Domenica 21 giugno, dopo 9 giorni di lavoro, si sono conclusi gli «Stati Generali» indetti dal Governo per «reinventare l’Italia» perché sia «moderna, sostenibile, inclusiva, verde», come ha dichiarato il premier Giuseppe Conte.
«Progettiamo il rilancio», questo il titolo ufficiale della kermesse cui il Governo ha invitato rappresentanti politici, istituzionali, imprese e imprenditori, sindacati e ospiti internazionali, ivi compresi i rappresentanti UE (in videoconferenza). Spazio a personalità di spicco italiane e non, scelte tra professionisti, accademici, ricercatori ed esperti. Nell’ultima giornata ospitata anche una «rappresentanza di cittadini»: Alessandra e Fabio, proprietari di un negozio di calzature; Romina e Daniela, impegnati nei servizi alla persona; Bartolomeo, Mattia e Cristina, che lavorano nel settore turistico…
Le forze politiche parlamentari hanno partecipato attraverso i propri esponenti di Governo. Quelle di maggioranza, si intende: perché l’opposizione ha declinato l’invito «alla passerella in villa», come l’ha definita Giorgia Meloni.
Che bilancio possiamo trarre da questa esperienza? Che indicazioni ha dato per le future politiche di “rinascita” dopo la crisi-Covid? Che scelte? Che priorità?
È molto difficile dare una risposta. Lo stesso Presidente del Consiglio ha dichiarato al termine dei lavori che servirà ancora qualche tempo per tirare le fila di tutte le riflessioni sviluppate dalle parti sociali e dagli attori incontrati, annunciando per settembre – non prima – l’uscita del piano nazionale di recovery, integrato con quello europeo, a sua volta ancora largamente da definire.
Quindi, non è ancora dato sapere se l’accento della strategia del Governo, in esito agli Stati Generali, cadrà sul taglio dell’IVA e della fiscalità, su misure a fondo perduto per le imprese, su un’estensione importante degli ammortizzatori sociali per i lavoratori, su un ingente e strategico investimento per il sistema scolastico o per quello sanitario, o quant’altro… Come non è ancora dato sapere, del resto, se vedremo realmente attuato il complesso di centinaia di misure, piccole e grandi, contenute nel “decreto di maggio”, spesso ancora prive degli strumenti applicativi.
Così, il merito delle indicazioni fornite dagli Stati Generali rimane piuttosto indeterminato. Forse le questioni più importanti, e anche le indicazioni più interessanti sul nostro futuro, emergono invece dal metodo scelto dal Governo. Proviamo a percorrerne alcune.
Perché gli Stati Generali, e non il parlamento o i partiti?
Secondo molti commentatori, la scelta di celebrare gli “Stati Generali” è la definitiva consacrazione di un modello di rapporto inedito tra Governo e forze politiche. Invano gli esponenti Pd – ad esempio – avevano evidenziato le proprie perplessità sul metodo. Finendo per fare buon viso: nessuno vuole tirare la corda col premier fino al punto di romperla. E finendo anche per commentare positivamente l’esperienza: se avessero chiesto a Conte come mai un simile dibattito non si fosse svolto soprattutto in Parlamento e con le forze politiche, si sarebbero trovati sulle stesse posizioni espresse dalle opposizioni…
Ma il punto è proprio questo: perché un piano strategico per la nazione, in Italia, non può più uscire dal confronto parlamentare o tra le forze di maggioranza?
Le risposte possono essere diverse, a volte impietose. Forse non ci sono più in Parlamento e nei partiti tutte le competenze necessarie. Forse – ed è peggio – la capacità degli eletti in Parlamento di rappresentare a fondo le diverse componenti della società italiana si è molto sfumata, visto che i parlamentari sono scelti più dalle segreterie che dai territori. O forse, ancora, da un confronto a tavolino delle forze di maggioranza sarebbero emerse più divisioni che elementi di forza per il futuro del Governo?
Comunque sia, la “forzatura” di Conte per la celebrazione di una kermesse extraparlamentare certifica che questo Governo cerca spazi politici di rapporto diretto con il Paese, saltando l’intermediazione della sua maggioranza. Che a volte appare più numerica che politica: nelle divisioni tra chi vuole usare il MES e chi no, tra chi vuole confermare alcuni atti del Governo gialloverde (il Decreto Sicurezza, ad esempio) e chi no… Per Conte è vitale dunque costruirsi uno spazio autonomo, non intermediato dai partiti. Così gli Stati Generali ci possono apparire l’ennesimo frutto della stagione della disintermediazione, della prevalenza della comunicazione diretta sulla rappresentanza politica.
