La giornata del 20 giugno scorso, come ogni anno, è stata dedicata ai rifugiati e ai richiedenti protezione internazionale. Quest’anno la ricorrenza è caduta in un momento buio, sia per i paesi di approdo che di partenza. La notizia è scivolata nei notiziari e nei quotidiani senza troppo interesse. Solo alcuni media, quali Avvenire e il Manifesto, hanno offerto non solo l’occasione di ricordare il significato della giornata, ma anche le cause che stanno all’origine delle contemporanee migrazioni forzate.
Il Covid-19 ha mantenuta la scena principale della sanità e dell’economia. Eppure, è acclarato che la pandemia ha reso ancor più pericolosi e umanamente costosi sia gli attraversamenti dei paesi di transito, sia l’ingresso nei paesi scelti come meta.
Flussi migratori
Il rapporto Global Trend dell’UNHCR, pubblicato per l’occasione, quantifica in 79,5 milioni le persone costretta forzatamente a lasciare il proprio paese o la regione di abituale insediamento. Si tratta dell’1% della popolazione mondiale: percentuale non in crescita se si calcola contestualmente l’incremento della stessa popolazione mondiale. Ben oltre la metà di queste persone, ossia 45,7 milioni, sono profughi che si sono spostati all’interno del proprio paese, mentre 26 milioni sono già riconosciuti come rifugiati. Solo 4,2 milioni costituiscono l’attuale novero di richiedenti asilo. Altri 4,2 milioni risultano apolidi, cioé privi di qualsiasi cittadinanza.
Da notare con attenzione è la costante crescita dei migranti forzati venezuelani: nel 2019 sono stati 3,6 milioni a lasciare il paese raggiungendo soprattutto la Colombia. Nell’Europa a 27, durante il 2019, sono state censite da Eurostat 612.700 persone nella condizione di richiedenti asilo. Di queste solo il 38% hanno avuto una risposta positiva e quindi un regolare permesso di soggiorno: la maggior parte è proveniente da Siria, Afghanistan e Venezuela; i paesi che hanno registrato i maggiori flussi di ingresso sono stati la Germania con 142.400 arrivi, la Francia con 119.900 e la Spagna con 115.200.
L’Italia ha segnato 35.000 arrivi, ossia il 5% del totale nell’Unione Europea. Al 22 giugno, quindi a metà dell’anno in corso, risultano giunte nel nostro paese 6.184 persone. Nel 2019, sempre secondo Eurostat, l’Itala è risultata ospitare in totale 207.602 rifugiati, 47.031 richiedenti asilo e 15.822 apolidi. Le provenienze avvengono sempre più da paesi segnati da un drammatico degrado climatico più che da conflitti armati, anche se spesso questa seconda causa si somma alla prima.
Clima e povertà
I conflitti in Afghanistan, Siria, Libia, Sud Sudan, Somalia o Yemen si protraggono ormai da anni e persino da decenni senza intravvedere alcun barlume di soluzione. La fame e l’insicurezza della sopravvivenza rappresentano condizioni di vita abituali. Il degrado ambientale, in molti paesi asiatici ed africani connesso alla crescita demografica, non fa che determinare la migrazione di persone in cerca di risorse per la sopravvivenza.
Un dato oggettivo è che la fame nel mondo è ben lungi dall’essere debellata, così come molte malattie endemiche. A fronte di questi fattori di espulsione tutti i paesi ricchi del pianeta continuano ad alzare muri abbinati a costrizioni che spesso consistono nella riduzione o eliminazione degli aiuti economici spesso declinati in termini di infrastrutture.
L’Italia in questi ultimi due decenni è diventata sponda di approdo per migliaia di disperati della terra. Abbiamo assistito all’impari altalena di azioni, da una parte, di rifiuto istituzionale ad approntare un permanente sistema integrato di accoglienza e di accompagnamento dei richiedenti asilo; e, dall’altra, di corsa – con partenza da fermi – delle realtà ecclesiali, del volontariato e del terzo settore per rimediare alle situazioni più critiche, ad esempio del 2011 e del 2014. Queste realtà, per poter dare delle risposte concrete, hanno dovuto persino remare controcorrente per cercare di svegliare la buona coscienza collettiva, non certo riassumibile nel termine dispregiativo di “buonismo”.
Decreti sicurezza: i dati e la narrazione
Gli allarmi di invasione o di pericolo di sostituzione etnica non trovano peraltro riscontro nei dati di realtà. I cosiddetti “decreti sicurezza” 1 e 2, caparbiamente voluti dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, membro “tuttofare” del governo lega-pentastelalto, oltre che capopopolo di una parte dell’elettorato italiano, non hanno rivolto alcun interesse alle cause scatenanti dei fenomeni migratori.
Utilizzando una narrazione distorta, atta a strumentalizzare le coscienze traballanti del paese, hanno introdotto di fatto il “reato di umanità”, un Minotauro giuridico che stride con l’ordinamento democratico moderno. Un reato che ha portato a colpire per legge le ONG, ree di salvare persone inermi, disarmate e senza alcun progetto di nuocere al nostro paese.
