Pubblichiamo di seguito la lettera che il vescovo Derio Olivero ha scritto per spiegare ai fedeli della diocesi di Pinerolo la decisione (leggi qui il testo), presa congiuntamente con la Chiesa valdese, di sospendere le messe festive per le prossime due settimane.
Carissime amiche e carissimi amici,
a giugno, con alcuni amici, ho scritto il libro Non è una parentesi. Allora ero quasi certo che la pandemia fosse alle spalle. In quel testo invitavo a «non sprecare» ciò che quel terribile momento ci aveva insegnato.
Purtroppo siamo nuovamente nella stessa situazione: tantissimi contagi, molti in terapia intensiva, molti decessi. Gli ospedali sono pieni e molte persone con malattie gravi, magari bisognose di interventi, non possono essere ricoverate. Tutti siamo a conoscenza di persone positive, di amici o familiari ricoverati, di persone in terapia intensiva. Tutti siamo invitati a ridurre i nostri movimenti, a contenere le occasioni di assembramento. Soprattutto nei nostri territori (zona rossa).
A tante persone sono richiesti sacrifici gravi per contenere il contagio: penso ai nostri giovani che non possono andare a scuola, non possono trovarsi per fare sport o per chiacchierare la sera; penso ai ristoratori e a quanti hanno dovuto chiudere le loro attività lavorative. Sono sforzi enormi, richiesti per ridurre le occasioni di contagio, anche là dove erano stati fatti sforzi grandi per adeguarsi alle normative (penso alla scuola, ai locali pubblici e ai negozi).
Il governo non ha chiesto a noi cristiani della zona rossa di sospendere le celebrazioni festive. Sono consapevole che abbiamo questo diritto. Ma io chiedo ai cristiani cattolici di «fare volontariamente un passo indietro» e di rinunciare per due domeniche a questo diritto, per contribuire a un bene comune, cioè il contenimento del contagio. So che è un sacrificio grande. Ma essere cristiani non significa innanzitutto difendere i propri diritti, quanto lottare per i diritti di tutti. Molti mi diranno che dobbiamo difendere la nostra identità, espressa soprattutto nella celebrazione eucaristica.
Care amiche e cari amici, la nostra identità sta nella nostra capacità di seguire Gesù Cristo, che si è fatto dono per tutti, capace di santità ospitale. Lo so, abbiamo bisogno di Lui per essere dono per gli altri. In questo tempo preghiamo tutti di più!
Ve lo chiedo in ginocchio. Preghiamo di più, preghiamo incessantemente per noi e per tutti, in particolare per quelli che soffrono. Riscopriamo, nella necessità, la preghiera in casa. Troppi cristiani l’hanno dimenticata. Riscopriamo la lettura della Parola, nella quale ci viene incontro Cristo stesso. Non possiamo radunarci in chiesa, ma possiamo radunarci in casa. Come sarebbe bello un momento di silenzio e di preghiera con i figli o con i nipoti! In molte case cristiane si è persa questa cura domestica della fede. Senza la cura domestica e personale della spiritualità, la Messa rischia di diventare un rito vuoto.
Lo so che in queste domeniche ci mancherà la dimensione comunitaria, pilastro del nostro cammino di fede! Lo so e sono felice che in noi credenti sia vivo e fecondo l’aspetto comunitario. In questi giorni mi impegnerò io per primo a curare maggiormente i contatti e ad essere presente con video, streaming, messaggi, telefonate. Chiedo di fare altrettanto ai sacerdoti, ai diaconi, ai catechisti, agli animatori. Anzi chiedo a tutti i cristiani di dedicare maggior tempo alle relazioni. Il cristiano è un creatore di relazioni all’interno e all’esterno della propria comunità.
Con uno slogan direi così: «Chiudiamo per aprire». Sogno una Chiesa meno ripetitiva, meno individualistica, meno autocentrata; sogno una Chiesa che si fa dialogo, che si fa relazione, che vive di relazioni, che è capace di celebrare con genuina creatività la risurrezione del Signore sempre. Sogno una Chiesa che incarna l’enciclica Fratelli tutti, che vive il comando dell’amore.
La Chiesa è «Corpo di Cristo». In questo tempo vive la dimensione di «corpo lacerato» nella certezza di tornare ad essere «corpo risorto». Come dice saggiamente il teologo Marco Gallo: «La libertà di culto non è un bene assoluto, ma vive in equilibrio con una presenza evangelica nei territori e nei contesti. Soprattutto, per riportare alla questione liturgica, la libertà di culto non coincide con il culto pubblico ad ogni costo. Bisogna aver fiducia nella liturgia, che sa aspettare i tempi opportuni, trasformarsi in gesti ancor più discreti, in contatti differenti».
Chiedo scusa alle persone sensibili che magari verranno scandalizzate da questa scelta. Cari amici, vi chiedo di fare questo sforzo anche per i vostri figli, o nipoti, che forse non frequentano più le nostre liturgie (e son tanti, purtroppo). Loro guardano la Chiesa come un’istituzione insensibile alla loro vita concreta, ai loro problemi; un’istituzione chiusa nella sua dottrina, incapace di dialogo; un’istituzione fuori dal tempo.
Cari fratelli e sorelle, aiutiamoci a creare una Chiesa capace di parlare non solo a noi praticanti (e di una certa età, come me), ma ancora capace di parlare ai giovani e a chi non crede. Questa è la grande urgenza. Aiutatemi, amici credenti, a costruire il futuro. Di tutti.
+ Derio Olivero
Ho letto con viva partecipazione la lettera del Vescovo Derio, provo molta simpatia per lui personalmente, perché è passato per la pandemia vivendola sulla sua pelle. Così sento una spontanea sintonia con le sue idee che mi pare di condividere. Ma nello stesso tempo sento altrettanta simpatia per quelle persone che vengono, nonostante tutto e seguendo le norme di prudenza – suggerite dal buon senso e dal governo – alla Santa Eucaristia domenicale e anche feriale, perché sono convinte che questa è per loro un potente aiuto. Non per una sfida fideistica, non per contestazione, ma semplicemente per fede. Mi è molto difficile sciogliere questo dilemma. Mi auguro che nessuno in nome della fede diventi un negazionista o complottista … prego Dio, come una volta si faceva, che ci liberi “a peste, fame et bello” , e che ci dia la volontà di opporci a questi flagelli che sono ancora purtroppo attuali.
Ma anche a pregare con nipoti, nonni, e genitori può esserci contagio; scuse belle e buone chiudere le Chiese, come dare la comunione sulle mani, succede questo perche’ la Chiesa Cattolica stà diventando protestante.
Grazie amico vescovo Derio
condivido la scelta che coraggiosamente chiedi alla tua chiesa in unità con la chiesa valdese. La “fantasia” delle nuove modalità di relazione aprono a percorsi inediti e a una chiesa Popolo. Ogni persona può essere raggiunta, amata, sostenuta nelle sue fragilità e nelle sue paure. Se ciascuno di noi curasse in questi giorni il rapporto con quattro o cinque persone in difficoltà ma che sono nostri prossimi si dilaterebbe una rete di fiducia e di speranza…anticipo di eucarestia. Uniti a distanza.