Il caso dei «furbetti» – deputati e amministratori pubblici – che hanno chiesto il bonus assegnato dal governo per sostenere i lavoratori indipendenti colpiti dalla crisi del Coronavirus, ha dato luogo a fiumi di commenti. Non mi sembra però che, al di là dell’indignazione, sia emerso pienamente il suo significato per la comprensione della politica.
In realtà, al di là dei suoi aspetti scandalistici, questa vicenda evidenzia che il richiamo alla legalità, frequentemente indicata come supremo valore della vita pubblica, è insufficiente a definire lo stile di chi si trova impegnato in essa come rappresentante dei cittadini. I deputati e gli amministratori finiti nell’occhio del ciclone hanno ragione quando fanno notare di non aver violato nessuna legge e di rivendicare, da un punto di vista giuridico, la propria onestà.
Tutti onesti
Eppure, è comprensibile l’ondata di indignazione che si è sollevata nei loro confronti in questi giorni nell’opinione pubblica, costringendo i rispettivi partiti a prendere – o almeno a dare l’impressione di prendere – misure drastiche nei loro confronti. Il punto è che a una persona incaricata – a livello nazionale o locale – di garantire il perseguimento del bene comune, non si chiede soltanto quel tipo di onestà che viene dichiarata in un’aula giudiziaria. Neppure quando – e non è sempre così – essa è certificata, oltre che dal gioco convenzionale delle regole processuali, anche da un effettivo rispetto delle leggi, come è in questo caso.
La stagione del populismo ci ha abituati a sentire esaltare l’onestà come il fondamentale requisito di chi vuole governare. È stato in nome della loro onestà che i populisti hanno ritenuto di dover sostituire la vecchia «casta», a loro avviso corrotta. In realtà, l’esperienza di questi due anni ci dice che ad essi è bastato molto meno tempo di permanenza al potere per registrare, proprio su questo fronte, problemi analoghi.
Ma non è questo il punto. Il punto è che, come dimostra il caso del bonus anti-Covid, l’onestà da sola non significa nulla. La storia è piena di pessimi governanti che non si mettevano un soldo in tasca. Una buona politica richiede molto di più dell’onestà, o, se si preferisce, un genere diverso di onestà.
Onestà senza dignità
Perché la politica – malgrado tutti gli sforzi del pensiero moderno, da Machiavelli in poi, per farne una pura tecnica, finalizzata alla conquista e alla conservazione del potere – mantiene ancora, ai nostri occhi, un segreto rapporto con il complesso dei valori che definiscono la nostra identità umana. E l’onestà di un politico non può prescindere da questi valori.
Ne è una prova il frequente appello alla dignità, risuonato in questi giorni come fondamentale argomento di denunzia nei confronti degli accusati. Nessuna norma è stata violata, ma la deputata della Lega che ha chiesto e ottenuto il bonus di 600 euro – dopo averlo definito sprezzantemente, in un suo intervento alla Camera, un’«elemosina» –, ha dato a tutti l’impressione di non essere stata, col suo comportamento, pienamente «onesta» e all’altezza del titolo di «onorevole», che formalmente le spetta come rappresentante del popolo italiano.
Né, giustamente, è stato accettato dalla gente il tentativo, da parte di alcuni dei politici e amministratori coinvolti, di separare la loro funzione pubblica dalla loro vita privata, giustificando con i problemi di quest’ultima la loro scelta. Qualcuno ha tirato in ballo la mamma, qualcun altro i problemi economici della propria azienda.
Ma davvero chi assume una carica politica può rivendicare come «affari suoi» quello che fa come privato, al di fuori del suo ruolo ufficiale? Lo abbiamo sentito ripetere innumerevoli volte quando si trattava della discutibile vita privata di Silvio Berlusconi. Ma era falso allora e lo resta oggi. Fa piacere constatare che, finalmente, se ne stia prendendo atto.
La competenza del politico
La vicenda del bonus anti-Covid però dice che non è solo la dignità a qualificare l’onestà di un politico. Un fattore fondamentale è la competenza. Dove, con questo termine, non mi riferisco a una mera preparazione tecnica, che non è indispensabile a un governante (saprà circondarsi, per questo, di esperti del settore a cui è preposto), ma quella capacità, richiesta in modo specifico dalla sua missione, di fare scelte prudenziali appropriate, sulla base di una propria maturità culturale e morale, in vista del perseguimento del bene comune.
