La decisione del governo francese di sospendere di nuovo ogni celebrazione liturgica a partire dal 3 novembre sta suscitando discussioni e opposizioni, contrariamente alla recezione tranquilla delle disposizioni durante l’ondata del Covid-19 nei primi mesi dell’anno (SettimanaNews: Virus e libertà di culto).
Domenica 15 novembre ci sono state dimostrazioni di gruppi di credenti in venti città del paese (in genere qualche centinaio di persone), spesso davanti alla cattedrale. Una raccolta «per la messa» ha raggiunto 100.000 firme.
Sono entrati nella disputa anche alcune figure politiche come il presidente del Senato, Gérard Larcher, e la presidente di uno dei partiti d’opposizione, Marie Le Pen. 46 parlamentari dell’opposizione hanno protestato all’indirizzo del presidente del consiglio, Jean Castex, per una disposizione che, a loro parere, viola lo «spirito della legge del 1905 sulla separazione fra Chiesa e stato», intaccando la libertà di culto, ben oltre la libertà di riunione o di manifestazione.
La pandemia e la messa
Le ragioni dei protestatari, raccolti in preghiera e con canti religiosi sulle piazze, sono quelle della «messa come indispensabile alla vita cristiana», come sostegno al dialogo dei vescovi rispetto al governo e all’amministrazione, come condivisione coi preti che celebrano nelle chiese vuote e come affermazione della messa «anima della Francia, costitutiva del suo patrimonio immateriale».
L’assenza della celebrazione è avvertita da alcuni come «una piccola morte» e anche fra i giovani c’è poco apprezzamento per la messa via internet. Riemergono considerazioni di appartenenza politica come quella espressa dall’ex presidente di Manif pour tous, Guillaume de Prémare: «Ciò che ha fatto scattare una parte dei cattolici, di cui faccio parte, è stata la presa di coscienza che l’emergenza sanitaria non era più una parentesi». «Tanto siamo stati sorpresi durante il primo confinamento, altrettanto oggi la messa diventa una sfida per la libertà pubblica».
E Henri de Beauregard aggiunge: «Le scuole, i trasporti, i supermercati sono aperti. Ciò che fa vivere i cattolici è invece limitato. Per noi non è normale». La decisione governativa sembra «un piano relativo alla separazione (Chiesa – stato) che suggerisce l’impressione di una ripresa in mano da parte dello stato della dimensione religiosa».
Vescovi dialoganti e fedeli intransigenti
I vescovi, a partire dal presidente della Conferenza episcopale, mons. Eric de Moulin-Beaufort, hanno fatto ricorso al Consiglio di stato che ha risposto dando ragione al governo. Il loro atteggiamento non ha niente di rivendicativo e hanno esercitato una funzione calmierante, spesso prendendo distanza dalle manifestazioni.
Così si è espresso il vescovo di Valence, Pierre-Yves Michel: «Condivido la tristezza e lo scoramento (dei manifestanti) ma non sostengo la loro iniziativa. Penso che essa non dia un buon segnale per la nostra Chiesa che, per me, deve assumere un cammino di servizio e non di scontro. Preferirei che i cattolici mostrassero la partecipazione alla sofferenza di questi tempi difficili, andando oltre il sentimento di patire un’ingiustizia».
La situazione sanitaria del paese e molto grave e i limiti alla libertà di culto sono temporanei. Posizione largamente condivisa dai vescovi di Nantes, Rennes, Strasburgo, Lione, Amiens…
Ferite antiche
Secondo il sociologo Yann Raison du Clenziou riemergono nella disputa attuale faglie molto profonde e divisive fra chi considera la sospensione della messa come un gesto di generosità rispetto al pericolo di tutti e chi ne fa un riferimento assoluto, al di là del pericolo.
E lo storico Denis Pelletier distingue fra una spiritualità che ha fatto i conti con la laicità dello stato e chi intende la dimensione sacramentale come figura pubblica della fede.
Le proteste interessano gruppi piuttosto ristretti visto che gran parte della Francia agricola e montana è da anni priva di messa domenicale o può celebrarla solo molto raramente.
Nel frattempo, il dialogo con il governo continua: i rappresentanti dei culti sono stati convocati il 16 novembre dal ministero dell’interno.
Mons. Oliverio, vescovo di Pinerolo ha deciso di sua volontà di sospendere per 2 settimane le messe festive nella sua diocesi. “Ognuno deve fare la sua parte – ha detto in un’intervista a Vatican news – Povevamo dare tante risposte, ma ci è sembrato che questo potesse essere un modo, anche se non è l’unico che abbiamo scelto. E’ solo quello che ha destato più clamore. Certo per noi cristiani non andare a Messa è un grosso sacrifico. Ma è un grosso sacrificio fatto proprio per essere di aiuto alla comunità, per favorire la diminuzione del contagio, che mi pare una responsabilità grave”.
Forse non sarebbe necessario un ordine “esterno” come in Francia …