Il papa di Roma può intervenire nella drammatica frattura nelle Chiese ortodosse? La sola domanda produce stupore e irritazione: a Roma per la scelta di una rigorosa neutralità fra i contendenti, a Mosca dove l’accusa di “papismo” è la più ricorrente nei confronti di Bartolomeo, a Costantinopoli perché si ritiene confermata la propria autorità dal grande sinodo di Creta (2016) senza bisogno di ulteriori supporti. Il riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa ucraina da parte del Patriarcato di Costantinopoli (6 gennaio 2019) ha provocato uno scisma che minaccia l’insieme delle Chiese ortodosse e non trova vie di soluzione.
La distanza storico-culturale fra mondo ellenico e slavo, l’esercizio della primazia e quello della sinodalità, il ruolo delle singole Chiese nell’insieme dell’Ortodossia e il «deprecato e invidiato» primato petrino sono le questioni che travagliano il mondo ortodosso e che trovano poca attenzione in Occidente. Ma la questione è un dramma per l’intera cristianità e per la testimonianza della fede, particolarmente in Europa e in Occidente. Il sogno di alcuni nella Chiesa cattolica è un invito al vescovo di Roma per uno scambio fraterno fra i due patriarcati di Mosca e Costantinopoli. Può essere un momento provvidenziale di incontro fra un nuovo esercizio del primato romano, la crescente consapevolezza del ruolo della sede constantinopolitana e la sua primazia di onore e lo sviluppo imperioso della Chiesa russa che con i suoi 150 milioni di fedeli rappresenta oltre la metà dell’intero mondo ortodosso.
Lo studio che presentiamo è del gesuita ed esperto delle Chiese d’Oriente p. Germano Marani. Non riguarda l’attualità e le domande prima ricordate, ma presenta un libro di Vladimir Solov’ev (La Russia e la Chiesa Universale)[1] che affronta gli stessi problemi in un contesto storico ormai lontano. Scritto fra il 1887 e il 1889, il testo ha una singolare capacità di interloquire con le difficoltà più recenti e, pur non offrendo soluzioni, alimenta i pensieri e la passione per il Vangelo (L. P.)
Il pensiero di Vladimir S. Solov’ev (1851-1900) e la sua opera La Russia e la Chiesa Universale, può ispirare riflessioni fruttuose sul presente e sul prossimo futuro delle Chiese. Ci interessa soprattutto evidenziare il sottofondo culturale e spirituale di queste riflessioni di Solov’ev.
Prima di passare alla riflessione spirituale, per esempio, sul Potere Spirituale nella Chiesa, fermiamoci su alcuni fatti storici. Il leggendario monaco russo Filofej coniò l’espressione «terza Roma». «Due Rome sono cadute (quella di Pietro e di Bisanzio)» scriveva all’allora granduca moscovita Vasilij III. «La terza (Mosca) rimane salda e non ve ne sarà una quarta». L’autocefalia de facto dell’ortodossia russa avvenuta già nel 1448, è formalizzata de iure, dal Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos solamente nel 1589. Prima di queste date altre città russe vennero associate a Roma: già prima di Mosca, Tver e Novgorod; successivamente, all’inizio del XVIII secolo, anche San Pietroburgo. Nel XV secolo il monaco Foma considerava il principe Boris Alexandrovič di Tver, all’epoca rivale di Mosca, come «il nuovo Giacobbe», «il nuovo Giuseppe», «l’altro Mosè», e veniva anche paragonato agli imperatori romani.
Foma chiamava il principe Boris con il titolo di imperatore, e la città di Tver come «nuova Israele». Con Pietro il Grande toccò a San Pietroburgo essere considerata sede della «nuova Roma». Fino al XVII secolo in Russia si parlava anche di «nuovo Israele», di «nuova Gerusalemme». Il Concilio del 1666/1667 influenzò le immagini evocatrici. Il patriarca Nikon fece costruire un monastero vicino a Mosca detto «Nuova Gerusalemme»). Mosca erede imperiale di Roma ed erede spirituale di Gerusalemme (cf. gli studi della storica inglese Maureen Perrie) storica inglese e professoressa di Storia russa del Centro Studi sulla Russia e sull’Europa dell’Est dell’Università di Birmingham.[2]
Unità originaria
In questo momento[3] non possono restare senza risonanza le parole scritte da Vladimir S. Solov’ev più di 130 anni fa che affrontano in modo storico-teologico-culturale-sapienziale, il tema Roma Costantinopoli Mosca, in La Russia e la Chiesa Universale (la cui stesura va dal 1887 al 1889).[4]
È effettiva l’unione della Chiesa se si mantiene la differenza delle Chiese locali. Dal punto di vista ecclesiale ed ecclesiologico è l’unità che precede e fonda sia l’unità che la differenza. Un unità non astratta ma visibile, storica, organica.
Preoccupazione primaria del cammino di avvicinamento e di conoscenza reciproca e di collaborazione fra le Chiese dovrebbe essere il riconoscimento della diversità per restituire la diversità a sé stessa e per farla essere una reale diversità e non una semplice confusione o separazione o mescolanza. L’unità è il luogo di legittimazione delle differenze che solo nell’unità sono reali, mentre fuori di essa sono separazioni ferite in ragione della storia o della politica, se non un’adeguamento ai principi di questo mondo. È successo, ad esempio, che i Veterocattolici si sono separati da Roma per poi giustificare la politica prussiana di Bismark…
Più che una riunificazione delle Chiese V. Solov’ev sottolinea l’unità della Chiesa universale: «non vivificate dall’unità le differenze rimarrebbero nel loro esclusivismo, e si avrebbe un irenismo insostenibile, indifferente alla verità, senza alcun legame organico con le altre Chiese, una sorta di quietismo e immobilismo fra le Chiese, che una volta constatato il dono dell’unità, lascerebbe le Chiese immutate nella loro separazione (…) L’unità dell’indifferenza, ampia ma vuota, che non presuppone alcun legame organico e non esige alcuna comunione effettiva tra le Chiese particolari ma si accontenta di fare astrazione dalle differenze attualmente presenti (…) e si dice soddisfatta dell’unità puramente teorica ottenuta in tal modo» (cf. A. Dell’Asta, Introduzione a La Russia e la Chiesa Universale, p. 22).