È questa competenza che sembra essere mancata nel caso in questione. Non dal lato dei profittatori, ma da quello del legislatore. Si può senz’altro infierire su chi ha sfruttato la legge senza pudore. Ma l’art. 27 del decreto «Cura Italia», che prevede l’erogazione indiscriminata dell’indennità a tutti i titolari di partita IVA, senza alcuna limitazione di reddito, sembra scritto apposta per sprecare il denaro pubblico. E non soltanto in favore di politici e amministratori – che sono stati messi alla gogna –, ma di tanti comuni cittadini che non avevano affatto bisogno di quei 600 euro e se li sono presi perché, tanto, era lo Stato che li regalava! E questo in un momento in cui la crisi esige un’oculata gestione dei soldi e tutti parlano della necessità di spendere bene quelli che l’Europa sta per darci!
Tra l’altro, è stato osservato che i responsabili di questa clamorosa manifestazione di incompetenza politica sono stati ministri del partito che ha più gridato contro lo scandalo: quello dello sviluppo economico Patuanelli, quello del Lavoro Catalfo, il viceministro dell’economia Castelli. Con l’avallo del presidente del Consiglio Conte, espressione anche lui della stagione del populismo. Anche loro, certamente, «onesti», ma non dell’onestà del politico, che implica la competenza.
La giustizia non ignora le differenze
Non è il solo recente provvedimento governativo che distribuisce sussidi a pioggia – dalla babysitter agli elettrodomestici, dall’auto al monopattino –, dando a poveri e ricchi indistintamente. In nome della tesi – assolutamente ideologica – che il solo soggetto a cui guardare è il «popolo», concepito come blocco monolitico, al cui interno sarebbe ingiusto fare differenze. Come se ogni differenza fosse un’ingiustizia e non fosse al contrario sommamente ingiusto trattare allo stesso modo chi si trova in condizioni diverse.
E il bello deve ancora venire! È di pochi giorni fa la notizia che a presiedere la commissione per le politiche dell’Unione Europea alla Camera – quella che dovrebbe aver un ruolo decisivo della programmazione e nella gestione del Recovery Found – sarà Sergio Battelli, 37 anni, titolo di studio terza media, fino alle elezioni del 2018 banconista in un negozio di animali.
Si diceva prima che un governante non deve per forza avere la competenza di uno specialista. Non è neppure indispensabile che la sua cultura sia attestata da un titolo di studio, anche se, in mancanza di altro, questo sarebbe già un segno di capacità di applicazione e di impegno intellettuale. Ma c’è una competenza politica che è frutto di maturità personale e di esperienza, e di cui bisogna aver dato in qualche modo prova, se la si vuole riconosciuta. Ora, quando, in un’intervista, gli hanno chiesto quali riteneva fossero i meriti che giustificavano una così folgorante carriera politica, l’onorevole Battelli ha risposto che, è vero, non aveva completato gli studi, però aveva sempre lavorato con onestà. Ancora una volta, l’onesta viene chiamata in causa come elemento decisivo per la politica.
Un futuro problematico
Forse, da parte di Battelli, sarebbe stato segno di questa onestà anche l’aggiungere che la nomina deriva dalla sua appartenenza alla corrente di Di Maio. Ma non è questo il punto più importante.
Ciò che soprattutto urge, davanti a un simile scenario, è l’interrogativo che grava sul futuro di un Paese dove ad avere un ruolo pubblico determinante, in un settore decisivo, è una persona che, per la sua giovane età, per la mancanza non solo di titoli di studio, ma di studi, per la mancata dimostrazione di capacità (almeno finora), può vantare, per giustificare il suo ruolo, solo la sua (asserita) onestà – scissa, però, da una qualsiasi competenza, in qualsiasi modo dimostrata.
Il problema ha anche una valenza educativa. Le scuole fra poco riapriranno. Ci sono problemi tecnici, ma ancora più drammatico, a mio avviso, sono i modelli educativi che noi proponiamo. Mi chiedo cosa potrei rispondere a un ragazzo che si appellasse all’esempio di Battelli per giustificare la propria svogliatezza nello studio e della sua volontà di non continuare gli studi. Finora gli si era detto che la cultura è fondamentale per andare avanti nella vita, che la società è in grado di distinguere e di premiare chi cura seriamente la propria cultura e acquista delle competenze. E ora?
- Ripreso dal sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo Tuttavia.