Ha per titolo e tema La vera gioia, “piccola lettera pastorale in tempo di Coronavirus”, quella scritta dal vescovo di Savona-Noli Calogero Marino (Gero) e pubblicata l’8 settembre 2020. Parte proprio da una delle ricorrenti espressioni di papa Francesco “Non lasciamoci rubare”, applicato qui alla gioia e specificamente alla gioia dell’evangelizzare (EG 83).
Un’espressione – nota il vescovo – che «mi è tornata spesso in mente in questi mesi terribili, e mi fa pensare al virus come ad un grande ladro… quante cose ci ha rubato!». Ed elenca tante privazioni vissute, da quella dei propri cari che se ne sono andati in silenzio, alla vicinanza e relazioni tra persone, al lavoro, alla scuola, alle stesse celebrazioni e ai sacramenti. «Ci sono stati anche rubati (e questo è stato un bene!) i nostri deliri di onnipotenza, e ci siamo scoperti vulnerabili e impauriti…». Si è come subìta un’ingiustizia, una mancanza però di cui fare memoria e spunto di ripartenza.
Fare memoria
La Pasqua, vissuta in tono minore, va recuperata oggi nel suo significato profondo: mistero di morte e di vita, centro del nostro credere e radice della speranza.
Eppure proprio questa strana Pasqua – evidenzia la lettera – ci ha fatto entrare più in sintonia con quanto si celebrava: il dramma del venerdì santo, il silenzio del sabato e l’immensa gioia nell’annuncio del Cristo risorto e vivo! «Si potrebbe dire, parafrasando Elie Wiesel, che “Dio, nel suo Figlio, era lì, in quel letto di terapia intensiva, in quella arsura e mancanza di respiro, Lui che sulla Croce chiese da bere”… C’è un sabato santo anche nel Covid-19. È l’attesa di una guarigione, che desideri… ma che non dipende da te. Puoi solo attenderla, sperarla»… E poi la speranza della Domenica” ben espressa nel «bellissimo n. 276 di Evangelii gaudium».
Occorre fare memoria di quanto vissuto e sarà da questo che rinasce la speranza.
Forse abbiamo capito meglio tante cose, ad esempio che «le relazioni vengono prima delle prestazioni e che “la Chiesa non è nelle grandi cose …; nel tempo del digiuno eucaristico, abbiamo ritrovato l’eucaristia come riposo del discepolo, perché in essa “è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo” (PO 5); un ritrovato desiderio di preghiera; la riscoperta della casa e della dimensione domestica della fede; la possibilità, non facile ma reale, di un maggiore coinvolgimento dei genitori nel cammino di iniziazione cristiana dei figli; la possibilità di un utilizzo sobrio e intelligente della Rete; l’opportunità di collaborare tra credenti e non credenti intorno a progetti comuni, come chiedeva il papa a Firenze».
Un pensiero che il vescovo condivide e rilancia è quello di Ivo Lizzola: occorre “vivere una sorta di pulizia dello spirito, di ritorno alla Parola… La pandemia forse chiederà alla Chiesa di aprire al suo interno e sui suoi confini (quelli dove incontra e dialoga con attese, speranze e disorientamenti di tanti uomini) una stagione di riflessione, ascolto, scelta … Come una preghiera, corale e aperta”.
Non impauriti, ma coraggiosi
Ma, al punto in cui siamo, che fare? La risposta è sostanziale: “non timidi e impauriti”, ma rispettosi delle regole e anche “coraggiosi”. «Ci è chiesto – scrive il vescovo – di maturare nell’attitudine del discernimento. Il virus ci ha rubato molte cose che ritenevamo necessarie, e che in realtà non lo sono; e forse proprio “il segno delle chiese vuote” ci invita a una ripartenza rinnovata». Ed ecco tre priorità che sono indicate alla diocesi:
- sognare e costruire Comunità fraterne e dal volto umano,
- accompagnare all’incontro con Gesù,
- fasciare le ferite, come il buon Samaritano. Dalla comunione, alla condivisione della fede fino a quella più terra terra della solidarietà quotidiana. Ad es. «I nuovi poveri, chi ha perso o perderà il lavoro, i giovani che non lo troveranno dovranno essere da noi accolti come “signori e maestri” (san Vincenzo de’ Paoli)».
E la stessa Marcia della pace (Savona, 31 dicembre 2020) e il Sinodo diocesano, che inizierà il 21 febbraio 2021, concretizza il vescovo, dovranno essere «un tassello importante, in questa “ripartenza del cristianesimo” alla quale il Signore ci sta invitando».
Citando i 72 discepoli che riferiscono a Gesù il loro ministero, il vescovo evidenzia come presentino a lui risultati di prestazioni, mentre diversa dovrà essere la prospettiva. «Il Nemico ci ha tolto la gioia di quanto con passione abbiamo sempre fatto, ma non ci potrà togliere la gioia più grande. Perché i nostri nomi sono scritti nel cuore di Dio! Credo che occorra ripartire da questa consapevolezza: che siamo molto amati, e custoditi dalla tenerezza di Dio».
Solo così una sorta di paura che blocca potrà sfociare nella gioia di un annuncio concreto, sereno e gioioso del Vangelo, che ci è stato donato perché lo condividiamo con tutti e lo annunciamo.