Ricordo che i “decreti sicurezza” sono stati votati dal parlamento italiano e sono entrati velocemente in vigore. Per camuffare la volontà punitiva nei confronti di tutte quelle organizzazioni – incluse le Chiese – che continuavano a coltivare idee di solidarietà e di responsabilità nei confronti delle vite in pericolo, il dispositivo di legge ha abbinato in un testo unico la questione dei migranti alla lotta alla mafia e alla riqualificazione degli apparati del Ministero dell’Interno.
Non solo: per colpire ad intra (i richiedenti asilo già presenti) e ad extra (i richiedenti potenziali) ha cancellato la possibilità di riconoscere permessi per motivi umanitari a persone che nel loro percorso in Italia erano già spesso inserite in reti sociali di riferimento e che avevano già raggiunto una certa, quanto precaria, autonomia economica: una cattiveria senza alcuna motivazione di sicurezza.
Ideologicamente è sintomatico il fatto che i richiedenti asilo siano stati accostati, in un unico ordinamento normativo, alle organizzazioni mafiose storiche del paese. La sola motivazione plausibile per una simile operazione, a mio avviso, stava coscientemente nella volontà di ingrossare il fiume dei disperati vaganti sul suolo italiano, in modo da aizzare ulteriormente lo spirito xenofobo di una opinione pubblica sempre più allo sbando e alla ricerca di capri espiatori.
I danni della legge
Voglio qui evidenziare come la messa in strada di decine di migliaia di richiedenti asilo ancorché diniegati (ossia persone a cui è stata negata ogni forma di protezione), spesso ancora in fase giuridica di ricorso presso i tribunali regionali, unita alla perdita del lavoro qualificato di migliaia di giovani educatori professionali impegnati nei servizi di assistenza faticosamente organizzati, ha causato danni irreparabili ai processi di inclusione sociale, non solo dei migranti, ma pure di molti giovani laureati italiani dotati di valide motivazioni e di anni ormai di positiva esperienza.
La strategia prevedeva e prevede tuttora – posto che nulla al momento è stato ancora fatto a livello politico per cambiare i decreti di cui si tratta – il prosciugamento delle risorse economiche dedicate al settore della accoglienza, un settore tra l’altro sostenuto da cospicue risorse europee.
Il colpo di difficoltà volutamente ingenerate nelle realtà dedite ai salvataggi in mare e alla accoglienza avrebbe dovuto maturare, secondo chi l’ha concepito, la crescita dei consensi, distogliendo dai veri problemi del paese: quali l’estesa corruzione, la burocrazia paralizzante, la povertà lavorativa, le disuguaglianze sociali sempre più gravi.
Non posso esimermi dal ricordare gli anni ’20 del secolo scorso: le lotte contadine e operaie di allora sono state affrontate dalla narrazione fascista col miraggio di una grande nazione italiana, sedotta e infine sepolta dalle macerie.
La situazione italiana è inoltre certamente complicata dai continui disaccordi a livello Comunitario. Ogni stato continua a programmare politiche migratorie proprie senza tener conto delle differenti condizioni e delle diverse capacità di accoglienza.
L’Unione assente
In questi anni sia l’Italia che la Grecia hanno ricevuto molte “pacche sulle spalle” di incoraggiamento, ma il progetto della ricollocazione tra gli stati è sostanzialmente rimasto al palo. Nel 2019 solo 470 richiedenti asilo sono stati ridistribuiti in Europa dall’Italia. Ormai le politiche europee viaggiano spesso sul filo del ricatto incrociato.
Tale situazione non fa altro che incrementare il rancore politico non tanto e non solo nei confronti dell’Europa, ma degli stessi migranti che comunque attraversano i confini dal sud e a dall’est del continente europeo.
La richiesta di patriottismo espressa dai partiti populisti mira sostanzialmente a reintrodurre un differenzialismo razziale che prende di mira presunti fautori delle crisi in cui gli stati d’Europa si dibattono. La rabbia e il livore vengono abilmente incanalati affinché le vittime di un sistema economico di disuguaglianza iniqua, colpiscano altre vittime ancora più fragili ed inermi, senza diritto di voto, e quindi poco pericolose.
La presa di posizione dell’Unione Europea contro il razzismo e la violenza votata dal Parlamento Europeo in questi giorni con riferimento alla barbara uccisione dell’afro-americano George Floyd ha visto il voto contrario di Lega e Fratelli d’Italia. Le accuse rinfacciate ai cosiddetti “migrazionisti” sono state di favorire la decostruzione dell’identità nazionale e di incrementare la rabbia dei discriminati nazionali.
La pandemia che ancora flagella l’Europa sembrava aver sollecitato migliori auspici nel verso di politiche migratorie rispettose dei diritti umani e della dignità delle persone. Si sente ancora dire: “nulla sarà più come prima”; ma le avvisaglie non sembrano dar ragione alla serietà di tale prospettiva.
Cristiani e laici solidali – spesso ben rappresentati nelle ONG – sono visti come contiguità solidale perniciosa dagli occhi delle destre italiane ed europee e sono divenuti essi stessi bersagli da colpire e da indebolire per legge. Penso che ci sia ancora modo di vincere queste posizioni coltivando il coraggio delle ragioni democratiche e solidali, con una visione più ampia di declinazione dei fenomeni umani e delle opportunità del tempo presente.