Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,
a testimonianza dei legami fraterni che ci uniscono in diversi modi, in queste ultime settimane molti di voi ci hanno chiesto – con discrezione e rispetto, insistenza e preoccupazione, sconcerto o qualcuno perfino con rabbia – una parola sulla vicenda che ha coinvolto la Comunità e che è causa di molte e profonde sofferenze. Siamo rimasti in silenzio attendendo un certo tempo per non ferire ulteriormente le persone e dire una parola di pace e chiarezza, nella responsabilità che avvertiamo di rendere conto sia della speranza che è in noi, sia dello scandalo suscitato in tanti cristiani e persone che ci seguono…
Innanzitutto vi ringraziamo per la vicinanza che ci avete mostrato con messaggi, telefonate e visite, per la preghiera con la quale ci state accompagnando, per l’amicizia che, pur messa alla prova dagli eventi, non è venuta meno. E poi vogliamo chiedervi perdono per lo scandalo che abbiamo suscitato e per la contro-testimonianza che abbiamo dato.
Ma affinché questa gratitudine e questa richiesta di perdono non suonino come vuota retorica, vorremmo aiutarvi e aiutarci reciprocamente a capire più in profondità sia le sofferenze che stiamo attraversando e delle quali vi abbiamo reso partecipi, sia le speranze che nutriamo per il cammino che ci attende.
Raccontare per comprendere
La visita apostolica è stata avviata dalla Santa Sede, a partire da diverse segnalazioni circa profonde sofferenze nella vita fraterna a Bose e dopo averne verificato la fondatezza. La Comunità ha accolto la visita in obbedienza, come segno di attenzione paterna da parte di papa Francesco e come aiuto a discernere le cause profonde di un grave malessere relativo “all’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno” a Bose.
La scelta delle persone incaricate di tale compito delicato è stata segno di un’attenzione alla nostra peculiare natura di comunità monastica di fratelli e sorelle, costitutiva del nostro vissuto fin dalle origini: oltre a un religioso esperto anche di problematiche attinenti alle relazioni umane (p. Amedeo Cencini), sono infatti stati chiamati a questo servizio un abate benedettino (p. Guillermo Arboleda) e una badessa trappista (m. Anne-Emmanuelle Devêche). La presenza di quest’ultima, che con p. Michel Van Parys aveva condotto una precedente visita alla comunità, garantiva inoltre la possibilità di far tesoro anche di quanto visto e ascoltato in quell’occasione.
La visita del 2014 – la prima dopo quasi 50 anni di vita monastica a Bose – era stata di altra natura: l’allora priore fr. Enzo aveva chiamato un abate e una badessa di sua fiducia, che già conoscevano bene i fratelli e le sorelle di Bose, ritenendoli le persone più indicate a favorire un proficuo cammino comunitario verso il cambio di priore. Si trattò di una visita fraterna che poteva dare consigli e suggerimenti, ma senza potere di intervento reale. Alcune criticità erano emerse, ma queste non avevano impedito il percorso culminato con le dimissioni di fr. Enzo, da lui stesso annunciate da tempo, e l’elezione di fr. Luciano da parte della Comunità, secondo le modalità disposte dal nostro Statuto.
Visitati
Così, tra dicembre dello scorso anno e l’Epifania di quest’anno, seppure non in modo continuativo, i visitatori inviati questa volta dalla Santa Sede hanno potuto ascoltare lungamente e anche a più riprese tutti i fratelli e le sorelle, sia residenti a Bose che nelle diverse Fraternità, e raccoglierne anche le testimonianze scritte.
Al termine, come era stato loro richiesto, hanno sottoposto la loro relazione finale alla Santa Sede, che l’ha vagliata in un arco di tempo di quattro mesi, presumibilmente verificandone sia la fondatezza che l’esaustività, ritenendo gli elementi raccolti necessari e sufficienti alla stesura di una lettera al priore e alla Comunità e all’emanazione di un “decreto singolare, approvato dal Santo Padre in forma specifica”, contenenti una serie di indicazioni e disposizioni che riguardano la prima l’insieme della Comunità, il secondo il fondatore fr. Enzo, due altri monaci e una monaca.
Per notificare il decreto e avviarne l’esecuzione, la Santa Sede ha nominato p. Amedeo Cencini delegato pontificio con pieni poteri, non “commissario”: non ha ritenuto cioè di dover esautorare il priore fr. Luciano legittimamente eletto nel 2017 – e riconfermato dalla Comunità due anni dopo, come richiesto dallo Statuto – bensì di sostenerlo nel suo ministero di presidenza all’unità della Comunità. Unità che i visitatori avevano constatato essere seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle.
