Simone Morandini insegna Teologia della creazione all’Istituto Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia e alla Facoltà teologica del Triveneto; coordina il gruppo «Custodia del creato» dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI; collabora con la Fondazione Lanza di Padova. Lo abbiamo intervistato dopo l’uscita del suo ultimo volume, Cambiare rotta. Il futuro nell’Antropocene (con prefazione di Enrico Giovannini, EDB, Bologna 2020).
- Prof. Morandini, il titolo del suo ultimo libro «Cambiare rotta» sollecita un urgente cambiamento nei comportamenti, nel pensare e nell’agire. Vi è percezione di tale emergenza?
Purtroppo, siamo spesso distratti; fatichiamo a percepire davvero quanto gravi siano i fenomeni di degrado ambientale, a partire dal riscaldamento globale. Eppure i segnali sono ormai chiari e convergenti con le analisi della comunità scientifica: aumento degli eventi metereologici estremi (si pensi per l’Italia alla tempesta Vaia o all’«aqua granda» del 2019 a Venezia), ondate di calore che determinano incendi persino in Alaska e in Siberia (ma anche, proprio in questi giorni, in California, in forme devastanti), spostamento delle fasce climatiche… E queste sono solo le avvisaglie, di dinamiche che non potranno che accentuarsi. Gli impatti sulle persone sono ormai pesanti, colpiscono tutti, ma soprattutto i soggetti e le aree più fragili, determinando sofferenza e morte.
E non dimentichiamo che la crisi ambientale ha anche altre dimensioni, come le immense “isole di plastica” che alterano le dinamiche dei nostri oceani o l’inquinamento chimico, di cui realtà come Taranto e la Terra dei Fuochi offrono testimonianze drammatiche. La stessa pandemia da Covid-19 è anche il frutto di un rapporto sbagliato con la terra, di un pianeta ammalato.
Davvero stiamo navigando incontro ad una “tempesta perfetta” e cambiare rotta è un imperativo, necessario e urgente. Dobbiamo modificare il nostro rapporto col mondo, i nostri stili di vita personali e comunitari; dobbiamo ripensare scelte politiche ed economiche. Per fortuna vi sono già segnali di attenzione in tal senso – dai giovani dei Fridays for Future ispirati da Greta Thunberg, alle indicazioni della Commissione Europea, fino ai forti richiami di papa Francesco.
Certo, non abbiamo molto tempo per lasciarci muovere da essi ad un cambiamento efficace; dobbiamo agire presto e agire bene.
- Il sottotitolo dice «Il futuro dell’Antropocene». Può spiegarlo?
L’espressione «Antropocene» è stata resa popolare dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, lo scopritore dei meccanismi che hanno generato il «buco» della fascia di ozono. Con essa egli intendeva sottolineare che siamo entrati in una nuova era della storia della Terra: quella in cui le dinamiche planetarie – biologiche, ecosistemiche, geologiche – sono ormai in gran parte determinate dai comportamenti umani.
La comunità scientifica discute su quando vada collocato esattamente l’inizio della nuova era, ma certo è che il secondo dopoguerra segna una “grande accelerazione” di tale dinamica ed esige quindi un corrispondente rafforzamento della responsabilità; filosofi come Hans Jonas ed Elena Pulcini lo hanno sottolineato con forza. In questa direzione guarda anche la riflessione condotta dalla padovana Fondazione Lanza (Centro Studi in Etica), così come il contributo del gruppo «Custodia del Creato» dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro.
La crescita dei consumi di risorse ambientali e la distruzione dissennata di aree ambientalmente critiche – si pensi all’Amazzonia – stanno impattando potentemente su un ecosistema planetario che ormai fatica a reggere. Per questo il futuro è a rischio; per questo occorre cambiare rotta, nel segno della sostenibilità e della giustizia; lo evidenzia anche Enrico Giovannini, nella prefazione al volume.
- Che ruolo ha o può avere nella coscienza collettiva l’enciclica di Francesco Laudato si’?
A cinque anni dalla sua pubblicazione, in questo «anno speciale Laudato si’» non finiamo di meravigliarci della forza interpellante di questo testo, cui ampiamente attingo anche nell’elaborazione del volume. L’hanno colta, del resto, anche parecchi esponenti del mondo scientifico e di quello economico, così come rappresentanti di realtà confessionali e religiose diverse. Un’enciclica, insomma, che ha saputo andare al di là dei confini del cattolicesimo, per attivare inediti percorsi di dialogo e mobilitare energie e competenze, convocando ogni persona che abita il pianeta per condividere la responsabilità ecologica, la cura della casa comune e la speranza per essa.
La categoria di ecologia integrale – efficace ripresa concettuale del «tutto è connesso» tante volte ripetuto nel testo – è divenuta quasi una parola d’ordine in tal senso.
Tale ampiezza di interlocuzione non ha peraltro ridotto la densità concettuale del testo: esso è ricco di stimoli forti anche per la riflessione teologica e spirituale cristiana, di linee di approfondimento che ancora forse attendono di essere esplorate appieno. La fede in Gesù Cristo si rivela, in effetti, come una risorsa potente per una formazione ecologica; occorre, però, leggerla in tutta la sua ricchezza, accogliendo le indicazioni di numerosi testimoni dell’ecumene tutta (da J. Sittler a J. Moltmann allo stesso patriarca Bartolomeo, al teologo australiano D. Edwards).
