è una crepa. È così che passa la luce» Quindi, quello a cui il cattolicesimo deve aspirare «non è una Chiesa perfetta, ma una comunità a più voci».
E ogni voce deve essere ascoltata. Dopo aver fatto questo, compito del vescovo è anche trovare modi per far sentire le voci della fede della sua Chiesa locale in quella universale – voci che possono essere scomode, che possono non piacere, ma che hanno diritto di parola e di essere debitamente ascoltate. Ognuna di queste voci è quella crepa di cui canta Cohen – quella che ci ricorda «che la vita perfetta, anche la perfetta vita religiosa della fede, non esiste». Ogni vita, ogni fede, ha le sue crepature – fanno male talvolta, certo, ma da lì entra la luce, passa la generosa attenzione di gesti inattesi di prossimità, può passare la nostra vita fragile e frammentata verso Dio. «Dobbiamo avere uno sguardo sensibile per i cuori feriti di oggi, per le crepe nelle vite degli altri, per le cesure nelle nostre proprie esistenze».
La Chiesa è un’istituzione e, quindi, le questioni istituzionali vanno prese sul serio; ma, secondo mons. Wilmer, non basta fermarsi a mettere mano all’architettura istituzionale della Chiesa. Bisogna chiedersi quale ne è il senso, se ancora ne ha uno; perché una fede vissuta si è lentamente condensata in quella forma istituzionale? «Ben più importante della questione se la Chiesa cattolica debba ordinare preti uomini sposati e donne, è domandarsi che senso abbia oggi il ministero ordinato». Da qui bisogna partire per trovare la risposta alla prima, altrimenti rischiamo solo di mettere delle pezze qua e là senza rinnovare effettivamente la Chiesa.
E solo una rivoluzione spirituale potrà salvare la Chiesa da se stessa: «La rivoluzione spirituale di cui abbiamo bisogno è questa: dobbiamo diventare gente che è in cerca. Solo quando riconosciamo quanto sia cambiato il mondo, allora oseremo mettere in campo una trasformazione radicale della nostra Chiesa». È nel mondo e dal mondo che la Chiesa impara il realismo del Vangelo che le è affidato. Non solo Chiesa in uscita, quindi, ma Chiesa che uscendo dal mito della propria perfezione può trovarsi così piena di crepe che lasciano passare la luce del Vangelo che annuncia. Solo questa crepatura dell’apparato istituzionale può consentire alla Chiesa di godere il tepore tremulo del raggio di luce che vuole toccare anche lei.
CARÍSIMO MARCELO NERI, TE ESCRIBO EN CASTELLANO, PORQUE AUNQUE HABLO Y LEO BIEN EL ITALIANO Y SOY HIJO DE INMIGRANTES ITALIANOS DE CINGOLI, ANCONA, NO LO ESCRIBO BIEN. TU COMENTARIO ME LO ENVIÓ UN GRAN AMIGO DEL MOVIMIENTO DE LOS FOCOLARES, CARLO CASABELTRAME.
CREO REALMENTE QUE TUS COMENTARIOS Y REFLEXIONES SON MUY BUENAS, PARA LA IGLESIA, Y PARA LA URBE ET ORBIS. SEGURAMENTE EL MUNDO ESTÁ MOSTRANDO UN CAMBIO INESPERADO, GRACIAS AL COVID19, AUNQUE PAREZCA MENTIRA, A VECES EL UNIVERSO DICE, HABLA, AUN CON MALATIES RARES, COMO ESTA. Y NOS HABLA O ENSEÑA QUE EL MUNDO DEBE CAMBIAR, Y POR SUPUESTO LA CHIESA CATOLICA TAMBIÉN. TE AGRADEZCO TUS COMENTARIOS. CON AFECTO. DANIEL IOSA
Quanto è vero quello che dice anche per l’Italia! Sia nella Chiesa che nella società non si è più capaci di affrontare la “fatica di pensare”. Reagire a chi la pensa diversamente riaffermando solo le proprie convinzioni, è facile e non costa niente. Il dialogo esige riflessione su quello che l’altro pensa e disponibilità a coglierne la verità, anche alla luce che le “crepe” della realtà lasciano filtrare.