Le disposizioni che hanno suscitato maggior impatto sia in Comunità che tra gli amici e presso l’opinione pubblica sono state indubbiamente la richiesta a fr. Enzo e ad altri tre membri di allontanarsi dalla Comunità e dalle Fraternità, restando fratelli e sorelle di Bose, per vivere per un certo tempo ciascuno in un luogo diverso, non necessariamente monastico. Nessuna espulsione, quindi, nessuna cacciata, ma un allontanamento temporaneo di alcuni membri della Comunità che ad essa continuano ad appartenere. Le motivazioni specifiche di questa parte del provvedimento sono state comunicate dal delegato pontificio in forma riservata a ciascuno dei fratelli e alla sorella implicati nei provvedimenti.
Queste disposizioni non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale: non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale…
Quanto invece alle disposizioni che riguardano l’insieme della Comunità, esse sono state comunicate a tutti i membri della Comunità, attraverso una lettera del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin al priore fr. Luciano, che indica anche un cammino da intraprendere per garantire la permanenza e lo sviluppo del carisma fondativo di Bose negli anni a venire, con espliciti e reiterati riferimenti alle nostre peculiarità più preziose: la scelta della vita monastica nel celibato e nella vita comune, la presenza di fratelli e sorelle in un’unica comunità, la composizione ecumenica dei suoi membri e il suo prodigarsi nel movimento ecumenico: un ecumenismo, quindi, non solo spirituale o di intenti, ma di concreta vita comune quotidiana tra fratelli e sorelle appartenenti a Chiese cristiane diverse.
Comunità e carisma
Come leggere con gli occhi della fede questo evento della visita apostolica e delle sue conclusioni, rivelatosi da un lato necessario e, d’altro lato, fonte di sconcerto e di ulteriori sofferenze anche tra di noi fratelli e sorelle di Bose? Crediamo che la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri, bensì nella lucida constatazione che “non siamo migliori” e che il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità.
Sì, “non siamo migliori” non è solamente un adagio che fr. Enzo ha coniato fin dai primi anni della nostra vita a Bose, riprendendolo anche come titolo di un suo libro sulla vita monastica. È invece una realtà che noi da sempre tocchiamo con mano e di cui ora anche voi, amici e ospiti, vi rendete conto con sofferenza. Anche questa crisi che ora è esplosa in modo manifesto, e per tanti di voi in maniera assolutamente inaspettata, ha in verità radici più lontane.
Anche in questo doloroso frangente della nostra storia cerchiamo di proseguire quotidianamente nella nostra vita di preghiera, di lavoro e di ospitalità, come molti di voi l’hanno conosciuta in tutti questi anni, pur dovendo fare i conti con le conseguenze della pandemia e con la rimodulazione della Comunità successiva agli esiti della visita. Possiamo farlo solo invocando la misericordia del Signore e il suo perdono, che passa attraverso il perdono che sapremo offrirci gli uni gli altri.
Vi chiediamo di continuare a pregare per noi, affinché tutti noi – a Bose, nelle Fraternità e negli altri luoghi in cui ci troviamo a vivere – possiamo continuare a cercare di essere discepoli di Cristo, possiamo ricominciare un cammino di conversione e di sequela del Signore, possiamo ascoltare e mettere in pratica ogni giorno il Vangelo: solo così la nostra testimonianza potrà essere credibile e potremo, anche assieme a voi, tratteggiare qualche lineamento del volto del Signore Gesù, così da renderlo visibile e amabile ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in umanità.
Bose, 19 giugno 2020
Credo che sulla vicenda di Bose non ci sia altra scelta tra il tacere compiutamente o il presentare nitidamente la problematica, con rispettoso ma preciso riferimento a individui e gruppi. Ciò ad iniziare dalla stessa comunità, il cui messaggio – accorato e sofferto senza dubbio – finisce per chiarire nulla (senza dire che dichiarare di non essere migliori degli altri lascia temere che fino a quel momento lo si sia tacitamente ipotizzato… “excusatio non petita”…).
Nessuno si permette di andare a giudicare persone e fatti. Ma nel momento in cui una vicenda diviene di pubblico dominio si ha il dovere – credo – o di comunicare nella sua sostanza cosa è successo oppure di custodire tutto in un rigoroso silenzio. Mi sembrano le uniche due scelte autenticamente sincere e dunque dignitose.
