«L’ultima cena di Saul fu voluta e apparecchiata da una maga, da una negromante, da una donna, da una persona che, forse, gli diede l’ultimo abbraccio misericordioso, gli regalò le ultime parole buone che la vita, Samuele e Dio gli avevano negato. La Bibbia è in-finita anche per le parole e i gesti di donne e uomini ordinari, spesso scartati e peccatori, che consentono alla parola biblica di essere, qualche volta, più umana delle parole di Dio pronunciate dai suoi profeti» (p. 132).
Da questa citazione credo si possa comprende la cifra ermeneutica di Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università Lumsa di Roma, nell’accostarsi al testo biblico, in questo caso 1-2Samuele, per commentarlo e attualizzarlo in modo veramente affascinante. Una lectio divina molto umana e umanizzante. È la cifra dell’amore misericordioso, che ricupera soprattutto i poveri, gli ultimi, le scorie, gli scartati dalla storia, i re scelti e poi abbandonati da Dio sulla strada della loro vocazione incompiuta.
Le lacrime della sterile Anna aprono le pagine di 1-2Samuele che vede la ricca figura del profeta Samuele giganteggiare nell’annunciare la volontà di Dio, ungere (controvoglia) il primo re di Israele, Saul, e poi anche il secondo, Davide, che sarà il protagonista del resto dei due libri, che in antichità formavano un solo volume.
Bruni trae lo spunto del suo commento dalla vita concreta degli uomini e delle donne di oggi: i patti diversi dai contratti, la religione che fornisce le prime pedine all’economia (pecore, capri, montoni e tori offerti a Dio per placarne le esigenze), il dolore degli innocenti, uomini e donne ai margini della società ecc. Anna che canta profeticamente con forza il non-ancora di Dio, Eli che diventa intermediario della vocazione di Samuele, come tante volte le persone (con umiltà e prudenza) diventano tramite del percorso vocazionale di altri nella vita.
A Bruni non fa difetto il linguaggio immaginifico che gli deriva dalle sue letture, ma soprattutto da una consuetudine col vissuto degli uomini, intriso di amorosa attenzione, comprensione misericordiosa e fiducia nell’uomo, sempre più grande delle sue colpe. Di qui i titoli a volte davvero stranianti ma ben azzeccati.
I filistei rimandano agli ebrei l’arca conquistata in battaglia ma che aveva procurato loro dei bubboni. Accompagnano la sua restituzione con il dono di cinque bubboni d’oro. “La civiltà del dono omeopatico”, titola Bruni (p. 29). I profeti sono i custodi del “quasi”, perché la realtà non rimanga bloccata nel presente. I patti, a differenza dei contratti odierni, toccano la carne e il sangue. Saul affascina e attira la compassione del lettore per la sua figura dai tratti opposti, per la sua sorte di re incompiuto, depresso ma guerriero, geloso e furioso con Davide, ma capace di riconoscere i propri sbagli nei suoi confronti.
Le pagine della Bibbia ci porterrebbero a condannarlo per i suoi errori che gli causano la perdita della regalità, ma il testo suggerisce al lettore simpatia e partecipazione che egli può e deve nutrire per lui al di là del tranciante giudizio teologico di Samuele e di Dio sui di lui.
Davide è l’eroe dell’economia della piccolezza e con gli attrezzi del suo lavoro vince la guerra. Profeti e sacerdoti, razziatori e briganti aiutano Davide nel sua vita di fuggiasco. La comunità meticcia genera la vita, quella omogena finisce nel nulla. La donna Abigail va a riparare in fretta i danni compiuti dal suo stupido marito, di nome Nabal, appunto. Nomen omen. La benedetta fretta delle donne intuisce e ripara molti mali compiuti dai maschi.
Il testo biblico sembra condannare Mical per il suo giudizio severo nei confronti di Davide – confidatogli nell’intimità delle mura domestiche – che si è denudato danzando davanti all’arca di YHWH. Le donne vedono cose che i maschi non vedono. Delle loro parole essi hanno bisogno, per raggiungere la verità della loro vita. Ma le donne hanno un decoro diverso dai maschi, e il lettore deve comprendere il punto di vista di Mical, senza appiattirsi sulla condanna, implicita, che si abbate su di lei da parte dell’autore biblico (e di Dio?): «Da allora in poi non ebbe figli…».
La pagina biblica ha bisogno di lettori che entrino in consonanza con il testo attraverso la vita, la facciano propria con il canto e l’azione, che accolgano con sguardo misericordioso gli sbagli degli uomini e delle donne, lodino la fedeltà di YHWH che continua a vagare nomade anche nel nostro tempo. «La splendida laicità di Dio» (p. 157ss) fa sì che egli non abbia bisogno del tempio in cui tentare di rinchiuderlo per controllarlo e, forse, manipolarlo. La Bibbia chiede fede – afferma convinto Bruni –, contatto personale con Dio, e non tanto religione, templi, regole e leggi di retribuzione (oggi laicizzata nella meritocrazia imperante).
Un libro davvero splendido, gustabile a puntate. Raccoglie i trentuno editoriali apparsi su Avvenire, che fanno respirare l’aria fresca del Dio della Bibbia, dei suoi personaggi e dei loro percorsi che sono i nostri, quelli degli uomini e delle donne di ogni tempo. Abbiamo tutti bisogno di misericordia, ascolto, di stringere patti per la vita, dell’amicizia come quella di Gionata per Davide, dello sguardo che attende con amore il ritorno – libero – a casa, del pane dell’ultima cena offerta da una maga messa ai margini della società dallo stesso re che gli chiede una negromanzia…
La Bibbia è lo specchio della vita degli uomini. Essa ha attenzione anche per i particolari non necessari, per gli uomini e per le donne scartati. A differenza delle Cronache, 1Samuele menziona per nome Rispa, una delle mogli di Saul, “presa” dal generale Abner come compenso minimale per i suoi servigi offerti al defunto re. Riporta il nome del povero Paltièl, a cui era stata data in moglie Mical, che la riaccompagna mentre in corteo deve ritornare da Davide, piangendo come se stesse accompagnando la sua bara. Menziona Merib-baal, rimasto storpio a cinque anni, come tanti bambini di guerra sfregiati nella fuga dalle bombe in braccio a madri disperate. La Bibbia menziona i nomi degli scartati. Sono le «steli di innocenti» (p. 141).
La Bibbia è uno specchio di vita, la via di Saul è la nostra. È una miniera di misericordia. Il pozzo del cuore fedele di Dio verso i suoi figli, sempre bisognosi di dignità, perché sempre più grandi delle loro colpe.
Una citazione per concludere, per salvare noi e… Dio.
«Non basta la Bibbia, non basta neanche il vangelo, per riscattare le vittime e i poveri. Ce lo dice la storia. C’è un bisogno essenziale della nostra libertà. Chi troppe volte manca nelle storie della Bibbia siamo noi, suoi lettori. Per poter arrivare fino alla stanza di Mical e dirle: “ti capisco”, lo dobbiamo volere e scegliere. Altrimenti ci fermiamo sull’uscio, della stanza e della Bibbia. La lettura biblica è feconda se diventa un esercizio spirituale e morale per vedere e sollevare umili e umiliati, e quindi per salvare Dio, troppe volte collocato dalla parte dei forti e dei vincitori» (p. 156).
Luigino Bruni, Più grandi della colpa. Una rilettura di Samuele, EDB, Bologna 2020, pp. 264, € 18,50.