Ma quale è la verità che non può lasciare indifferente nessun cristiano? Un dono di vita nuova e buona, che è data all’uomo, in cui diventa possibile la diversità. «Su questa idea di un’unità originaria si apre in effetti La Russia e la Chiesa Universale, nella quale Solov’ev non perde occasione di precisare che “la verità è l’esistenza assoluta di tutti nell’unità, è la solidarietà che è eternamente in Dio, che venne perduta dall’uomo naturale e riconquistata dall’uomo-Cristo» (cf. A. Dell’Asta, Introduzione La Russia e la Chiesa Universale, p. 19).[5]
Per V. Solov’ev l’unità astratta viene in qualche modo incarnata nei legami organici fra le persone e in particolare con una persona: il vescovo di Roma che custodisce non solo la fede, ma anche l’unità nella diversità. Esso sostiene le diversità nell’unità, perché fondamentalmente la libertà di fare questo è difesa dal primato romano. In questo senso il termine pietra riferito a Pietro è un termine di relazione.
Ecclesializzare il mondo
Davanti alle Chiese unite sta un grande compito: far essere le Chiese locali sempre più nella Trinità, fra i santi, per poter ecclesializzare il mondo. Anzi, ecclesializzare il cosmo e l’universo intero. Questo viene prima di qualsiasi interesse politico.
Da sempre, da secoli, l’uomo, in Oriente e Occidente, ha un’identica esigenza di una verità assoluta, la rivendicazione del valore assoluto della persona, e il bisogno di realizzare questa verità e questo valore nel mondo esterno.[6] «Non si può fuggire dal mondo e si deve entrare in esso per trasfigurarlo», scrive V. Solov’ev nella lettera alla cugina Katja Romanova. Il Verbo si fece carne e questa nuova carne deificata, spiritualizzata, rimane la sostanza della Chiesa. La misteriosa incognita della vita umana, l’Arca perduta, il Tesoro nascosto cercato da sempre dall’uomo, è l’umanità conforme a questo elemento divino-umano capace di unirsi ad esso e assimilarlo.
Ciò che è avvenuto nel XVIII secolo in Francia, se, da una parte, ha spazzato via molte iniquità, dall’altra, ha provocato una sorta di fallimento quando si è cercato di creare un ordine sociale basato sulla mera giustizia (La Russia, p. 36). «L’affermazione dei diritti dell’uomo, per diventare un principio positivo di edificazione sociale, richiedeva innanzitutto un’idea vera dell’uomo» (La Russia, p. 36).
Solov’ev cita più volte l’erronea e non completa interpretazione del «date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio» come se si trattasse di due sfere della vita umana separate.
Una società professa il cristianesimo come sua religione e resta pagana non solo nella sua vita, ma in ciò che concerne la legge della sua vita. «Si vorrebbe limitare l’azione sociale del cristianesimo alla carità», dice Solov’ev, «ma è un’applicazione moderna dell’antica antinomia gnostica e di Marcione. Lo scopo della volontà di Dio, il Regno di Dio è che tutti i rapporti tra gli uomini siano determinati dall’amore fraterno e dalla carità. Se la fede che la Chiesa comunica all’umanità cristiana divino-umana è una fede viva e se la grazia dei sacri misteri è una grazia efficace, l’unione divino-umana che ne deriva non può essere confinata in un ambito esclusivamente religioso, ma deve estendersi a tutti i rapporti pubblici dell’umanità» (cf. La Russia, p. 37).[7] V. Solov’ev non rinuncia alla sua visione di unitotalità, di tutt’unità, che lo contraddistingue.
Il divino-umano nella storia è utopia?
Secondo Solov’ev «se la fede che la Chiesa comunica all’umanità cristiana è una fede viva e se la grazia dei sacri misteri è una grazia efficace, l’unione divino-umana che ne deriva non può essere confinata in un ambito esclusivamente religioso, ma deve estendersi a tutti i rapporti pubblici dell’umanità, rigenerare e trasformare la sua vita sociale» (La Russia, p. 38). Solov’ev dice che la Verità è la giustizia e che l’istinto della solidarietà internazionale è sempre esistito nell’umanità storica, idea realizzata in maniera incompleta nella «cristianità del Medioevo, che considerava una guerra fra nazioni cristiane, una guerra intestina, un peccato e un crimine» (La Russia, p. 40). La solidarietà presuppone non solo il diritto di ogni individuo, ma anche il suo valore proprio e intrinseco che non consente di farne un semplice mezzo del benessere generale. «È il cristianesimo che attribuisce un valore infinito ad ogni essere umano» (La Russia, p. 40).
«Nella città di Dio lo straniero ha diritto di cittadinanza, lo schiavo ha diritto all’emancipazione e il criminale ha diritto alla rigenerazione morale. Nella città di Dio non ci sono più nemici né stranieri, né schiavi, né proletari, né criminali, né condannati. Lo straniero è un fratello che vive lontano, il proletario un fratello sfortunato cui bisogna prestare soccorso, il criminale un fratello caduto che dobbiamo risollevare» (p. 41).