Vi ringrazio, cari fratelli e sorelle di Bose. A me è risultato chiaro il racconto di quanto avete vissuto in comunità. Un racconto chiaro, comprensibile e umile. Vivo anch’io in una comunità (clarisse) da oltre 42 anni e so bene che non siamo migliori; pur se cerchiamo il Signore, desiderando di conoscerlo e amarlo, tuttavia può accadere che, pure noi, cadiamo nei sottili tranelli di colui che -come dice la Scrittura- è menzognero e omicida fin dall’inizio.
Vi tengo, come posso, nella mia vita poverella che, ogni giorno (anche più) si lascia salvare dalla misericordia del Padre o, per dirla con santa Chiara e con san Paolo, dal Padre delle misericordie. A Lui affidiamoci con tutto il cuore.
Sono d’ accordo con Francesco Stazzari e aggiungo che occorre ascoltare con rispetto il mistero delle relazioni, senza voler trovare per forza del negativo. Può non tornarci la modalità, ma lasciamo al tempo il chiarircela e abbracciamo chi resta e chi deve allontanarsi, per quello che ci donano, ci donano non ci hanno donato, basta leggere i loro commenti quotidiani o altri scritti, e si entra in un dinamismo di vita e di fede che tenta di costruire…. Allontanarsi può essere la premessa di una comunione maggiore, la relazione con il Signore insegna….
Complimenti per la chiarezza, precisione, signorilità del testo.
Purtroppo, ecco un testo pieno di incoerenze. Ad esempio: il delegato pontificio ha pieni poteri, ma non é “commissario”…
“Una mezza verità sarà, prima o poi, una bugia intera. Non c’è peggior codardo di quello che fa uso costante delle mezze verità. Perché chi coniuga la verità con la falsità, prima o poi, evidenzia la bugia completa, perché gli inganni camuffati da buone maniere sono nocivi ed estenuanti, inoltre tendono a salire a galla, così come le bugie complete”. “Non vi è menzogna più nociva della verità camuffata e che per convivere in armonia e rispetto, niente è meglio dell’onestà. Una dimensione che, a sua volta, ha bisogno di un altro pilastro indiscutibile: la responsabilità”.
“L’uomo che non teme la verità, nulla deve temere delle menzogne” -Thomas Jefferson-.
Solo «chi opera la verità viene alla luce”. (Gv 3,21). Ecco un’altra occasione mancata. Purtroppo.
Scusate ma non capisco bene, dopo la visita apostolica, come viene indicato nel testo della comunità, si è giunti ad un “decreto singolare, approvato dal Santo Padre in forma specifica” a cui viene data esecuzione, evidentemente grazie alla raccolta di “segnalazioni” di anni sia esterne che interne ma a questo punto come è possibile che “…..non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale…”!?
Come si può permettere di continuare “a predicare” a colui a coloro a cui sono stati addebitati comportamenti colpevoli di un decreto di allontanamento? Posso capire il sentimento di misericordia da parte della comunità, posso capire il senso di vuoto di chi aveva affidato alle parole di Bianchi la propria fede ma non capisco come si possa perpetrare in un inganno così chiaro, certo per chi opera l’obbedienza al contrario va benissimo, credo che ci sia qualcosa nella “esecuzione” del decreto che non sta andando come dovrebbe. Di certo non azzarderei più ascoltare le “predicazioni” e tanto meno andrei ad ospitare simili voci dopo quanto emerso.
Salve, insisto: non c’è modo di far capire a chi vorrebbe spiegare, che in realtà non sta spiegando niente. Usare termini come il “Divisore” vuol dire fraintendere gravemente la realtà e avallare una patologia grave, nel dare un nome ideologico e sbagliato a situazioni molto comuni e assai difficili da affrontare. Ma quale “divisore”: pannelli di plexiglass in comunità? La “divisione” è nel non padroneggiare le dinamiche psicologiche, nelle rivalità, nelle gelosie, nelle complesse questioni collegate ai rapporti interpersonali quando non viene affrontato il nodo del “potere”. Se idealizziamo – il “divisore” – non andiamo avanti. Qui da Bose riepilogano una storia già conosciuta ma non parlano dei veri motivi, del “perché”. E’ la solita vicenda ecclesiale: nelle comunità si litiga, ci sono problemi relazionali, i cambi ed i passaggi sono difficili e ci si divide. Servirebbe la psicologia relazionale, anche un po’ di analisi transazionale in questo caso. Ma no, parliamo del “divisore” – qualunque cosa esso sia. Mettiamo un nome fittizio per non chiamare le diatribe e i dissapori con il loro nome. Così Bose affonda e qualunque comunità con lei. Grandi in ecumenismo, sotto zero in rapporti umani e relazioni. Ahimè, è la triste realtà.