Dall’11 al 19 luglio si è tenuto a Roma il Seminario Teologico Internazionale della Congregazione Dehoniana. Circa 40 confratelli hanno discusso e cercato di rivedere il significato del Sint Unum nella vita e missione della Congregazione nel mondo di oggi, concentrandosi sull’amore di Dio e la sua misericordia, come sulle dimensioni del peccato visto soprattutto come una non apertura all’amore di Cristo. Il Sint Unum, intorno al quale si condensa la spiritualità dehoniana, rimane una sfida attuale e una prospettiva significativa anche per il mondo odierno. Durante il convegno sono emersi tre aspetti specifici: la priorità dell’amore in Cristo (agape), la vita fraterna come «sacramento» e il carattere profetico dell’unità. Condividiamo con i lettori e le lettrici di SettimanaNews il messaggio finale del Seminario.
Roma, 19 luglio 2020
Cari confratelli, cari membri della Famiglia dehoniana,
nei giorni 11-19 luglio 2020 si è celebrato il Seminario teologico della Congregazione dal titolo «Sint Unum: Sfide e prospettive oggi». Originariamente previsto a Yaoundé (Camerun), il seminario si è svolto online a causa della situazione provocata dalla pandemia. Ciò ha comportato dei limiti nel confronto fra di noi, ma in qualche modo è stata la possibilità realistica che il nostro tempo ci ha offerto di vivere il Sint Unum e di esercitarlo in modo concreto e costruttivo.
Come si legge nella lettera del Comitato preparatorio, esso «intende esplorare l’attualità, le sfide e le implicazioni del Sint Unum non solo per la Congregazione ma anche per il nostro mondo, segnato oggi da crescenti particolarismi e contrapposizioni. Il Sint Unum, centrale nella tradizione dehoniana, consente di riflettere sul nesso fra dimensione spirituale, comunitaria e sociale. In tal modo si cercherà di mostrare come il tema abbia ancora molto da dire per la società odierna». Le parole di introduzione del Padre Generale ci hanno incoraggiato a vivere il Seminario in questo modo.
La realtà del peccato
Come afferma la nostra Regola di Vita (cf. Cst. 4), P. Dehon era «molto sensibile al peccato» che ha saputo analizzare nelle sue cause e nelle sue conseguenze. Egli ne ravvisava le radici «nel rifiuto dell’amore di Cristo»: non solo nel rifiuto di amare Cristo ma anche, e soprattutto, nella chiusura all’amore che viene da Lui.
È a partire da questo sguardo teologico, e più precisamente cristologico, sul peccato che possiamo percepirne il dramma e al tempo stesso comprendere come esso incida necessariamente sul piano antropologico, comunitario, sociale e cosmico. Il peccato, cioè, minaccia l’integralità della persona, i nostri legami con l’altro, il nostro rapporto con l’intero creato.
Molteplici sono le manifestazioni del peccato e camaleontiche le forme in cui esso si presenta. Già nella Lettera preparatoria al Seminario si menzionavano «nazionalismi preoccupanti, questioni razziali e religiose, tribalismi, etnicismi, razzismi, sistema di caste, ecc. che toccano (per ferire) le nostre comunità e le nuove generazioni».
A questo si possono aggiungere altre manifestazioni: per es. l’oblio di Dio; l’assolutizzazione della libertà senza vincoli e responsabilità; la negazione della dignità dell’altro mediante l’esercizio irresponsabile del potere e dell’autorità; la cosificazione dell’altro; la povertà economica derivante da forme oppressive e da sistemi finanziari iniqui; lo sfruttamento indi-scriminato del creato («peccato ecologico»).
Ci sembra particolarmente importante mettere in rilievo come queste diverse forme costituiscano una «pseudo-cultura», definibile come «cultura della morte» (Giovanni Paolo II) o «cultura dello scarto» (Francesco), e si cristallizzino in strutture inique («strut-ture di peccato»). Un discorso sul Sint unum che prescinda dalla complessità e dalla pervasività di queste dimensioni rischia di essere puramente spiritualista.
Le dimensioni del Sint Unum
Dinanzi a questo scenario risuona con insistenza l’invito di Gesù affinché tutti siano una cosa sola (cf. Gv 17,11.21-22). Se il peccato è in ultima analisi distruzione, rottura dei legami che onorano la dignità dell’uomo e del mondo, il Sint Unum appare la risposta che Dio si aspetta dai suoi discepoli e dall’intera umanità. Di esso mettiamo in rilievo tre aspetti, con le sfide – e prospettive – che lo accompagnano e che interpellano la nostra Congregazione.
Priorità dell’Agape di Dio in Cristo
Proprio l’affermazione che la radice del peccato si trova nel rifiuto o nell’indifferenza dell’amore di Cristo (verso di noi), mette in luce l’opzione ermeneutica di padre Dehon: anziché comprendere l’amore di Cristo alla luce del peccato, egli comprende quest’ultimo alla luce dell’amore di Dio.
Per questo peccato e Sint Unum non sono sullo stesso piano: c’è una priorità dell’amore (agape) di Dio in Cristo, che fonda anche la possibilità di vivere il Sint Unum. Questa priorità la cogliamo nel fatto che Cristo si è abbassato (kenosi) fino a morire per noi (cf. Fil 2,6-11), per riunire insieme tutti i figli di Dio (cf. Gv 11,52). Risorto, con il Padre egli prende dimora in noi (cf. Gv 14,23) e ci attira verso di sé, per farci partecipi della sua piena comunione d’amore con il Padre e lo Spirito.
