Quando a Firenze, nel 1983, morì il card. Giovanni Benelli, fu chiesto a personalità del mondo cattolico fiorentino l’identikit del successore e lo scolopio Ernesto Balducci rispose: «Ci vorrebbe un pastore». Non fece nomi, ma l’auspicio si realizzò.
Così, dopo il teologo Ermenegildo Florit e l’ex segretario di Stato vaticano Benelli, venne per la Chiesa fiorentina il tempo del pastore Silvano Piovanelli. Venuto anche lui per certi versi, come papa Francesco, da lontano. Negli anni della guerra fredda e della contrapposizione tra cattolici e comunisti, Castelfiorentino, cuore rosso della Toscana, dove è stato parroco per 19 anni, ha rappresentato infatti per Piovanelli una terra di missione.
La parrocchia – come amava dire – è stata la sua cattedra e l’esperienza di Castelfiorentino lo ha aiutato a calarsi nei tormenti novecenteschi della Chiesa. Non possedeva la cultura teologica e biblica di un card. Martini o l’arte e il decisionismo del governo ecclesiastico di un Benelli, ma aveva la cultura del parroco, il fiuto della gente, la capacità dell’ascolto senza pregiudizio. Quando, nel 2011, morì Enzo Mazzi, il prete ribelle dell’Isolotto, commentò: «Nessuno può giudicare». Che riecheggia quanto dirà qualche anno dopo papa Francesco ad una domanda sui gay: «Chi sono io per giudicare?».
E l’esperienza di parroco è stata la cifra con cui Piovanelli ha affrontato le sfide del suo tempo come il rapporto con la politica e il comunismo, il ruolo della Chiesa nella società contemporanea, l’emergere delle migrazioni di massa, avendo come punti di riferimento figure quali Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni, mons. Enrico Bartoletti e Giorgio La Pira.
Da La Pira l’ex parroco di Castelfiorentino mutuò l’attenzione e la sensibilità per il lavoro e le «attese della povera gente». Il rapporto con la politica, sul finire degli anni Ottanta, assunse in lui un piglio savonaroliano. Le sue omelie nelle messe per i politici divennero frustate contro i privilegi e la corruzione. L’ex parroco fiutò in anticipo il vento di Tangentopoli e della casta.
Altro dramma che assillò Piovanelli fu quello della guerra: dal pericolo atomico degli anni Sessanta fino ai conflitti dei nostri giorni.
Infine, dal concilio Piovanelli apprese l’idea di una Chiesa missionaria, che pone al centro l’uomo più che le istituzioni.
Fu un vescovo conciliare e innovatore, Piovanelli. Che però non escluse nessuno dalla sua Chiesa, di cui ebbe – come sottolinea mons. Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia – un’idea “sinfonica”. Come si conviene al buon pastore che non divide ma unisce il gregge.
(Dal Corriere Fiorentino, 10-7-2016)