Per Solov’ev il cosiddetto stato cristiano medioevale bizantino ha fallito nel suo scopo, e anche quando la missione di fondare uno stato cristiano fu trasferita al mondo romano-germanico, non fu un successo. Anche se in Occidente c’era la coscienza esplicita dei propri mali e la profonda ispirazione a liberarsene – ciò che è attestato dagli innumerevoli concili convocati dai papi, dagli imperatori e dai re, per promuovere delle riforme sociali nella Chiesa e per avvicinare lo stato sociale all’ideale cristiano (cf. La Russia, p. 54) – la monarchia occidentale non ha adempiuto alla sua missione. E neanche il papato, secondo Solov’ev, ha adempito fino in fondo alla sua missione a livello sociale.[8]
In questo contesto è molto interessante il punto di vista di V. Solov’ev ne La leggenda russa di San Nicola e San Cassiamo. La sua applicazione alle due Chiese separate. Egli afferma: «L’ideale religioso dell’Oriente cristiano non è falso ma è incompleto. Per la cristianità orientale da mille anni a questa parte, la religione si è identificata con la pietà personale, e la preghiera è considerata l’unica opera religiosa. La Chiesa occidentale pur non negando che la pietà individuale sia l’unico vero germe di ogni religione, vuole che questo germe si sviluppi e porti dei frutti in un’attività sociale organizzata per la gloria di Dio e per il bene universale dell’umanità» (La Russia, p. 66).
E tra san Nicola e san Cassiano sarà san Nicola ad avere due feste all’anno mentre san Cassiano è ricordato solo il 29 febbraio, cioè una volta ogni quattro anni, perché san Nicola ha aiutato il contadino che lavorava sporcandosi la clamide di fango.
È merito di Solov’ev l’aver messo in evidenza il sottofondo metafisico, ontologico e spirituale della questione che sta alla base delle dispute fra poteri statali ed ecclesiali, in Europa e non solo, nella storia e nel presente. E cioè: il rapporto fra divino ed umano nella Chiesa e nello Stato; fra slavofilismo e occidentalismo; fra ellenofilismo ed Europa; fra Bisanzio e Mosca.
Forse non è sottolineato abbastanza, in questa visione, il mistero del fallimento europeo, e con esso anche le ferite inferte e subite. Non casualmente la Chiesa ha chiesto perdono (cf. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). Gli europei vengono definiti da Jan Patochka un popolo di terremotati, dopo le due guerre mondiali del XX secolo fra nazioni cristiane. Col Vaticano II si staglia il mistero umile e solenne di Chiesa peregrinante Popolo di Dio.
La visione di Solov’ev resta comunque un importante tentativo filosofico-metafisico-dogmatico, seppure datato e appartenente a un determinato periodo storico, di fondare il rapporto Chiesa-stato, fra i ministeri sacerdotale, regale e profetico e fra Chiese. Alcuni pensatori religiosi ortodossi e cattolici hanno alimentato la visione di un braccio secolare della Chiesa, dell’elevazione dell’importanza politica della stessa Chiesa e hanno dovuto a loro volta subire, nel bene e nel male, le conseguenze di quelle che sono state le realizzazioni storiche di questo braccio secolare della Chiesa nei secoli che vanno dal XVIII al XXI secolo. In questa visione di sinfonia-sinergia, di cui Solov’ev critica gli esiti storici, restano senza copertura filosofica il mistero del male, il mistero della croce di Cristo, trono del Re della gloria.[9]
Nel consesso delle Nazioni
Per la Chiesa orientale è impossibile avere un concilio ecumenico, mancando la sua parte occidentale. Solov’ev scrive che la Chiesa universale ha queste prerogative, nella sua parte occidentale. Ma se si riconosce il papato come un’istituzione legittima, che fine farà «l’idea russa»? Il santo metropolita Filaret (Drozdov, 1782-1867) ha scritto: «La vera Chiesa cristiana comprende tutte le Chiese particolari che confessano Gesù Cristo “venuto nella carne”. La dottrina di tutte queste società religiose è, in fondo, la stessa verità divina; essa però può essere accompagnata da opinioni ed errori umani. Nell’insegnamento di queste Chiese particolari, vi è una differenza di maggiore o minore purezza. La dottrina della Chiesa orientale è più pura delle altre, e la si può anzi considerare assolutamente pura dato che non associa nessuna opinione umana alla verità divina. Ma peraltro, siccome ogni comunione religiosa ha in tutto e per tutto la stessa identica pretesa ad una perfetta purezza di fede e di dottrina, è opportuno non giudicare le altre e lasciare il giudizio definitivo allo Spirito di Dio che governa le Chiese» (La Russia, p. 80).
«Questa – continua Solov’ev – è l’opinione del metropolita Filaret e come lui la pensa la parte migliore del clero russo. Ciò che vi è di aperto e conciliante in questo modo di vedere non può però nascondere i difetti essenziali. Il principio di unità e universalità nella Chiesa, in questo caso, è ricollegato esclusivamente al fondo comune della fede cristiana (il dogma dell’Incarnazione). Ma questa fede veramente fondamentale in Gesù Cristo, Dio uomo, non è considerata come il germe vivo e fecondo di uno sviluppo ulteriore. Il teologo moscovita vuole vedervi come l’unità definitiva del mondo cristiano.
