Ci sono esperienze in atto nelle quali le controversie di minore rilievo sono affidate ad un robot che emette la sentenza. Con quali conseguenze?
Anche oggi se ne parla. Qualche passo in questa direzione sì è stato percorso: dal codice di Hammurabi (“occhio per occhio, dente per dente”) all’articolo 27 della nostra Costituzione secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, perché «occhio per occhio rende il mondo cieco». Così ricordava Gandhi, così insegnava Gesù.
Ho questa convinzione: anzitutto il legislatore, poi il giudice dovrebbe, anzi, deve coltivare in sé un religioso desiderio di giustizia e continuamente curare la necessaria conoscenza delle norme esistenti, perché chi subisce torti dai potenti non debba sperare solo «in un giudice a Berlino».
In materia civile i numeri, i conti, il dare e l’avere, si accompagnano al diritto, e il giudice stanco o inesperto può essere sedotto dall’apparente saggezza dell’incorruttibile giudice Brigliadoca, che «tirava le sentenze ai dadi» perché – come insegna Rabelais in Gargantua e Pantagruel – almeno una su due la indovinava.
Dobbiamo o possiamo allora sperare nel giudice robot?
Oggi, tempi di Big Data, c’è chi l’ha fatto: in Estonia, la piccola Repubblica sul Baltico, le controversie di minore rilievo (sino ai settemila euro) sono affidate appunto al cervello elettronico che, confrontando leggi, dati, precedenti sentenze di grado superiore inerenti per materia, giudica con sentenza, almeno per ora, appellabile.
Anche in Cina così avviene, e il giudice-computer, come un ologramma, con le stesse funzioni del “collega” Estone, affianca i giudici in carne e ossa.
Ho comunque questa certezza: il giudice robot non può nutrire sentimenti religiosi, non può avere sete di giustizia. Semplicemente dovrebbe essere “terzo e imparziale”, frustrando i tentativi di chi, avendo torto marcio, promuove liti temerarie, sapendo che una volta radicata, una causa è destinata all’eternità.
Perché, così affermava Alfredo Biondi, avvocato e, a suo tempo, ministro della Giustizia, «al giudice si rivolge soprattutto chi ha torto».
- Paolo Angelo Napoli abita a Bovezzo (Brescia).