Nel cattolicesimo, a ondate abbastanza regolari, riemerge il lamento per la dimenticanza sociale di Dio nel contemporaneo europeo, da un lato, e per l’assenza di un’attenzione collettiva alla dimensione religiosa del vivere umano, dall’altro. A prima vista potrebbe sembrare che le cose stiano proprio così.
La funzione di questa lamentazione è doppia: quella consolatoria, ossia di trovare una giustificazione ineccepibile per la scarsa rilevanza pubblica della Chiesa; e quella di spostare sulla socialità comune la responsabilità della dissolvenza di Dio dall’orizzonte della vita degli uomini e delle donne di oggi – soprattutto delle generazioni più giovani.
Il tutto segnato dalla segreta ossessione del «numero» come metro dell’impatto del cattolicesimo negli ambiti del vivere del nostro continente. Una variazione un po’ traballante dell’argomento cartesiano: siamo tanti, dunque siamo. Logica ben lontana dalla marginalità minoritaria da cui si è accesa la storia europea del cristianesimo: quella dell’evangelo.
Democrazia, potere, legittimazione
In tutto questo, poi, non si riesce a capire bene se la preoccupazione cattolica per la dimenticanza sociale di Dio riguardi proprio lui, o non sia piuttosto indice di un narcisistico timore della Chiesa per se stessa – per un «potere» che essa continua ad affermare di possedere, che non genera però alcuna potenza della sua presenza storica.
Dietro a questo tipo di argomentazione cattolica sta l’incapacità di comprendere le trasformazioni strutturali prodotte dall’avvento della forma democratica nella tarda modernità europea. All’immanenza della configurazione complessiva del sociale, accordata sul registro di un’effettiva eguaglianza fra tutti, corrisponde la riarticolazione di ogni forma di autorità che non può essere tale senza una legittimità che deve essere sempre di nuovo guadagnata a cospetto della società stessa.
L’indeterminato della società, non più riconducibile a un corpo omogeneo univoco, rappresenta quindi la messa alla prova della legittimità di ogni istanza che avanza una pretesa di autorità. In questo senso, la democrazia è quella messa in scena della convivenza fra molti che non ha bisogno di un fondamento necessario per sussistere in quanto tale. Anzi, la possibilità stessa della democrazia è data dalla rinuncia a questo fondamento – ed è proprio questo che la rende fragile e incerta rispetto ad altri modi di esercitare il potere.
L’archiviazione democratica del fondamento necessario apre uno spazio simbolico per il potere stesso, che si trova così distinto dalle forme temporanee del suo esercizio: il sito del potere è uno spazio vuoto (C. Lefort), così che nessuna istanza che lo esercita politicamente può coincidere con esso, né trovare nel potere esercitato la propria legittimazione a latere dell’indeterminazione del sociale – non omogeneo e mai perfettamente coincidente con un’unica figura di sé.
Il problema della Chiesa e del cattolicesimo nel contemporaneo è che continua a pensare Dio come fondamento necessario dell’intero; ogni sua parola, sia essa magistero o annuncio, viene detta infatti ancora nella luce di questa logica della necessità del fondamento. Di fatto, si tratta quindi di una parola senza destinatario. Non siamo ancora all’altezza di dire l’inutilità di Dio, ossia di declinarlo nella condizione effettiva della sua desiderata destinazione per l’oggi dell’umanità.
In cerca di destinatari
Eppure, l’immagine evangelica è cristallina: prima di qualsiasi parola su Dio, Gesù si mette caparbiamente in cerca di destinatari a cui rivolgersi. Ed è sulla «condizione» effettiva dei destinatari che trova che egli modula gesti e parole che li legano alla realtà di Dio – come realtà vincolata e messa alla prova dalla vita concreta dei destinatari a cui ci si rivolge.
La simbolica democratica del sito del potere come luogo vuoto e indisponibile a ogni identificazione con le istanze della sua rappresentazione, risuona estremamente consona alla notizia cristiana di Dio: dove il vuoto lasciato dal Risorto nella storia interdice a ogni istanza, religiosa o politica che sia, di insediarsi in questo spazio identificandosi col potere di Dio quale legittimazione indiscutibile di sé.
Ogni volta che la Chiesa pensa di poter disporre realmente di questo potere, ossia immagina di far diventare realtà il potere che si toglie rendendosi indisponibile a ogni presa, compie un atto di perfetto nichilismo: si fonda sul nulla e pensa che il nulla sia la forza imperscrutabile che ne garantisce un’indiscutibile legittimità.
Con l’esito inevitabile di doversi attuare come istituzione totalitaria del potere per non dover accedere alla consapevolezza della macchinazione che ha messo in atto: ossia di poter disporre di un potere che è solo fittizio e che può essere mantenuto in quanto tale unicamente identificando a sé l’intero della vita umana.
Totalità e apprendimento
Ogni parte di vita che resiste o sfugge a questa totale identificazione viene espulsa e indicata come il «nemico» che deve essere annientato. L’antagonismo del nemico è necessario all’apparato totalitario che sopravvive solo nell’omogeneizzazione totale del vivere – senza distinzioni, senza differenze, senza opposizioni. Oggi, la dimenticanza sociale di Dio e la disattenzione pubblica al religioso rappresentano l’antidoto salutare contro il grande sogno totale della Chiesa e del cattolicesimo.
L’inutilità di Dio che esse affermano è la salvezza della Chiesa da se stessa; introducendola a un lento apprendimento di un’autorità che è sempre in cerca della propria legittimazione – che non può più darsi da sé e che non trova più in un fondamento necessario, ma che si prova nella sua destinazione a una legittimità che le viene accordata da fuori di sé – mettendola così ogni volta di nuovo alla prova.