L’unica, tra l’altro, che egli ritenga necessaria. Egli si accontenta di fare astrazione dalle differenze attualmente presenti nella religione cristiana e si dice soddisfatto dell’unità puramente teorica ottenuta in tal modo». E aggiunge: «È l’unità dell’indifferenza, ampia ma vuota, che non presuppone alcun legame organico e non esige alcuna comunione effettiva fra le Chiese particolari. La Chiesa universale è ridotta ad un ente di ragione. Le parti sono reali ma il tutto non è che un’astrazione soggettiva (…) ciò che si manifesta attualmente non è altro che l’esistenza delle parti separate, mentre la loro unità sostanziale è scomparsa nelle regioni del mondo invisibile» (La Russia, p. 80).[10]
La Chiesa universale non astratta del resto era già ben spiegata da A.J. Mohler in Die Symbolik der Christliche Kirche, citata da Solov’ev stesso. I cattolici, secondo Solov’ev, credono che sia più sicuro attraversare il mare insieme su una nave grande e collaudata, opera di un costruttore famoso e guidata da un abile nocchiero. Questo produce un ulteriore passaggio, anche personale, di V. Solov’ev: la Chiesa universale non può essere solo astratta, senza visibili e organici legami, deve essere guidata da un nocchiero abile, da una persona, e cioè il vescovo di Roma, visibile e storico.
Chiesa russa e Chiesa greca
Secondo Solov’ev siamo di fronte a una questione di atavica sfiducia se non di inimicizia. Egli sottolinea: «L’odio geloso dei greci nei confronti dei russi, ai quali questi ultimi rispondono con un’ostilità mista a disprezzo, è il fatto prevalente e decisivo nel determinare i rapporti reali di queste due Chiese nazionali, che, ufficialmente restano in comunione religiosa. Ma anche questa unità ufficiale è sospesa ad un filo e tutta la prudenza sacerdotale di San Pietroburgo (allora era la sede del sinodo della Chiesa ortodossa russa, ndr) e di Costantinopoli non è mai di troppo per chi vuole evitare che questo legame così tenue finisca per rompersi. E non è certo per carità cristiana che si vuole conservare questo simulacro di unità» (p. 96). Parole forti e dure. Parole profetiche?
Ma Solov’ev non si ferma e continua: «Il giorno della rottura formale tra la Chiesa russa e la Chiesa greca apparirà chiaro a tutti che la Chiesa ecumenica orientale non è altro che una finzione e che in Oriente esistono soltanto delle Chiese nazionali isolate (…). Quanto alla Chiesa di Costantinopoli (…) sarebbe forse ben contenta di sbarazzarsi dei barbari del Nord che sono soltanto di ostacolo alle sue tendenze panelleniche. In questi ultimi tempi il patriarcato di Costantinopoli è stato due volte sul punto di anatemizzare la Chiesa russa» (nel 1882, quando il sinodo russo si rifiutò di aderire esplicitamente alla decisione del concilio greco che aveva scomunicato i bulgari, e nel 1884 quando il governo russo invitò la Porta a nominare due vescovi bulgari per le diocesi che i greci consideravano di loro esclusiva competenza, cf. La Russia, pp. 96-97). La Chiesa di Gerusalemme composta da clero greco dipende ecclesialmente da Costantinopoli e materialmente da Mosca.
Riferendosi al rapporto passato tra Chiesa greca e Chiesa russa, Solov’ev aggiunge che «i capi della Chiesa russa per resistere all’insaziabile assolutismo dello stato non potevano trovare sostegno nella loro metropoli religiosa, che, in sé stessa, non era altro che una Chiesa nazionale da troppo tempo ormai assoggettata al potere secolare». Ciò che ci è venuto da Bisanzio – dice Solov’ev – «non è certo la libertà ecclesiastica ma quel principio anti-cristiano che è il cesaropapismo che, appunto a Bisanzio, poté svilupparsi senza ostacoli dopo la separazione delle Chiese.
Il potente sostegno che fino ad allora la gerarchia greca aveva trovato nel centro indipendente della Chiesa universale – quando gli imperatori greci si inserivano nelle faccende spirituali e minacciavano la libertà della Chiesa – i suoi rappresentanti, che fossero san Giovanni Crisostomo o san Flaviano o san Massimo confessore o san Teodoro studita o ancora il patriarca Ignazio, si rivolgevano sempre al centro internazionale della cristianità, si appellavano all’autorità del sommo pontefice e trovavano a Roma un rifugio inespugnabile e un sostegno incrollabile per la loro causa. La Chiesa greca in quei tempi era e sentiva di essere una parte viva della Chiesa universale, intimamente legata al grande tutto attraverso il centro comune dell’unità: la cattedra apostolica di Pietro.
I rapporti di dipendenza nei confronti di un successore dei supremi apostoli, nei confronti di un sacerdote di Dio, questi rapporti puramente spirituali, legittimi e pieni di dignità, furono sostituiti da un assoggettamento mondano, illegale e umiliante a dei semplici laici e a degli infedeli. Non si tratta qui di un accidente storico. La logica delle cose, necessariamente, fa sì che ogni Chiesa puramente nazionale venga privata della sua indipendenza e della sua dignità e finisca col trovarsi sotto il giogo più o meno pesante ma sempre disonorevole del potere temporale (cf. San Vladimir e lo Stato cristiano, La Russia, p. 275).
Un «quasi-papato»
Solov’ev aveva intravisto i prodromi di un progetto di un «quasi papato», a Costantinopoli e a Gerusalemme (non dimentichiamo che a Calcedonia i vescovi motivarono il passaggio di primazia di Costantinopoli al secondo posto dopo Roma, soprattutto per motivi politici, Bisanzio era infatti sede dell’imperatore). Progetti che oggi, anche se si chiamano in modo diverso come primazia nell’Ortodossia e primazia nella regione, hanno ancora alcuni fautori e sostenitori. Il desiderio preconcetto di situare il centro della Chiesa universale in Oriente rivela, secondo Solov’ev, un amor proprio locale, più atto a produrre delle divisioni che alimentare l’unità cristiana.
