Il 20 settembre il presidente della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, ha scritto una lettera al patriarca ecumenico Bartolomeo per un riconoscimento formale della locale Chiesa ortodossa entro l’Ortodossia.
Dopo aver ricordato il ruolo centrale di Costantinopoli e la soluzione dei conflitti coi paesi vicini da parte dello stato, così prosegue: «Mi rivolto a lei a nome di una parte importante dei miei concittadini che si riconoscono come cristiani ortodossi, il cui unico desiderio e necessità sono di riconciliarsi con le comunità vicine e di aprirsi all’avvenire comune, alla coesistenza e alla libertà veritiera. Relativamente a questo, ci indirizziamo a lei per chiedere di accettare la richiesta del nostro devoto popolo e della nostra Chiesa perché utilizzi il suo potere di accettare gli appelli (delle Chiese), affinché i nostri cittadini di fede cristiana ortodossa abbiano la possibilità di essere uguali a tutte le altre Chiese ortodosse nel mondo. Le auguro una buona salute nel contesto d’incertezza legato alla crisi sanitaria che si è diffusa nel mondo intero».
I media ortodossi, che hanno subito ripreso la missiva, la interpretano come la richiesta dell’autocefalia, anche se non esplicitamente espressa.
Pacificazione politica e indipendenza ecclesiale
La Macedonia, una delle sei ex repubbliche della federazione iugoslava di Tito, è arrivata all’indipendenza nel 1991. È stata risparmiata dalla guerra civile del paese balcanico del 1992, pur conoscendo limitati e brevi scontri interni fra macedoni e “albanesi” nel 2001. Dal 2005 è candidata all’Unione Europea. Ha risolto le tensioni con la Bulgaria nel 2017 e l’acceso contenzioso con la Grecia nel 2019, cambiando il suo nome in «Macedonia del Nord».
A marzo del 2020 è ufficialmente entrata nella Nato e spera di poter essere parte dell’Unione Europea nel 2025. La pacificazione politica coi vicini ha reso più urgente la soluzione del problema ecclesiale.
Su sollecitazione dell’allora dirigenza comunista, la Chiesa ortodossa locale, che vanta con la sede episcopale di Ohrid una delle più antiche presenze cristiane dell’area, ha chiesto l’autocefalia nel 1967 entrando in tensione con il patriarcato serbo a Belgrado. La frattura fra le due comunità è proseguita e si è radicalizzata con l’indipendenza politica del paese. Il tentativo di pacificazione condotto da Bartolomeo di Costantinopoli nel 2002 che prevedeva l’autonomia, mantenendo il legame con la Chiesa serba, non è stato accettato.
Alla Chiesa macedone fa capo la maggioranza della popolazione (oltre un milione e mezzo su 2.400.000 abitanti. La minoranza più corposa – 5-6.000.000 – è composta dai musulmani di ceppo albanese, ugualmente nazionalistici). La gerarchia e il clero hanno fatto fronte comune per distinguersi e mantenere la propria identità. Tanto che la decisione del patriarca di Belgrado di nominare nel 2003 un suo vescovo metropolita (con altri due vescovi) non ha avuto alcun riscontro nel popolo, e il passaggio alla Chiesa serba di una fetta dei monaci locali si è risolto con il carcere e l’espulsione degli interessati.
Il governo considera la Chiesa ortodossa locale come parte essenziale dell’identità nazionale e, pur non prevedendo nella Costituzione il ruolo di Chiesa egemone, è sempre intervenuto a suo sostegno. Con una lingua liturgica propria (macedone), una gerarchia riconosciuta, un consenso effettivo nel popolo, una significativa durata nel tempo nonostante l’assenza di riconoscimento da parte delle altre Chiese ortodosse, la Chiesa locale e il potere politico sembrano propensi al passo decisivo.
Nuove tensioni fra ellenici e slavi?
Fino a questo momento si ipotizzava la ripresa e la modifica dell’accordo di Niš del 2002, con un’ampia autonomia canonica ma anche con un legame con la Chiesa serba. La lettera del presidente dello stato sembra chiedere di più, cioè l’autocefalia.
Un tema delicatissimo dopo lo scontro fra ortodossia slava e ortodossia ellenica in seguito al riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ucraina. Mosca ha rotto la comunione con Costantinopoli e la Chiesa locale ucraina si è spaccata. Tutti i necessari riferimenti per l’eventuale soluzione macedone sono in difficoltà. Belgrado, che è riuscita, grazie al metropolita Anfiloco di Cetinje, a mantenere nella sua orbita la Chiesa del Montenegro, è duramente contraria all’indipendenza di una Chiesa che gravita nella sua orbita dal XVI secolo e, in particolare, dall’inizio del XX. Mosca si è apertamente schierata con la Chiesa serba e la sostiene in tutte le sue battaglie, sia dentro che fuori del paese.
Dopo la soluzione del nome dello stato, la Chiesa greca non ha particolari difficoltà con la Chiesa macedone. Bartolomeo di Costantinopoli, che è stato all’origine del fallito tentativo di compromesso del 2002, è sollecitato ad esercitare una potestà che ha vivacemente rivendicato in questi decenni. La situazione interna alla Macedonia non vede le tensioni intra-ecclesiali che invece operavano in Ucraina e il consenso fra Chiesa e stato è meno legato alle singole persone di quanto è avvenuto a Kiev.
Se si dovesse arrivare al riconoscimento dell’autocefalia, si dovrebbe registrare il primo passaggio di una parte della tradizione slava all’influenza ellenica di Costantinopoli dopo lo scisma.