Non appena si è appresa la notizia della nomina di Pierangelo Sequeri come preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi sulla teologia del matrimonio e della famiglia ci si è resi conto della svolta che questo nome portava nell’ambito di quella tradizione. Dopo Caffarra, Scola e Melina, ora Sequeri. Il passaggio è grande, forte, sorprendente. Soprattutto perché accade in parallelo con alcune evoluzioni generali degli ultimi anni, su cui occorre riflettere.
L’Istituto Giovanni Paolo II
L’istituto Giovanni Paolo II nasce nel 1981, lo stesso anno di Familiaris Consortio, con l’intenzione di studiare e approfondire la teologia e la filosofia del matrimonio e della famiglia, che emergeva potentemente come priorità nel pontificato di Giovanni Paolo II. Si è costituito con sede a Roma, ma con altre sedi nei 5 continenti: a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense (sede centrale), Washington, Stati Uniti, presso la Catholic University of America, Cotonou, Benin, Salvador de Bahia, Brasile, Thuruthy, Changanassery, Kerala, India, Città del Messico, Messico, Guadalajara, Messico, Monterrey, Messico, Leon, Guanajuato, Messico, Valencia, Spagna, Melbourne, Australia (sede associata).
In questi 35 anni l’Istituto ha formato migliaia e migliaia di teologi, vescovi, presbiteri, operatori pastorali, professori, nel campo della “teologia e antropologia del matrimonio”. Si tratta di un contributo che si è caratterizzato, fin dall’inizio, per un approccio molto “classico”, ma che progressivamente ha acquisito una forte profilatura apologetica e, dopo Veritatis splendor (1994) una progressiva accentuazione di un massimalismo morale che ha segnato fortemente la produzione degli ultimi 20 anni.
Le recenti incomprensioni
Ma ciò che soprattutto deve essere notato, sia pure in una realtà grande e mai riducibile ad un unico punto di vista, accade negli ultimi tre anni, a partire dalla fine del pontificato di Benedetto XVI, quando i toni dell’Istituto sono diventati sempre più insofferenti e polemici verso la “Chiesa in uscita” voluta da papa Francesco. Il massimo della tensione si è registrato a partire dall’esperienza sinodale, quando professori di primo piano dell’Istituto si sono schierati apertamente contro le aperture sinodali, fino al piccolo “scandalo” di un testo del preside dell’Istituto che, a fine marzo, in anticipo sulla presentazione ufficiale di Amoris lætitia faceva pervenire a tutti gli studenti un “commento riduttivo” sul testo dell’esortazione apostolica. Per non dire di alcune lezioni che, dopo aprile, sono diventate il luogo dell’aperto discredito sulle aperture sinodali e papali in ambito di pastorale familiare. La tentazione di considerare Familiaris consortio come le “colonne d’Ercole” della teologia del matrimonio aveva assunto, negli ultimi mesi, una forma quasi patologica.
Sequeri e la traduzione della tradizione
Ora, con la nomina di Pierangelo Sequeri, questa deriva arriva al suo giusto termine. E, simbolicamente, dopo una fase di 35 anni, iniziata con Familiaris consortio, si apre una fase nuova, a pochi mesi da Amoris lætitia. Non senza continuità con il buono che si è fatto, ma anche con netta discontinuità con tutti i limiti di quella esperienza.
Sequeri non è teologo moralista, non è legato a movimenti ecclesiali, è uomo di fede e di cultura, non ideologico e non massimalista. Non fa una teologia da farmacisti, non usa il bilancino, non legge la Scrittura con piglio fondamentalista, non ha l’ansia della definizione oggettiva. Propone, io credo, una “ermeneutica sapienziale della tradizione”, anche di quella matrimoniale e familiare.