Una volta che sia accettata la necessità di un centro universale per l’esistenza normale della Chiesa, si deve riconoscere anche che il divino capo e fondatore della Chiesa ha visto questa necessità e non ha lasciato la condizione indispensabile della sua opera alla mercé della casualità storica e dell’arbitrio umano. Se, sotto il peso dell’evidenza, si concede che la Chiesa non potrebbe essere libera e attiva senza un centro internazionale di unità, si sarà anche costretti ad ammettere che l’Oriente cristiano privo com’è da 1000 anni di questo organo essenziale, non può costituire da solo la Chiesa universale. In questo periodo così lungo, quest’ultima ha dovuto manifestare altrove la sua unità.
L’idea di trovare da qualche parte in Oriente un governo centrale per la Chiesa universale risulta abbastanza discutibile se si considera l’incapacità dei suoi sostenitori di trovare un accordo, anche solo a titolo di progetto teorico o di pio desiderio, sulla seguente questione: a quale dei dignitari ecclesiastici dell’Oriente potrebbe essere affidata questa missione problematica? Per alcuni il candidato è il patriarca ecumenico di Costantinopoli, altri gli preferirebbero la sede di Gerusalemme «madre di tutte le Chiese» (cf. La Russia, p. 104).
«L’impossibilità manifesta di trovare o di creare in Oriente un centro di unità per la Chiesa universale impone il dovere di cercarlo altrove. Innanzitutto dobbiamo riconoscere quello che siamo in realtà – una parte organica del grande corpo Cristiano – e affermare la nostra solidarietà profonda con i fratelli d’Occidente che possiedono l’organo centrale di cui noi siamo privi. Questo atto morale, atto di giustizia e di carità sarebbe di per sé stesso un progresso immenso per noi e la condizione indispensabile di ogni ulteriore progresso» (La Russia, p. 106).
Nella persona di Pietro
Commentando il brano evangelico di Matteo 16,13-19 («Beato te Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli») Solov’ev scrive: «L’unione del divino e dell’umano, che è lo scopo della creazione, si è compiuta individualmente, ipostaticamente nella persona unica di Gesù Cristo». L’opera storica di Dio entra a questo punto in una nuova fase: «Cristo vuole unire a sé secondo un’unione perfetta il genere umano immerso negli errori e nel suo capo “edificherò la mia Chiesa” (…) Cristo non subordina quest’opera a tutte le divisioni naturali, non si unisce a delle nazioni particolari dando loro delle Chiese nazionali indipendenti, non dice edificherò le mie Chiese ma la mia Chiesa».
«L’umanità riunita a Dio deve formare un solo edificio sociale e si tratta di trovare una base solida a questa unità. Un’unione autentica si fonda sull’azione reciproca di chi si unisce (…). Il Dio incarnato, inoltre, non vuole che la sua verità sia accettata in maniera passiva e servile (…). È un fatto divino-umano che si impone alla fede cristiana a dispetto di tutte le interpretazioni artificiose con le quali lo si vorrebbe sopprimere; allo stesso modo, quando vogliamo provare la necessità di un centro indivisibile della gerarchia stessa nel fatto dell’elezione speciale di Pietro come punto di appoggio umano per la verità divina nella sua lotta perpetua contro le porte degli inferi».
Nella fede, è «il fatto di questa elezione unica a dare un fondamento incrollabile a tutti i nostri ragionamenti» (cf. La Russia, pp. 116-117). Per combattere le forze degli inferi il Cristo edifica la sua Chiesa visibile ed è per questo fine che gli dà un centro di unità umano e terreno visibile, anche se sempre assistito da Dio» (cf. La Russia, p. 118).
Solov’ev cerca di capire le conseguenze ecclesiologiche del primato di Pietro: «Perché il concilio dei capi ecclesiastici possa sempre e dovunque trionfare sulla discordia e far confluire la verità delle opinioni private nell’uniformità dei decreti pubblici, perché le discussioni possano finire e l’unità della Chiesa possa manifestarsi realmente, per non esporre questa unita al caso che caratterizza le convenzioni umane, per non edificare la propria Chiesa su queste sabbie mobili, l’architetto divino scopre la pietra solida, la roccia irremovibile della monarchia ecclesiastica e fissa l’ideale dell’umanità legandolo ad un potere reale e vivo» (La Russia p. 118). Sono Pietro e i suoi successori che parlano a nome dell’infallibilità della Chiesa. Il primato di Pietro e dei suoi successori è soprattutto un mistero di fede.
Che la pietra della Chiesa sia il Cristo verità non è mai stato contestato da nessun cristiano. Ma Cristo nella Chiesa è la pietra della Chiesa nell’unione con l’umanità e costituisce la Chiesa stessa e questa unione nell’ordine sociale si realizza in primo luogo attraverso un rapporto centrale: le due pietre, Cristo e il suo principale apostolo Pietro, non si escludono reciprocamente ma sono due termini indivisibili di un unico rapporto divino-umano, tenendo presente che la base viva e fondante della Chiesa per parlare in termini assolutamente generali è la riunione del divino e dell’umano (La Russia, p. 119).
