Ieri parlavo al telefono con un amico americano e gli chiedevo notizie della sua famiglia. «Stanno bene di salute, ma gli Stati Uniti in questo momento stanno vivendo una crisi profonda a più livelli» – mi ha risposto con voce preoccupata. Una crisi sistemica che incide in un animo americano sensibile e intelligente quasi più degli affetti famigliari più cari.
Così, mentre il vice-presidente Mike Pence annunciava alla Convention repubblicana la promessa di una rigorosa applicazione del «law and order» per tutti (tutti chi? – verrebbe da chiedersi a questo punto), i giocatori della squadra NBA dei Milwaukee Bucks hanno scelto la via operaia dello sciopero (Kenosha, la cittadina dove un altro afro-americano, Jacob Blacke, è stato gravemente ferito dalla polizia e dove sono in atto proteste di piazza da tre giorni con l’assassinio di altri due afro-americani probabilmente per mano di un giovane vigilante bianco, si trova a un tiro di schioppo da Milwaukee).
Nella bolla dorata di Disney World in Florida, dove la NBA ha organizzato la fine del campionato e i play-off per il titolo, ieri sera doveva giocarsi la partita Milwaukee Bucks-Orlando Magic. Solo che i giocatori dei Bucks non sono scesi in campo, per protesta e solidarietà per quello che sta avvaenendo sul territorio e nello Stato di cui si sentono i rappresentanti. Senza avvertire la proprietà della squadra, i vertici della NBA e la stessa associazione dei giocatori.
16 uomini si sono sostanzialmente ammutinati e hanno rifiutato di asservirsi alla legge dello show must go on – qualsiasi cosa succeda. Lontani e isolati, hanno scelto di rappresentare in questo modo il loro territorio: non possiamo fare come se non stesse succedendo niente là dove dovremmo essere. Le squadre della NBA coltivano un legame significativo con le comunità locali nelle quali sono inserite, e sono attive sia a livello caritativo sia a quello di presenza in settori della società maggiormente disagiati e a rischio. In una città relativamente piccola come Milwaukee questo legame è ancora più forte e sentito.
A seguire, anche le altre squadre che avrebbero dovuto giocare ieri sera hanno deciso di sostenere la protesta dei giocatori dei Bucks e non sono scese in campo. Un buco televisivo da milioni di dollari, un gesto senza precedenti nello sport professionistico americano (certo, nella NBA i giocatori avevano già scioperato altre volte, ma sempre per questioni contrattuali).
Le grandi parole del mito americano, dall’american dream al melting pot, fino al trumpiano make America great again, si stanno sbriciolando sotto una crisi che è oramai giunta alle soglie di essere una crisi totale.