Molti, in effetti, nel mondo cristiano si sono fatti ispirare da tale prospettiva, per avviare percorsi di rinnovamento, di formazione e di conversione ecologica. Non è casuale che a «Il pianeta che speriamo» sia pure dedicata la prossima Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Taranto nel 2021.
- C’è qualche buona pratica per avviare uno sviluppo sostenibile? Per una vita più responsabile?
Tante in realtà sono le buone pratiche possibili; se la questione ambientale è caratterizzata dalla complessità e dall’interconnessione, molti sono i versanti su cui occorre lavorare; ad essere interpellate sono le singole persone, ma anche le istituzioni locali, nazionali e sovranazionali nelle loro responsabilità politiche. Ogni soggetto dovrà mettere in opera un attento discernimento, per verificare ciò che può/deve fare. Nell’ultimo capitolo del testo provo a indicare alcune direzioni per la riflessione e l’azione:
* decarbonizzare, riducendo il consumo di combustibili fossili e privilegiando invece le fonti rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica;
* spostarsi in modo leggero, evitando per quanto possibile l’aereo e i mezzi individuali su gomma (l’automobile, per capirsi), privilegiando invece il treno e le altre forme di trasporto collettivo, specie su rotaia; favorire il telelavoro e tutto ciò che consente di evitare spostamenti non necessari;
* consumare ciò che è necessario, evitando lo spreco; privilegiare prodotti a filiera corta e ridurre il consumo di carne (specie quella bovina, ambientalmente assai pesante);
* superare la cultura dello scarto, per orientarsi ad un’economia circolare, che sappia valorizzare ciò che talvolta chiamiamo rifiuto, scoprendovi invece materie prime secondarie per altre produzioni.
In due parole: ecosufficienza (sobrietà, essenzialità, riduzione dello spreco…), ma anche ecoefficienza (valorizzazione dell’innovazione tecnologica, per ridurre l’impatto ambientale per i beni e i servizi necessari). Tra le tante esperienze, particolarmente forte sul piano simbolico è quella di FraSole, frutto di una collaborazione tra soggetti diversi, finalizzata a rendere sostenibile il sacro convento di Assisi.
- «La terra è un paradiso, l’inferno è non accorgersene» diceva Borges. Si può dire che siamo ad un punto di svolta, se vogliamo il paradiso o l’inferno?
Questi anni ci collocano su quello che Giorgio La Pira chiamava «crinale apocalittico»: una fase critica, in cui in gioco sono le possibilità di futuro delle prossime generazioni. L’alternativa è tra un futuro sostenibile, in grado di garantire vita buona per molti, e un progressivo degrado ambientale, segnato da conflitti per le risorse e dall’asimmetria nell’accesso ad esse.
C’è davvero bisogno di rinnovare il nostro sguardo, di riscoprire il mondo come creazione buona, come dono per la vita – e non solo cava di materiale da sfruttare per le pratiche economiche finalizzate all’interesse di pochi.
Ci occorre una vera e propria rivoluzione culturale, e occorre realizzarla presto, attivando una giusta transizione: abbiamo una quindicina d’anni perché essa giunga a cambiare profondamente i comportamenti concreti personali e collettivi. Anche per questo le religioni – così rilevanti nel plasmare la nostra percezione del mondo – sono interpellate, chiamate a ritrovare quell’amore per la terra che caratterizza gran parte dei rispettivi testi sacri.
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Papa Francesco nei giorni scorsi ha proposto il “Giubileo della Terra”, dal 1 settembre (Giornata dedicata alla cura del Creato) al 4 ottobre (san Francesco d’Assisi). Lo ha proposto a livello ecumenico, quindi coinvolgendo tutte le Chiese cristiane, per ricordare l’istituzione 50 anni fa della “Giornata della Terra”. Che valore hanno queste iniziative?
Il 22 aprile 2020 ha visto la celebrazione della 50ª Giornata della terra e per questo papa Francesco – assieme al Consiglio ecumenico delle Chiese e a molti altri soggetti dell’ecumene cristiana – ha deciso di dedicare quest’anno al «Giubileo della Terra» il «Tempo del Creato». Quest’ultimo nasce dall’iniziativa, lanciata nel 1990 dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Dimitrios I, di dedicare il 1° settembre – data d’inizio dell’anno liturgico ortodosso – alla preghiera e alla riflessione per il creato. La progressiva recezione ecumenica nell’iniziativa – culminata il 6 agosto 2015 nell’adesione da parte di papa Francesco – ha portato, al contempo, all’estensione ad un mese, collegandosi così con la festa di san Francesco, testimone luminoso di ecologia integrale.
Quest’anno il tema del Giubileo invita a far riposare la terra, allentando le dinamiche di sfruttamento e di degrado, e favorendo buone pratiche di cura, riparazione e sostenibilità. Davvero un anno per cambiare rotta, per ripartire ecumenicamente, in modo diverso…
Simone Morandini, Cambiare rotta. Il futuro nell’Antropocene, Prefazione di Enrico Giovannini, EDB, Bologna 2020, pp. 172, € 17,50.