Il saggio è decisamente diverso dal solito trattato di divulgazione scientifica. Basta dare un’occhiata all’indice e leggere i titoli dei nove capitoli del libro che sono volutamente curiosi («Il cavallo verde», «I tredici gorilla»…) per capire che Quammen non vuole semplicemente mettere giù dati e ricerche, quanto dare un quadro più completo possibile generale con aneddoti, storie, interviste e testimonianze intorno alle scoperte dei nuovi patogeni. Le epidemie sono trattate come dei «thriller scientifici» in cui, a partire dall’evento scatenante, si cerca di andare a ritroso e ricostruire chi è il paziente zero, come è avvenuto lo spillover (ovvero il salto di specie tipico delle zoonosi) e, soprattutto, individuare gli animali serbatoi in cui i virus vivono. Le 500 pagine del libro scorrono veloci, trascinando letteralmente il lettore in giro per il mondo, all’ombra del lavoro degli scienziati «cacciatori di virus».
The Next Big One
Era davvero così inaspettata l’arrivo di una nuova epidemia? In realtà no, anzi. Esperti e scienziati hanno previsto da anni le conseguenze implacabili di una nuova zoonosi causata da un patogeno ignoto. In relazione al nuovo coronavirus SARS-CoV-2, viene riproposto questo stralcio tratto dal primo capitolo: se è evidente che siamo lontani dalle cifre esorbitanti di vittime, d’altra parte suona quasi profetico per il luogo del focolaio e la velocità di propagazione del virus
Non c’è alcun motivo di credere che l’AIDS rimarrà l’unico disastro globale della nostra epoca causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale. Qualche Cassandra bene informata parla addirittura del Next Big One, il prossimo grande evento, come di un fatto inevitabile (per i sismologi californiani il Big One è il terremoto che farà sprofondare in mare San Francisco, ma in questo contesto è un’epidemia letale di dimensioni catastrofiche).
Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale? Farà trenta, quaranta milioni di vittime? L’ipotesi è ormai così radicata che potremmo dedicarle una sigla, NBO. La differenza tra HIV-1 e NBO potrebbe essere, per esempio, la velocità di azione: NBO potrebbe essere tanto veloce a uccidere quanto l’altro è relativamente lento. Gran parte dei virus nuovi lavorano alla svelta1
Una passeggiata tra i mercati asiatici
Parlando di Coronavirus, non si può non citare il capitolo «Una cena alla fattoria dei ratti», che narra nei dettagli la storia della SARS del 2003. I passaggi più affascinanti riguardano la descrizione dei wet markets asiatici e la cultura dello yewei, ovvero l’uso di mangiare specialità esotiche diffusa nel Sud della Cina. Questa moda alimentare, relativamente recente, «non ha tanto a che fare con la scarsità di risorse, la fame qualche antica tradizione, quanto con la recente ricchezza della zona e la nascita di mode e ostentazioni relativamente moderne. Gli esperti di cultura cinese contemporanea la chiamano l’“èra delle specialità selvatiche”». Mangiare un animale esotico è infatti sinonimo di lusso, ricchezza e prosperità e si mescola a quel filone di stravaganze di cure e preparazioni afrodisiache tipiche della cultura cinese che prevedono l’uso di parti di animali selvatici.
C’è da specificare che molte specie ricercate (come la civetta delle palme, che fu inizialmente presa di mira come animale vettore della SARS) provengono da allevamenti e fattorie specializzate. Nonostante arrivino ai mercati in buona salute, sono gli spazi angusti e le gabbie a rete a favorire i contatti tra fluidi e deiezioni con altri animali infetti. Dopo la SARS si era già assistito a una riduzione del commercio di animali esotici in vendita nei mercati destinati ai ristoranti, ma la domanda di specie selvatiche non si era affatto attenuata. Si era semplicemente dirottata sui traffici illegali.
Con l’epidemia COVID-19 scoppiata a Wuhan, si torna a interrogarsi sui destini dei wet markets. Il 24 febbraio 2020 il Governo Cinese ha reso da temporaneo a permanente il divieto e il commercio delle specie esotiche per scopi alimentari. Se una parte di popolazione cinese ha accolto favorevolmente la notizia, solo il tempo dirà quali saranno gli impatti culturali sulle credenze popolari che ancora aleggiano sul consumo di carne di animali selvatici e quelli economici sui piccoli allevamenti a conduzione familiare.
Chi è il vero colpevole delle zoonosi?
La copertina Adelphi che ritrae una volpe volante delle Comore contiene uno spoiler importante su quali resevoir naturali abbiano giocato spesso un ruolo importante nelle spillover e che si presume siano anche alla base del nuovo coronavirus SARS- CoV-2.
Ripercorrendo le storie di Hendra in Australia, Nipah nel sud-est Asiatico, Ebola nelle foreste del Congo, cambiano gli animali ospiti intermedi ma il comune denominatore d’origine sono sempre i pipistrelli. Il perché è presto detto. I chinotteri sono il 20% dei mammiferi esistenti, esistono da migliaia di anni, possono spostarsi agilmente da un luogo all’altro e sono praticamente ovunque.
Come i migliori gialli che rivelano un plot twist finale, Quammen rivela però fin dall’inizio che il colpevole numero uno delle zoonosi è un altro che purtroppo conosciamo bene: l’essere umano.
Il caso non esiste
In un’intervista recente rilasciata al New York Times a proposito del nuovo coronavirus, Quammen ribadisce il concetto che le zoonosi non sono accidentali, bensì conseguenze delle attività umane. La devastazione ambientale e le deforestazioni rappresentano un problema serio per le epidemie in quanto aumentano le occasioni di contatto con i patogeni.
Non meno importante è la questione del sovraffollamento. Lo scrittore nell’intervista commenta infatti così: «nessun animale di grande corporatura è mai stato quasi così abbondante come lo sono ora gli umani, per non parlare degli effetti di questo sulle risorse a disposizione. E una conseguenza di questa abbondanza, questo potere e i conseguenti disturbi ecologici sta aumentando gli scambi virali – prima da animale a umano, poi da umano a umano, a volte su scala pandemica».
In Spillover, a questi due elementi se ne aggiunge un terzo che ribalta, se vogliamo, la nostra prospettiva generale. Proviamo a metterci nei panni dei virus come degli esseri disturbati nella propria quiete e sfrattati dal proprio ospite naturale. Le uniche possibilità di sopravvivere sono quindi trovare una nuova casa o estinguersi. E quindi dove, se non diffondersi in un essere presente in una così grande quantità come gli umani. Forse non faremmo anche noi lo stesso?
David Quammen, Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi, Milano 2012. La recensione è apparsa su Scienza in rete lo scorso 2 marzo 2020.