Nella Chiesa, oltre alla vita mistica (cf. esicasmo, ndr) e alla vita individuale, la vita sociale è fondata su un principio di unità che le è proprio: Pietro, attraverso il quale Gesù Cristo ha voluto riunirsi all’umanità in quanto essere sociale e politico. È necessario che la fede sia resa manifesta da una sola persona che parla in nome della Chiesa tutta. Questa unità della fede, questa unità di tutti non sarà resa immediatamente evidente da ciascuno di noi, ma dovrà essere posta in atto per mezzo di una sola persona. Il governo di Pietro non è separato dalla dottrina, il governo di Pietro è per l’unità della fede, della Chiesa e della famiglia umana.
Al servizio della concordia
La Chiesa una e universale trova il suo compimento nella concordia, nell’unanimità di tutti i suoi membri, nell’amore reciproco, ma «per poter sussistere in mezzo a tutte le discordie attuali, ha bisogno di un principio-potere unificatore e conciliatore, che sia inaccessibile a queste discordie e che reagisce continuamente contro di loro e si ponga al di sopra di tutte le divisioni e raggruppi attorno a sé tutti gli uomini di buona volontà, che denunci, condanni tutto ciò che è contrario al Regno di Dio sulla terra» (La Russia, p. 131).
Il cerchio perfetto della Chiesa ha bisogno di un centro unico di potere visibile e ben determinato non per essere perfetto ma per essere (cf. La Russia, p. 131). A questo centro personale divino-umano, scelto da Cristo, si oppone un travaglio intellettuale complesso e raffinato. Solov’ev vuole aiutare a dipanare questa matassa intellettuale-spirituale. Anche per il santo metropolita Filaret di Mosca il primato di Pietro è chiaro ed evidente. (cf. Sermoni e Discorsi, Tomo 2, p. 214, in russo). Dopo aver ricordato che Pietro ricevette da Cristo la missione particolare di confermare i suoi fratelli, cioè gli apostoli, Filaret continua: «In effetti, benché la risurrezione del Signore fosse stata rivelata alle donne portatrici d’aromi, ciò non rafforzò la fede degli apostoli nella medesima. Dopo che è risorto, apparve a Pietro, e, ancor prima dell’apparizione comune a tutti loro, dissero con fermezza: «In verità Il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34). Infine, quando si tratta di colmare il vuoto lasciato nel coro apostolico dall’apostasia di Giuda, il primo a notarlo e a prendere una decisione è Pietro. Poi, subito dopo la discesa dello Spirito Santo, si deve solennemente avviare la predicazione evangelica, è ancora Pietro che, alzandosi ecc. Quando ancora si tratta di gettare le fondamenta della Chiesa cristiana sia fra i pagani sia fra gli ebrei, è sempre Pietro che impartisce il battesimo a Cornelio e questa non è la prima volta che si compiono in lui le parole di Cristo: “Tu sei Pietro” ecc.».
I padri della Chiesa confermano questo e Solov’ev cita san Leone Magno. La fraternità universale è richiesta dall’ideale della Chiesa; è incompleta senza l’unanimità di tutti; ma senza l’atto decisivo di Pietro, lo stesso consenso universale mancherebbe di una base reale e sarebbe privo di effetti, come è stato sufficientemente provato dalla storia della Chiesa. «L’ultima parola in ogni questione dogmatica, la conferma definitiva di ogni atto ecclesiastico, spetta alla sede di Pietro» (La Russia, p. 155). Il beato vescovo orientale Crisologo scrive ad Eutiche: “il beato apostolo Pietro che continua a presiedere la cattedra che gli è propria, concede immancabilmente la verità della fede a coloro che la cercano”» (La Russia, p. 157).
La missione del popolo russo
In questo contesto antico e contemporaneo non manca un altro aspetto importante che gioca un certo ruolo nella Intellighentija e non solo. Il popolo russo è un popolo cristiano e quindi, per conoscere la vera idea russa, dice Solov’ev: «Non ci si deve chiedere che cosa farà la Russia da sé e per sé, ma che cosa deve fare in nome di quel principio cristiano che essa riconosce e per il bene di quella cristianità universale di cui essa è ritenuta far parte. Per adempiere veramente alla propria missione, essa deve entrare anima e corpo nella vita comune del mondo cristiano e utilizzare tutte le proprie forze nazionali per realizzare, in pieno accordo con gli altri, l’unità perfetta e universale del genere umano, il cui fondamento immutabile ci è dato nella Chiesa di Cristo. Ma lo spirito dell’egoismo nazionale non si lascia sacrificare tanto facilmente. E da noi ha trovato anche un modo per affermarsi senza rinnegare apertamente il carattere religioso insito nella nazionalità russa. Non solo si ammette che il popolo russo è un popolo ma si proclama con enfasi che è il popolo cristiano per eccellenza e che la Chiesa è la vera base della nostra vita nazionale; tutto questo però viene detto solo per pretendere che la Chiesa esiste soltanto da noi e che noi abbiamo il monopolio della fede e della vita cristiana. Per caso, la Chiesa che è realmente la roccia incrollabile dell’unità e della solidarietà universale, diventa per la Russia il palladio di un particolarismo nazionale. La nostra religione, quando si manifesta nella fede del popolo e nel culto divino, è perfettamente ortodossa. Nella sua essenza la Chiesa russa, conservando la verità della fede, la continuità della successione apostolica e la validità dei sacramenti, partecipa all’unità della Chiesa universale fondata da Cristo» (L’Idea Russa, La Russia, p. 249).