Negli inviti ad personam di Conte a Villa Pamphili c’è tutto il futuro di una politica sempre più individuale, informale, non istituzionale. E il segno della grande confusione e debolezza in cui versa il cuore politico del nostro Paese.
Come si costruisce la decisione politica in Italia?
Se questa lettura degli Stati Generali fosse corretta, la seconda considerazione che nasce dalla kermesse di Villa Pamphili è inevitabile: chi decide oggi in Italia? E come nascono le decisioni?
Se – come diceva un noto regista – le parole sono importanti, la scelta del termine “Stati Generali” ha un significato essa stessa. Richiama l’idea di un paese in qualche modo “feudale” dove, come nell’Ancien Règime, ogni singolo “corpo intermedio”, ogni cellula del corpo vivente della nazione si autorappresenta di fronte al “sovrano”. Può presentargli il suo singolo cahier de doléance e affidarsi alla sua comprensione e capacità di sintesi. Non esiste un luogo che esprime e sintetizza nel suo complesso la volontà della nazione, come un tutt’uno: quel luogo che per la nostra Costituzione è indiscutibilmente il Parlamento, eletto senza vincolo di mandato.
L’esito del “metodo Stati Generali”, preferito alla via parlamentare, è quello di generare un lungo elenco di richieste, cui tocca al Governo dare risposta. Ne nasce un’enorme difficoltà di sintesi e di equilibrio: non si può dire di sì a tutto, ma nemmeno dire solo no. Il rischio è quello di una mediazione distributiva, dove la ricostruzione di un quadro strategico, di una visione, emerge solo a posteriori, se emerge. In fondo, nulla di nuovo: sono anni e anni che ogni finanziaria viene costruita così, in tavoli separati con le categorie, col Parlamento chiamato quasi esclusivamente al voto di fiducia finale.
Ma può funzionare questa Italia dove ogni decisione è il frutto della mediazione a posteriori tra le richieste espresse da “feudi” piccoli e grandi, ognuno dei quali – come il castello dell’Innominato, nel capitolo XX dei Promessi Sposi – domina la propria valle in modo esclusivo? Dare voce a ognuno di questi “castelli” è davvero il modo più giusto ed efficace per costruire la “decisione”, come espressione della volontà nazionale e popolare?
Conta più la sostanza o la comunicazione?
Su tutto, aleggia il dubbio di sempre: che più che la sostanza, oggi conti in politica l’apparenza. Che gli Stati Generali abbiano avuto un forte spessore mediatico è indiscutibile. Per alcuni giorni sono state conquistate le aperture dei telegiornali. Secondo un recentissimo sondaggio IPSOS (27 giugno), gli Stati Generali non hanno ricevuto una valutazione elevata dagli intervistati (35% di voti positivi) ma la popolarità di Conte è comunque risalita dal 61 al 63%. Il che sembrerebbe confermare che apparire è comunque importante, a prescindere. E che la kermesse fortemente voluta e gestita da Rocco Casalino abbia dato i suoi frutti. Se i frutti si misurano in sondaggi e consenso.
Se queste considerazioni sul “metodo Stati Generali” fossero fondate, nell’evento di Villa Pamphili potremmo vedere un indizio, l’ennesimo, della crisi delle nostre istituzioni e della nostra costituzione materiale. O quanto meno, se non di una crisi, di una forte evoluzione in atto, non si sa se transitoria o di prospettiva.
Ma è certo che quando politica e istituzioni sono deboli, la “decisione”, la direttrice strategica del Paese diviene sempre più la risultante di un parallelogramma di forze, non sempre dotato di un senso diverso da quello di gestire al meglio il consenso sociale e la sopravvivenza politica. Assai più che “dare una forma” al Paese, le istituzioni e la politica ne assumono gli umori. Ascoltare, ovviamente, è sempre importante. Vedremo se, a settembre, dall’ascolto nascerà davvero una proposta strategica.