Il programma del nuovo preside: qualche idea
Per dare una idea di quello che potrà diventare l’Istituto nei prossimi anni possiamo leggere la “sintesi generale” che Sequeri ha scritto del bel volume Famiglia e Chiesa. Un legame indissolubile (LEV, 2015, 475-490), dove egli presenta in modo profondo ed ampio alcune considerazioni decisive in ordine al modo con cui deve essere impostata una riflessione teologica e antropologica sulla famiglia. E lo fa in rapporto al Sinodo, che un anno fa era nella fase intersinodale. Proviamo a leggerne alcune affermazioni centrali, senza predeterminare nulla di necessario, ma ipotizzando il possibile sulla base di precise e argomentate dichiarazioni:
a) riconoscere questioni nuove
In primo luogo si chiarisce che il Sinodo si muove sul tema del matrimonio/famiglia nel quale
«ci sono interrogativi reali da approfondire e questioni nuove alle quali rispondere… formulazioni che vanno sviluppate con maggiore precisione, disposizioni che vanno ricondotte a migliore coerenza, attitudini che vanno esercitate con maggiore efficacia» (477).
b) il rapporto tra diritto e teologia sistematica
Rilevata la esigenza di un più stretto confronto tra le diverse discipline teologiche, nel campo del dialogo tra diritto canonico e dogmatica si afferma che:
«la dottrina canonistica non può essere forzata a sostituire l’istruzione teologica della fede rivelata e a definire il più ampio orizzonte della sua elaborazione pastorale» (481).
c) il rapporto tra teologia morale e pastorale
Per quanto riguarda, poi, il confronto tra morale e pastorale, Sequeri afferma:
«Sarebbe perciò del tutto sorprendente – e a dire il vero, motivo di scandalo – che la debolezza e il peccato dell’uomo inducessero la Chiesa all’impotenza e alla rassegnazione della perdita dei suoi figli e figlie. Nel momento in cui essi sono traditi, abbandonati, feriti e persino imprigionati nella loro colpa e incapaci di porre riparo al fallimento, la Chiesa non si sottrae alla loro sincera richiesta di comprensione, di vicinanza, di riscatto. La Chiesa sa la strada. La Chiesa la trova» (485).
d) il ruolo della “legge” e i suoi limiti
Più in generale, Sequeri sottolinea l’utilità preziosa, ma anche il limite intrinseco, di un’impostazione affidata solo al concetto e alla legge:
«Il logos e il nomos, il concetto e la norma, portano all’economia della mediazione il vantaggio della precisione e del giudizio, senza il quale è semplicemente impossibile affermare e discernere a riguardo del vero e del falso, del bene e del male. La loro parte debole, però, è l’inevitabile inclinazione ad eludere il rapporto della qualità morale con la concretezza della coscienza e con la storicità del vissuto… la funzione integrativa dell’ermeneutica sapienziale della vita è appunto il luogo in cui è onorato il compito della necessaria conciliazione» (487).
e) comprendere e riformulare la tradizione
E poi aggiunge, in modo significativo:
«L’odierna complessità della cultura e del costume, quanto ai rapporti con la dignità personale dell’uomo e della donna, la natura relazionale della sessualità e della generazione, il rilievo ecclesiale e sociale del matrimonio e della famiglia, interpellano inconfutabilmente in modo nuovo questa funzione integrativa dell’ermeneutica sapienziale della Chiesa, in coerente accordo con il rigore e l’efficacia della sua mediazione dottrinale della parola di Dio. La pastorale è l’intero di questa verità sinfonica della fede, che muove la storia frequentandola e non dissociandosene: comprensione e riformulazione, linguaggio e prassi, attestazione e stile»(487).
In sintesi, un piccolo-grande programma, almeno per i prossimi 20 anni di lavoro dell’Istituto. Si cambia rotta, si esce dal porto, si naviga in mare aperto. Il capitano conosce la rotta. E non ha paura. Ne trarrà giovamento la cultura familiare non solo ecclesiale, ma anche civile. Che forse ne ha altrettanto bisogno. Parlare anche a questa cultura è diventato, di nuovo, improvvisamente, possibile.
Pubblicato il 18 agosto 2016 nel blog: Come se non