«Non è bene per un uomo restare solo» (cf. Gen 2,18). L’isolamento è una condanna (Vladimir e lo stato cristiano, La Russia, p. 277). Lo stesso vale per una nazione. Novecento anni fa siamo stati battezzati nel nome della Trinità feconda e non in nome dell’Unità sterile. L’idea russa non può consistere nel rinnegare il nostro battesimo. Esso esige dai russi di riconoscersi solidali con la famiglia universale del Cristo, e impiegare tutte le potenzialità nazionali, tutta la potenza dell’impero per la realizzazione completa della Trinità sociale, nella sinergia delle tre unità organiche principali: la Chiesa, lo stato e la società.
Una sinergia assolutamente libera e sovrana che non si separa dalle altre assorbendole o distruggendole, ma che afferma la propria solidarietà assoluta con esse. La vera idea russa consiste nel restaurare sulla terra questa idea. Non c’è nulla di esclusivo e di particolaristico in questa missione, che non è altro che un nuovo aspetto dell’idea cristiana stessa. Per compiere questa missione nazionale non dobbiamo agire contro le altre nazioni ma con loro e per loro. Se tutto questo è vero, è questa appunto la grande prova che l’idea è vera. Perché la verità non è che la forma del bene e il bene non conosce invidia. (cf. L’idea Russa, La Russia, p. 262).
Idee simili sono espresse da F.M. Dostoevskij (alla cui morte Solov’ev farà un intervento, Nota in difesa di Dostoevskij riguardo l’accusa di “neo” cristianesimo[11]), quando pronunciò il suo discorso nel 1880 davanti a una nuova statua di Puškin. Nel suo intervento, Dostoevskij reinterpretò il poema di Puškin, Eugenio Onegin, adattandolo alla sua idea del mondo, con la protagonista Tatiana a simbolo della femminilità e dell’anima russa, portatrice di verità.
Dostoevskji concluse il suo intervento offrendo una prospettiva suggestiva del rapporto tra la Russia e l’Europa: «I popoli d’Europa non lo sanno neppure quanto essi ci sono cari! E più tardi, io ne ho piena fede, i futuri russi comprenderanno tutti, dal primo all’ultimo, che diventare un vero russo significherà precisamente aspirare alla definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee, mostrare la via d’uscita alla tristezza europea; l’animo russo, profondamente umano, saprà abbracciare con amore fraterno tutti i nostri fratelli, e alle fine, forse, dirà la definitiva parola della grande armonia universale, dell’accordo definitivo fraterno di tutte le razze, secondo la legge evangelica di Cristo!».
Echi del cammino
Abbiamo percorso gli echi del cammino di Solov’ev sui sentieri aspri e difficile delle relazioni di sorelle fra le Chiese, espressi nell’opera La Russia e la Chiesa Universale. Ci siamo proposti di evidenziare le piattaforme di pensiero culturale-spirituale e metafisico che hanno influito sui trascorsi del patriarcato di Mosca e di Costantinopoli (e Roma). Ne abbiamo individuato alcuni: l’unità che fonda la diversità ecclesiale; la natura divino-umana della Chiesa; la differenza fra unità astratta e organica fra le Chiese; la chiamata divino-umana della persona di Pietro, che è la Pietra relazionale della Chiesa. In tutto questo abbiamo accennato alla secolare questione della missione del popolo russo vista da Solov’ev.
Questo studio non porta soluzioni alle questioni attuali, e bisogna dirlo: i tempi e le situazioni si presentano con caratteristiche nuove, ma Solov’ev cerca di dipanare alcuni grovigli di pensiero che si accavallano in situazioni di tensioni reciproche fra le Chiese, e cerca di offrire insieme alcune chiavi di lettura anche di vicende storiche ecclesiali che potrebbero essere maestre di sapienza anche oggi.
A quanti, oggi, auspicano che il patriarca di Mosca e il patriarca ecumenico di Costantinopoli avallino la possibilità di un incontro-scambio invitando il vescovo di Roma, a Gerusalemme, Solov’ev ricorda che si tratta di porre dei passi che possano aiutare ad andare fino in fondo, cioè alla manifestazione visibile della natura divino-umana della Chiesa e ad una manifestazione visibile e libera di essa, davanti all’Europa e al mondo.
Il vescovo di Roma conferma e rafforza, secondo Solov’ev, nella carità, la diversità di approcci, la possibile riconciliazione spontanea autentica, tenendo conto che la cura, la custodia e il rafforzamento dell’unità e della fede della Chiesa e la cura della visibilità della libertà sociale della Chiesa, lo esigono in modo sacrosanto e richiedono in questo momento un atto davvero umile e molto coraggioso. Questo non impedirà di cercare insieme, e con umile audacia, una via o vie antiche e nuove per rinsaldare la carità ecclesiale fra le Chiese. Ne sarà certamente vantaggio e appannaggio per tutti gli Europei e non solo.
- p. Germano Marani sj è docente presso il Pontificio Istituto Orientale e l’Università Gregoriana a Roma.
[1] V. Solov’ev, La Russia e la Chiesa universale e altri scritti. Introduzione, traduzione e note di Adriano dall’Asta, Casa di Matriona. Nel testo sarà indicato La Russia. Citeremo anche V. Solov’ev, Vladimir e lo Stato cristiano (1888) in La Russia, pp. 263-278, L’idea russa (1888) in La Russia, pp. 239-262.
[2] La città di Gerusalemme, almeno come città di incontro fra i cristiani e non solo, ritorna ancora oggi nell’immaginario di alcuni cristiani delle Chiese ortodosse che si chiedono come continuare, dopo i forti dissapori e un formale distacco fra Chiesa di Mosca e Chiesa di Costantinopoli, con la prima Roma che preferisce non intervenire trattandosi di avvenimenti ecclesiali intra-ortodossi.