Antidoti all’omologazione
Luglio 1, 2020 / gpcentofanti
Il mondo rischia sempre più di finire nelle mani della finanza, dei potenti di internet. Dei signori del virtuale. La gente è stata spogliata dei risparmi mangiati dalla finanza, la formazione e l’informazione sono nelle mani del sistema al punto che talora anche nella chiesa si sentono voci pseudo autorevoli che affermano che non è bene che ciascuno possa esprimere la propria opinione.
Si va verso una drammatica omologazione a tutto campo, verso l’annullamento della famiglia, delle piccole imprese, delle libere professioni. E ciò per la via soft della totale manipolazione del pensiero. Si traveste di comunione e solidarietà il pensiero unico che nega la libera formazione nelle identità ricercate e dunque anche un autentico, davvero stimolante, scambio.
Un sistema oligarchico occupa ogni potere sensibile e il resto della popolazione viene spogliata di tutto. Ma anche nell’oligarchia i veri potenti sono pochissimi mentre molti non sono che prestigiosi fantocci. Possiamo però osservare che la tecnica tende a meccanizzare tutto al punto che forse diventa sempre più essa stessa il vero dominante che soggioga tutti.
In tale situazione ci si può domandare se la strutturazione fortemente piramidale della Chiesa Cattolica non diventi sempre più pericolosa per la compagine ecclesiale stessa. Non vi è per esempio il rischio che il conclave possa venire fortemente condizionato e anche teleguidato da forze esterne? Qualora ciò avvenisse poi tutta la vita della Chiesa ne verrebbe profondamente costretta.
Quando un pontefice si affaccia alla sua elezione dalla loggia di San Pietro e afferma che il suo programma è semplicemente Cristo ci si potrebbero porre molte domande. Il suo Cristo? Ma Gesù non mette in guardia, nei vangeli, da chi osserva di Dio eccolo qua, eccolo là perché invece il regno di Dio è in mezzo a noi? Il papa non dovrebbe garantire una unità di fondo su poche verità essenzialissime e lasciare il più possibile spazio alle espressioni locali?
Che il vicario di Cristo, che i pastori, siano stati voluti da Gesù è da tenere ben presente. Vi è bisogno di chi è incaricato del coordinamento e prima di tutto di favorire il camminare nella fede. Attento ad evitare di scadere in una fasulla democrazia terrena. Ma forse il razionalismo, lo spiritualismo, il pragmatismo, ossia i tre riduttivismi del razionalismo (ragione astratta, anima disincarnata, resto pragmatico dell’umano) hanno causato modulazioni distorte del rapporto primato-parità tra i vescovi e di quello pastori-laicato. Scarso ascolto, disabitudine ad un autentico dialogo, spegnendo la maturazione delle persone possono aver orientato ad una mera guida dall’alto. Qui sta la radice di molte questioni, come quella femminile. Che senza tali profondità può venire ridotta a mera cooptazione di qualche donna nello stesso potere e con gli stessi modi operativi.
Vi è dunque all’origine un problema spirituale, culturale: solo una crescita serena, a misura, nella propria identità liberamente cercata e nello scambio con le altre può favorire anche la maturazione di un autentico dialogo, di un’autentica partecipazione. Le astrazioni, i meccanicismi, favoriscono il dominio di pochi.
Certo può non essere facile trovare un equilibrio ma la domanda è dunque se non diventi sempre più impellente il bisogno che nella chiesa si sviluppino, nella fede, le libere ricerche delle persone, delle comunità e l’incontro tra di esse. Stimolando un autentico rinnovamento in tale direzione anche in una società che rischia di crollare a tutto campo nello spegnimento, nell’appiattimento, tecnicisti.
Questa nuova modulazione dei rapporti ecclesiali e ancor prima questo rinnovamento spirituale culturale tendenzialmente sempre più divino e umano potrebbero facilitare in mille modi forme di riavvicinamento con altre confessioni cristiane. Ma potrebbero forse facilitare anche sviluppi disgregativi? Intanto possiamo osservare che tanti si possono comunque sentire sempre più lontani a causa di questo burocratico verticismo. Inoltre ci si può chiedere che senso possa trovarsi in una unità fondata sullo spegnimento delle persone e dove ciò possa portare. Prima un eccessivo accentramento poteva apparire anche una saggia difesa da ingerenze esterne. Ma, come visto, deficitavano molte consapevolezze la cui decisività non poteva nel tempo non emergere. Meglio, mi pare, cercare comunque le vie di una crescita autentica.