Appena abbiamo letto i nomi dei componenti della Commissione di studio sul “diaconato femminile”, istituita da papa Francesco nei giorni scorsi, abbiamo trovato, quasi in contemporanea, un’intervista rilasciata al giornale tedesco Die Welt da K.-H. Menke, uno dei membri nominati nella commissione.
Contrariamente ad alcuni commenti emersi in questi giorni, pur comprensibili, non penso che il teologo di Bonn abbia sbagliato nel dire subito chiaramente quel che pensa sul tema. Trovo invece che la sua parresia possa essere utile per individuare i primi punti sui quali la commissione avrà da lavorare. Dire apertamente quello che si pensa, e in modo argomentato e sulla base di uno studio serio e documentato, non mi sembra un difetto. Sarebbe un difetto se fosse accompagnato dalla pretesa di impedire alla commissione di lavorare sulla “questione”. Dalle parole del prof. Menke, infatti, si potrebbe desumere – certo erroneamente – che quello del “diaconato femminile” sia un problema inesistente, che la commissione non avrebbe neppure l’occasione di affrontare. Così non credo che sia e vorrei cercare di mostrarlo, illustrando i limiti e le difficoltà che emergono dalle parole dell’intervista rilasciata da questo autorevole membro della commissione.
Presento in primo luogo le sue parole (1), poi le esamino criticamente (2), per concludere con alcune prospettive di sviluppo possibile della questione (3).
1) Le parole di K.-H. Menke
Riporto qui di seguito i passi fondamentali dal sito, con alcune sottolineature:
One member, Fr. Karl-Heinz Menke, is Emeritus Professor of Dogmatic Theology at the University of Bonn and member of the Vatican’s International Theological Commission, recently expressed his views on the subject in an interview with Die Welt. He favors a larger role for women, and sees no dogmatic objection to presiding at baptisms, weddings and funerals by non-ordained people. He is also open to the possibility of female cardinals. But he does not think women can be ordained to the first level of holy orders, the deaconate. He sees only the possibility of a non-sacramental role of “deaconess” for women.
Here, in translation, are excerpts from the interview.
Die Welt: How did the Pope come upon you?
Menke: I don’t know. But I can make some conjectures. In 2013 I published an examination of the topic “Female Deacons?” in the journal Theologie and Philosophie out of Frankfurt ( Die triadische Struktur des Ordo und die Frage nach einem Diakonat der Frau, in: Theologie und Philosophie 88 (2013) 340-371) . And the Pope named me to the International Theological Commission in 2014.
Die Welt: What, precisely, is the mandate of the new commission on deaconesses?
Menke: This is not yet fixed in writing. I presume that the pope will want to have examined whether the reintroduction of a ministry [Beauftragung] tied to the title “deaconess” could serve the mission of the Church and, not least, the stronger incorporation of women. Although many outsiders wrongly assume so, it does not in any case concern the admission of women to the sacrament of orders (the sacrament of ordination is meant – Ed.). For the Second Vatican Council definitively declared whether the deacon receives the sacrament of orders. The sacrament of orders is received not only by bishop and priest, but also by the deacon. Thus, since there is only one single sacrament of orders (in three levels, i.e. deacon, priest, bishop), the admission of females to sacramental diaconate, bestowed by ordination, would mean their admission also to priestly and episcopal ordination. …
Die Welt: What role did deaconesses play in the early church?
Menke: The office of deaconess represents, in historical retrospect, a very complex phenomenon which is marked by great geographical and temporal differences. In the eastern church there are deaconesses to this day. Meanwhile, the historical sources have been sifted through exhaustively and show clearly: at no time and in no place did the deaconess have a part in the office bestowed by ordination. What is witnessed throughout is the express exclusion from any sort of liturgical service at the altar, public exercise of the ministry of proclamation, and solemn celebration of baptism. In the early church, deaconesses fulfilled charitable services, and administrative ones in part also, similar to today in the Catholic church’s active [karitativ] religious orders: nursing, service to the poor, care for people, etc.
Die Welt: In your view, should we reintroduce a female diaconate?