[3] Il momento richiede un chiarimento ecclesiale intra-ortodosso su alcune dimensioni come quella del primato fra le Chiese ortodosse, nell’ortodossia, e nella Chiesa universale; in questi ultimi decenni si è assistito ad un risveglio di auto-coscienza della propria praestantia, nella Chiesa anticamente imperiale di Costantinopoli, la sede vescovile di Costantinopoli, costituita patriarcale dal 381, e definitasi «ecumenica» in un sinodo tenuto a Costantinopoli nel 587. Il patriarcato di Costantinopoli fu promosso al secondo posto dopo la prima Roma nella gerarchia delle sedi patriarcali dal Concilio di Calcedonia del 451 che, in un canone, concesse «alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l’imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell’antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico, e che fosse seconda dopo di quella»; al di sopra delle sedi di Alessandria e Antiochia, le cui prerogative erano riconosciute a partire dal Concilio di Nicea I (325). Con lo scisma del 1054, dal momento che la sede di Roma non era più in comunione con le Chiese unite con quella di Costantinopoli, il primato d’onore – non di giurisdizione – venne attribuito da queste appunto a Costantinopoli, e al secondo posto dopo Roma nei Dittici (ordine della commemorazione liturgica) del Concilio di Calcedonia.
[4] Fra gli autori russi ecclesiastici che affrontano il tema Mosca-Costantinopoli, la presenza dei fratelli greci Likud nella storia della Fondazione dell’Accademia Teologica di Mosca, la questione dell’Esicasmo e della Creatività umana e artistica (tema complesso e cruciale), in Ioann Economcev, Pravoslavie, Vizantija Rossija (Ortodossia, Bizanzio e la Russia), Mosca 1992; l’antologia Bizantizm i slavjanstvo. Belikij Spor (Cultura bizantina e cultura slava, una grande disputa), Mosca 2001, che contiene il saggio di K. Leontev, Visione bizantina e visione slava, gli scritti di V. S. Solov’ev, Bizantinismo e Russia, Il Grande dibattito e la politica cristiana, il saggio di N. Danilevskij, La Russia e l’Europa, pubblicazione che ha suscitato la reazione di V. Solov’ev; il libro di John Meyendorff, Rome, Costantinople, Moscow. Historcal and Theological Studies, Crestwood (NY) 1996, che rimette al centro il rapporto fra Roma Costantinopoli e Mosca, sia dal punto di vista storico che teologico.
[5] Questa è un’affermazione che è molto attuale e che per gli uomini di buona volontà potrebbe risuonare come un imperativo morale ecclesiale.
[6] Questo potrebbe essere un programma culturale europeo. Occorre una umile creativa audacia (ndr).
[7] Questo potrebbe essere un programma europeo.
[8] «Le grandi esperienze medioevali e dei tempi moderni sembrano provare che né la Chiesa privata del ministero di un potere secolare distinto ma solidale con essa, né lo Stato secolare abbandonato alle proprie forze, possono riuscire ad instaurare sulla terra la giustizia e la pace cristiane» (cf. La Russia, p. 57).
[9] Queste aspirazioni Teocratiche, di Praeminentiae Ecclesiae Particularis, Metropolitanae, Patriarchalis, restano ancora oggi come sottofondo metafisico che ha una radice buona: l’unione di Dio con l’umanità e le sue realizzazioni storiche ecclesiali. Tante discussioni e visioni di politica ecclesiale, di influenza su territori e Chiese, le ferite storiche drammatiche, le conseguenze socioculturali di un pensiero che aspira, è ispirato, dall’ unione di Trono e Altare sono una possibile risposta a questa domanda ontologica, metafisica dell’unione fra il divino e l’umano nella storia delle realizzazioni storiche dei cristiani e delle Chiese. È su questo sottofondo che possiamo guardare a quanto sta succedendo anche oggi.
[10] Cioè, diciamo noi, i legami invisibili e visibili dei sacramenti validi (cf. Ecclesia de Eucaristia) hanno lasciato il posto alla sola invisibilità, ma «ogni crescita nella carità dello Spirito ha una sua ulteriore visibilità caritativa». Nel caso di Filaret (Drozdov) possiamo dire che ha infranto questa unità invisibile almeno con una persona che si chiamava Fjodor Petrovic Gaaz, il santo medico di Mosca, andandolo a visitare sul letto di morte e permettendo ai preti ortodossi di Mosca di pregare per un non ortodosso, per la prima volta nella storia della Chiesa Ortodossa russa. La visibilità della comunione fra i cristiani di diverse Chiese richiede anche un certo coraggio, quello dell’amore, della testimonianza, della missione, tutti doni dello Spirito. Chi supera i lacci di una visione di Chiese senza alcun legame organico, capisce che si è sospinti dallo Spirito Santo ad entrare e allargare il Regno di Dio. Dopo il Vaticano II, sappiamo che i sacramenti della Chiesa ortodossa sono validi e anche i legami sacramentali invisibili sono reali e la loro energia spirituale agisce e dunque è fonte di testimonianza creativa, attiva, relazionale… Qualcuno che volesse criticare oltre misura gli ortodossi ma anche semplicemente fare una battuta piena di simpatia per loro, dice rivolgendosi agli ortodossi: «Noi cattolici ci stiamo sforzando, con l’aiuto di Dio, di raggiungere e costruire il regno e il Paradiso, voi pensate di esserci già arrivati».
[11] V. Solov’ev, Zametka o zaščitu Dostoevskogo ob obvinenija v “Novom” Christjanstve, in Filosofia Iskusstva i Literaturnaja kritika, Moskva 1991, p. 261.