Negli anni a venire ci saranno solo monaci e delinquenti. E, tuttavia, non è possibile farsi semplicemente da parte, credere di potersi trar fuori dalle macerie del mondo che ci è crollato intorno. Perché il crollo ci riguarda e ci apostrofa, siamo anche noi soltanto una di quelle macerie. E dovremo imparare cautamente a usarle nel modo più giusto, senza farci notare (Giorgio Agamben, Quando la casa brucia).
Perché un futuro fatto solo di monaci e delinquenti? Senz’altro è inevitabile constatare che le società sono attualmente controllate e dominate da delinquenti. Infatti, la disgregazione anomica con il programmatico tradimento della verità e della decenza si alleano quotidianamente alla violenza ecocida e genocida. Quindi non c’è niente da aggiungere all’affermazione della tragica verità dello sfacelo.
Più complicata, al contrario, è la comprensione dell’esistenza di un possibile antidoto: i monaci. E capisco questo appello, perché, contro la decadenza e la dissoluzione hanno effettivamente perduto ogni potere le opposizioni, che si credevano vincenti in nome di libertà, giustizia, democrazia e diritti umani. E allora, ecco i monaci! Per il filosofo forse un invito a ritrarsi, a vivere tra le macerie sottovoce, senza farsi notare.
Invece, immediatamente, i monaci mi hanno fatto ricordare i Padri e le Madri del deserto. Siamo nel IV secolo, il secolo in cui si consuma il tradimento più perverso del Vangelo di Gesù Crocifisso e Risorto: la Chiesa si piega al potere imperiale; si interrompe l’opposizione teologica e politica a Cesare Signore e Imperatore, in nome dell’unico Kyrios, il Signore Gesù; cessano le persecuzioni e si chiude la stagione dei martiri.
Ecco allora gli Abba e le Amma del deserto egiziano, che abbandonano il mondo falsamente pacificato – e benedetto dalla Chiesa – e scelgono un altro modo di seguire la radicalità dei martiri. Testimoniano cosí la fede, non con il sangue dei martiri – ormai obsoleti nelle nuove circostanze -, ma con una vita umile e nascosta, totalmente dedicata alla ricerca del Risorto e al servizio degli altri. Siamo nel deserto fisico della Tebaide che, nella lotta contro i demoni, può diventare un Paradiso. Deserto che è profezia contro il deserto della cosiddetta civilizzazione, un inferno non riconosciuto.
Oggi, un possibile stile monastico potrebbe essere caratterizzato dall’accettazione di una solitudine scelta per sottrarsi ai corporativismi del branco – qualunque branco! – rifiutando così omogeneità, complicità, regole e gerarchie inaccettabili da chi intende cercare Bellezza e Verità. Il martirio degli Abba e delle Amma ci può insegnare a vivere pacificamente la solitudine. Solitudine che deve essere disarmata: non può permettersi di rompere fraternità, sororità e comunione. Ma non potrà rinunciare alla parresia, il dovere radicale di cercare e dire sempre la verità critica ed etica. Se così sarà, il monaco potrà certamente ereditare incomprensione e persecuzione.
Credo che papa Francesco sia uno di questi monaci, fragile e incompreso testimone del Risorto, tra le macerie della modernità.
Tutto condivisibile. Ma c’è dell’altro…
Il maestro Gesù ci insegna che bisogna essere “nel” mondo senza essere “del” mondo. Dunque essere monaci nel cuore ma operare tra le sorelle e i fratelli, perché ora il pericolo non è la contaminazione di una istituzione religiosa che si è volta verso “ciò che è di Cesare”, stavolta in gioco c’è molto di più. L’umanità ha portato la biosfera sull’orlo della sesta estinzione di massa, e l’eremitaggio significa sottrarre risorse preziose in questa ultima resistenza all’autodistruzione.
I monaci dovranno invece sacrificarsi restando “nel” mondo e combattendo pacificamente in difesa della vita. Umana e non umana.