Nel 2010 la piccola e sconosciuta software-house danese Playdead dava alla luce Limbo, che in breve tempo diventerà un colosso della scena video-ludica indipendente, tanto da essere scelto da Microsoft come portabandiera del videogioco alternativo.
Alle scelte sempre più spettacolari e cinematografiche in voga nell’ambiente video-ludico contemporaneo, Limbo contrapponeva soluzioni grafiche semplici e raffinate: un avvolgente bianco e nero in 2D capace però di creare atmosfera e un’esperienza di gioco gravida di mistero. Limbo è stato un chiaro esempio della relazione tra il mondo dell’arte e quello dei videogiochi, divenuta sempre più solida negli ultimi anni. Basti pensare che nel 2013 lo Smithsonian American Art Museum ha acquisito un videogioco, Flower – altro prodotto indipendente sviluppato da Thatgamecompany –, come parte della sua collezione permanente.
Con Limbo il giocatore impersonava i panni di un bambino chiamato a superare diverse difficoltà in ambienti ostili: dalla foresta oscura, degna di una fiaba dei Grimm, fino a un altrettanto cupo paesaggio industriale, dominato da colossali macchine misteriose. La storia non era chiara dall’inizio: spettava al giocatore dare un’interpretazione allo svolgimento dell’azione fino all’epilogo della vicenda. Il titolo del gioco era tutt’altro che metaforico: non era difficile comprendere come l’avventura del bambino fosse in realtà una sorta di viaggio dantesco nell’aldilà al fine di trovare la pace.
Da Limbo a Inside
A distanza di sei anni dall’uscita di Limbo, Playdead ha rilasciato il suo nuovo lavoro, Inside, disponibile dall’inizio di luglio per Pc e Xbox One – la console di Microsoft. Il gioco riprende le stesse dinamiche del precedente, ma sviluppa in modo sorprendente l’aspetto estetico e quell’aura di mistero che aveva fatto la fortuna del predecessore.
Il protagonista è sempre un bambino. Di lui non si sa nulla e nulla si conosce sull’origine delle difficoltà che deve affrontare. Inside si svolge in un futuro distopico, in cui l’uomo conduce misteriosi esperimenti sulla natura e su altri esseri umani. Il protagonista è chiamato a superare diverse prove nel contesto di un mondo nel quale la tecnologia ha soffocato le emozioni e distrutto in parte la natura, conferendo all’ambiente e alle persone un aspetto grigio e soffocante.
Il gioco diventa così un viaggio nella migliore letteratura fantascientifica, con molti ed efficaci i richiami a Orwell e Vonnegout, per non parlare dei rimandi estetici al cinema di genere. Le notevoli sequenze finali, ad esempio, condividono molto dell’immaginario apocalittico di Akira, film culto dell’animazione giapponese firmato da Katsuhiro Ōtomo (1988).
Una redenzione possibile
A differenza della pellicola di Ōtomo, però, Inside offre una reale via d’uscita dal mondo distopico e freddo che il protagonista deve attraversare. È a tutti gli effetti una redenzione della società quella operata attraverso i comandi del giocatore. Senza svelare il fantastico finale, si può riconoscere come sia propriamente la carne dell’intero corpo sociale, e simbolicamente dell’intera umanità, quella assunta dal giovane eroe. Carne che, portata oltre il muro dell’incubo tecnologico, viene esposta ai raggi di un tiepido sole sulle rive di un lago luccicante. Inside offre così la visione di una salvezza in cui l’uomo, o meglio il germe di una nuova umanità, è riconsegnato inerme nelle mani della natura, la quale forse gli consentirà un nuovo inizio.
L’analisi attenta di un videogioco come Inside rivela un prodotto culturale capace di comunicare con efficacia la realtà del mistero, l’affacciarsi di una dimensione altra del reale in cui coesistono bellezza e inquietudine. Lo segnaliamo come una delle tante perle nascoste di quella produzione culturale che il Concilio, più di cinquant’anni fa, ci invitava a scoprire e studiare. Un esercizio indispensabile a comprendere lo spirito del mondo in cui viviamo per annunciarvi con più efficacia il Vangelo.