Karl Heinz Menke: Of course one can consider whether the institutionalization of women’s participation in the form of an office similar to the early church or the eastern church would make sense. But in this it cannot be a matter of officializing or clericalizing whatever can be done in the church. One should take note that, at least in the West, the institution of deaconess was taken over by active [karitativ tätig] women’s orders. The justified call for more participation of women in the church would hardly be met, if at all, by admitting them to an exclusively serving function. Women who were called deaconesses but were not equal to deacons would more likely feel discriminated against than valued more highly. …
2) Gli aspetti storico-dogmatici da chiarire e le difficoltà nel rapporto tra Chiesa e mondo
Il testo della breve intervista è ovviamente soltanto uno spunto. In altra occasione vorrei esaminare più accuratamente il documentato studio già citato, pubblicato da Menke nel 2013: «Die triadische Struktur des Ordo und die Frage nach einem Diakonat der Frau», in: Theologie und Philosophie 88 (2013) 340-371. Ma per ora mi limito a segnalare una serie di perplessità che emergono semplicemente dalla lettura di questa intervista:
– l’orizzonte in cui Menke sembra ragionare deriva da alcune evidenze non discusse, perché affidate soltanto o alla ricerca storica o soltanto all’elaborazione dogmatica. Da un lato, la “valorizzazione delle donne” sembra compatibile soltanto con “un riconoscimento di autorità non sacramentale”; dall’altro, l’esigenza di attribuire un ruolo nuovo alle donne – che viene apertamente riconosciuta – sembra piuttosto suggerire il “cardinalato femminile” che non il “diaconato femminile”;
– una rilettura della “novità conciliare” dell’“unico sacramento dell’ordine in tre gradi” viene utilizzata da Menke non come un avanzamento, ma come un arretramento. Non si tratta di una migliore articolazione dell’autorità ecclesiale, ma di una riduzione di essa al suo grado massimo – episcopale –, impedendo ogni elasticità per i gradi inferiori. L’autore dice apertamente che non si può configurare alcuna “ordinazione delle donne al diaconato”, perché questo comporterebbe, necessariamente, l’apertura anche del presbiterato e dell’episcopato a ministri femminili.
– Almeno nell’intervista al giornale tedesco, Menke sembra dimenticare che tra fine anni Novanta e 2009 si è intervenuti sul CCC e sul CIC per differenziare il diaconato dal presbiterato e dall’episcopato in termini di “azione in persona Christi”. Ora, proprio questo intervento, su cui ho già sollevato una serie di obiezioni costituisce un provvedimento che, sorprendentemente, lavora a favore del diaconato femminile, piuttosto che contro, poiché, sia pure in modo forzato, introdurrebbe strutturalmente quella articolazione che Menke, leggendo strumentalmente il Concilio, vorrebbe escludere a priori.
– Infine, un’adeguata relazione tra storia e dogma dovrebbe rendere un teologo molto più cauto nel trarre conseguenze, come fa Menke, dall’affermazione per cui «at no time and in no place did the deaconess have a part in the office bestowed by ordination». Perché la storia può dirci quello che è stato, non quello che deve essere. Il fatto che “donne al servizio della Chiesa” non siano mai divenute “diaconesse”, nel senso forte che oggi vorremmo intendere, non può essere un impedimento a configurare questa come una possibilità di un futuro non troppo remoto. Perché mai nel matrimonio abbiamo imparato la parità tra marito e moglie, pur mancando di ogni sostegno storico in questo senso? Se la storia ci offre tanti pregiudizi sul matrimonio e sul potere, dobbiamo per forza renderli normativi per la tradizione ecclesiale? A metà Ottocento avevamo teologi che perdevano il loro tempo a trovare giustificazioni teologiche per la schiavitù. Non vorrei che oggi ripetessimo lo stesso errore, giustificando ormai ingiustificabili discriminazioni verso donne che oggettivamente sono nella Chiesa autorità, che devono essere non solo riconosciute, ma anche favorite e direi attese. Sarebbe davvero paradossale che un’accurata ricerca storica avesse come solo scopo, facilmente realizzabile, la difesa dei nostri pregiudizi nel pensare e realizzare il rapporto più adeguato tra sesso e autorità.
3) Possibili sviluppi ulteriori
Buona regola di un lavoro di approfondimento della tradizione è la differenza tra profilo storico e profilo sistematico della questione. Come ha ricordato R. Guardini, in un fondamentale studio sulla scienza liturgica storica e sistematica, da un lato, la storia chiarisce che cosa il diaconato “sia stato”; ma un approccio sistematico deve stabilire che cosa il diaconato “debba essere”. È ben possibile che l’approccio storico pretenda di scavalcare quello sistematico e dogmatico, e questo sarebbe un errore; ma altrettanto grave sarebbe che un approccio dogmatico pretendesse di rileggere la storia in modo tanto orientato da ridurla ad una serie selezionata di “dimostrazioni storiche” di una tesi a priori.
Nel valutare le parole di Menke, come abbiamo visto, emergono entrambe queste tentazioni: da un lato, la tentazione di scaricare sulla storia la mancanza di decisione sul futuro; dall’altro, la tentazione di irrigidire la storia su una “tesi preconcetta”, che risulta capace solo di immobilizzare la storia futura, presente e di rileggere in modo unilaterale anche quella passata. Nel lavoro della commissione sarà salutare che approcci storici e approcci sistematici siano in grado di correggersi a vicenda, per porsi al servizio di una “logica pastorale” che non può essere ridotta né a una serie di dati storici, né ad un serie di principi dogmatici. Utilizzare la tradizione storica e quella dogmatica per impedire lo sviluppo di una pastorale integrale – rispettosa della pari dignità di maschi e femmine davanti a Dio e al servizio di Dio – costituisce non uno sviluppo del Concilio Vaticano II, ma una forma molto sottile per difendersene e per chiudersi rispetto ad esso. Credo proprio che non sarà questa la logica con cui la commissione svolgerà il proprio compito delicato, avvalendosi del prezioso contributo di tutte le diverse competenze necessarie.
Pubblicato il 7 agosto 2016 nel blog: Come se non