Da qui emergono alcune sfide per noi:
- vivere in modo pieno l’unione con il Cuore di Cristo, soprattutto a partire dall’eucaristia in cui egli ci rende «un solo corpo e un solo spirito»;
- condurre una vita pienamente integrata e unificata;
- testimoniare che il Sint Unum, prima di essere uno sforzo umano, è un dono della Trinità;
- vivere la riparazione come risposta impellente alla priorità dell’amore oblativo di Dio per noi, vale a dire come «accoglienza dello Spirito» (Cst. 23).
Il «sacramento» della vita fraterna
Il Sint unum ci situa nella vita della Trinità, in cui riconosciamo la perfezione dell’amore che si dona agli altri generandoli nell’alterità e radicandoli nell’unità. La reciprocità d’amore della Trinità (pericoresi) diventa per noi ispirazione e riferimento a cui la nostra vita fraterna è chiamata a corri-spondere. Il Sint Unum non è un semplice presupposto, ma è un dono, un processo, un compito sempre aperto, nella linea di quella «mistica di vivere insieme» di cui ci parla papa Francesco (EG 87).
Noi lo esercitiamo anzitutto nella vita fraterna, che rappresenta il nostro primo apostolato (cf. Cst. 60). Essendo il luogo in cui risuona l’invito a vivere la carità vicendevole, in essa emerge in modo più nitido la nostra testimonianza per la vita del mondo: «Nella comunione, anche al di là dei conflitti, e nel perdono vicendevole, vorremmo testimoniare che la fraternità di cui gli uomini hanno sete è pos-sibile in Gesù Cristo e noi vorremmo esserne i servitori» (Cst. 65).
Da qui emergono alcune sfide per noi. Grazie alla forza della misericordia donataci nel Cuore di Cristo, ci è chiesto di accogliere l’altro nella sua differenza (culturale, etnica, generazionale…); anzi di considerare l’altro – e la vita fraterna con l’altro – come «sacramento». Perché questo sia possibile concretamente abbiamo individuato tre aree nelle quali è facile dimenticare questo aspetto.
- La prima area riguarda i dinamismi psicologici che in maniera spesso inconscia ci impedi-scono di accogliere e valorizzare l’altro. Le nostre relazioni sono segnate da un «potere» che, se non si converte in «servizio», nega l’alterità del fratello e, nei casi più gravi, lo conduce a comportamenti (auto)distruttivi.
- La seconda area concerne la gestione dei beni. La fraternità si edifica anche mediante il rap-porto corretto con quanto possediamo: riteniamo perciò necessario crescere nella trasparenza e nella responsabilità della gestione economica, nella capacità produttiva così come nella so-lidarietà fra di noi. Il nostro sforzo dev’essere teso a restituire un volto umano all’economia, specialmente in questo tempo in cui, come afferma papa Francesco, essa spesso «uccide» (EG 53).
- La terza area tocca l’aspetto della sinodalità, del camminare insieme. Se questo aspetto è or-mai acquisito dal punto di vista teologico, esso deve sempre più realizzarsi in processi concreti e in vie percorribili e verificabili, anche rispetto all’esercizio dell’autorità e alla necessità di vivere in modo sempre più profondo la riconciliazione.
«Affinché il mondo creda… »
Il Sint Unum è anche profezia: Gesù desidera che i suoi discepoli siano «una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). In questo senso, anche p. Dehon desidera che i suoi religiosi siano «profeti dell’amore e dei servitori della riconciliazione degli uomini e del mondo in Cristo» (Cst. 7).
Il Sint Unum, in altri termini, non ci chiude in noi stessi, ma ci spinge ad essere in cammino, ad andare sempre oltre. Esso ci apre alla missione (Adveniat Regnum Tuum), come dimen-sione costitutiva del nostro discepolato. Camminando con il Signore, mettendoci al passo dei nostri fratelli, sappiamo anche andare verso l’altro, verso ogni persona, soprattutto quella più povera e bi-sognosa.
Da qui emergono alcune sfide per noi.
- La qualità della nostra unione con Cristo si manifesta non solo nei confronti della nostra co-munità, ma anche nel nostro impegno e dialogo con quanti sono oppressi e bisognosi. La qualità della nostra vita fraterna e della vita missionaria vanno di pari passo.
- Riconosciamo inoltre una particolare forma di povertà che ci interpella nella situazione in cui versa la nostra Madre Terra. Promuovere una spiritualità e un impegno ecologico ci pare par-ticolarmente importante nel contesto attuale come forma di comunione con il creato e con le future generazioni.
- Il Sint Unum, infine, ci chiama a testimoniare e a impegnarci per l’unità della Chiesa di Cristo (impegno ecumenico) oltre che a porci in dialogo costruttivo con le diverse espressioni reli-giose e culturali (dialogo interreligioso e transculturale).
Discepoli e servitori della fraternità
Alla luce di questo Seminario vorremmo incoraggiare tutti i confratelli a esplorare, a sperimentare e a promuovere nelle loro comunità e nel loro apostolato lo spirito del Sint Unum. Esso apre ambiti di riflessione così diversificati e affascinanti che solo progressivamente potremo analizzare e apprez-zare.
Il Sint unum – invocato, praticato e testimoniato soprattutto nella vita fraterna – appare un rime-dio per i nostri egoismi, per il nostro desiderio di dominare gli altri per interessi economici e di potere, per i traumi che segnano le nostre vite.
Il Sint unum, insomma, scioglie le catene del peccato, ci restituisce la libertà dei figli di Dio e ci apre alla missione per la vita del mondo. Maria, prima disce-pola del Signore e promotrice di unità, sempre attenta a fare la volontà del Padre, ci aiuti in questo compito così affascinante.