Bielorussia: l’asse Lukashenko-Putin-ortodossia

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Cominciano i regolamenti dei conti? Lukashenko, forte dell’80% (presunto) dei voti nelle elezioni del 9 agosto e del sostegno esplicito del presidente russo Putin, avverte la possibilità di chiudere l’ondata delle proteste popolari, sviluppatasi con forza nelle ultime settimane. A cominciare dai dimostranti e dai giornalisti (interni e internazionali).

«Da un lato – annota Angelika Schmähling, responsabile per la Bielorussia dell’organizzazione cattolica umanitaria tedesca Renovabis –, ci sono le grandi immagini della protesta creativa, in cui la gente festeggia pacificamente per strada. Dall’altra parte, il sistema sta diventando sempre più militarizzato. E c’è la pressione del grande vicino a Est, una chiara influenza politica della Russia». La tensione politica interna non lascia molto spazio di manovra perché Mosca non può permettersi di perdere la Bielorussia e l’opposizione non è in grado di rovesciare un’appartenenza economica, culturale e religiosa così pervasiva (cf.  SettimanaNews: Ortodossia bielorussa: Minsk come Kiev; Putin il convitato di pietra)

Un contesto che vede un significativo ruolo anche per le Chiese. In particolare, per la Chiesa ortodossa (la metà circa dei 9,5 milioni di abitanti) e della Chiesa cattolica (il 15% della popolazione). La prima rappresenta l’appartenenza del paese al ruski mir, a quel mondo-pensiero russo chiamato a ridare fiato e sostanza al grande impero sovietico di un tempo. La seconda, particolarmente radicata nelle regioni occidentali, è più libera e disponibile a condividere le domande di riforme.

Un nuovo metropolita

Il metropolita Pavel, come ha fatto il patriarca Cirillo di Mosca, si è subito espresso a favore della conferma elettorale di Lukashenko e, pur con alcuni gesti coraggiosi, ha chiesto ai fedeli, assieme agli altri vescovi, di essere prudenti e al clero di non partecipare alle manifestazioni.

La svolta è giunta da Mosca. Il santo sinodo, convocato il 25 agosto, ha deciso di accettare le dimissioni del metropolita Pavel, di ceppo russo, nominando a succedergli, il vescovo bielorusso Beniamin di Borisov. Il tempestivo cambiamento al vertice risponde, da un lato, alle esigenze nazionalistiche di avere un metropolita originario del paese e, dall’altro, di contare su una figura in grado di «preservare e rafforzare l’unità ecclesiale dei popoli della Rus storica in un contesto di gravi conflitti sociali e politici» (dichiarazione del sinodo).

Di profilo religioso e di formazione monastica, il nuovo metropolita nasce del 1968, proviene dagli studi scientifici, entra successivamente nella facoltà teologica come monaco di Jerositsy. Ordinato prete nel 1995, diventa superiore del monastero di Liady (Misnk) e vescovo nel 2014. Caratterizzato dall’ascetismo monastico e dalla chiara appartenenza alla Chiesa ortodossa di obbedienza moscovita, è considerato l’uomo adatto per il momento.

Nel suo primo messaggio ai fedeli (26 agosto) chiede il cambiamento degli spiriti e dei cuori, il passaggio dal male al bene, dalla menzogna alla verità, dalla divisione all’unità, dalla condanna reciproca alla comprensione: «sono questi i cambiamenti necessari alla nostra società». «Gli ultimi, tristi avvenimenti nella nostra patria si sono prodotti perché i nostri cuori hanno scelto una cattiva direzione, perché la luce di Cristo non ha potuto brillare in questo tempo oscuro».

Chiama alla preghiera ardente, al digiuno e al culto liturgico in occasione della festa della dormizione di Maria, con una particolare celebrazione prevista per il 30 agosto. Per gli osservatori sarebbe lui la figura in grado di resistere alla domanda di autocefalia (autonomia) rispetto a Mosca, come il metropolita Onufrio per la Chiesa ucraina. Sulla legittimità della richiesta autocefala si era espresso il metropolita Epifanio della Chiesa ortodossa ucraina in contrasto con quella di obbedienza russa: «La Chiesa ortodossa della Bielorussia ha le stesse ragioni e il diritto (di quella ucraina) di richiedere un tomo di autocefalia alla Chiesa madre, se lo desidera».

L’archimandrita russo, Savva-Mazhuko, del monastero di Gomel, ha denunciato le gravi conseguenze scismatiche di un’eventuale richiesta da parte della Chiesa bielorussa. Un esperto cattolico di quell’area geografica ci ha detto: «Se le cose cambiassero e la dittatura bielorussa dovesse allentare la sua morsa, nella Chiesa ortodossa locale si comincerà a lavorare per la propria autocefalia».

Il coraggio della Chiesa cattolica

Identico è il richiamo della Chiesa cattolica per la preghiera a favore del paese, ma con un’apertura maggiore alle ragioni della protesta e alla difesa di quanti sono scesi nelle strade e nelle piazze. «Quello che è successo il 9-10 agosto (le elezioni) è stata una umiliazione della dignità umana» – ha detto il portavoce della conferenza episcopale, p. Yury Sanko.

L’arcivescovo di Minsk, Tadeusz Kondrusiewicz, ha denunciato con vigore le violenze della polizia, visitando i carcerati e i feriti. Ha alzato la voce per difendere i diritti di libertà religiosa quando le forze antisommossa hanno sequestrato un centinaio di fedeli nella chiesa della Santa Trinità di Minsk (26 agosto) e ha coperto con la sua autorità quanti si sono espressi contro ogni violenza e contro l’uso della forza da parte dello stato, anche incontrando il ministro dell’interno.

Lukashenko ha minacciato i preti cattolici: «Fatevi gli affari vostri e ricordate che le chiese sono per pregare e non per lavorare contro lo stato». I cattolici sono identificati con i dimostranti? «Per il governo probabilmente le cose stanno così – ha detto il portavoce della Conferenza episcopale. Ma la Chiesa agirà sempre secondo coscienza. Se è stato versato sangue innocente, dobbiamo parlarne. Se restiamo in silenzio, allora siamo complici di questo crimine. Pertanto, la Chiesa non resterà in silenzio. Lo dimostrano le dichiarazioni del metropolita sulla fine delle violenze e i sacerdoti che manifestano per fermare le aggressioni contro i pacifici cittadini del nostro paese».

Le probabili difficoltà a cui andranno incontro i cattolici rispetto al regime dittatoriale alimenteranno la credibilità e il prestigio di una Chiesa minoritaria, ma coraggiosa.

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Un commento

  1. Nino Remigio 1 settembre 2020

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