Da quasi 500 anni la comunità cristiana di Trondheim (Norvegia) non aveva un vescovo. Ora papa Francesco ha nominato il trappista Erik Varden.
Non avviene spesso, ma può capitare che un monaco trappista sia nominato vescovo. Nel secoli lontani era un fatto abbastanza normale. È stato ora papa Francesco a rinverdire la tradizione nominando vescovo il trappista, Erik Varden, per la piccola diocesi di Trondheim in Norvegia, dove vivono circa 15 mila cattolici.
La nomina era avvenuta già il 1° ottobre del 2019, ma la consacrazione, prevista per il 4 gennaio di quest’anno, era stata rimandata «a tempo indeterminato» per motivi di salute, come ha spiegato una nota diffusa dalla segreteria della Conferenza episcopale dei Paesi nordici. Lo stesso vescovo eletto Varden ha scritto una lettera ai fedeli spiegando che «gli era stato ordinato di seguire il consiglio dei medici di rimettersi in piedi».
La sua consacrazione ha avuto luogo lo scorso 3 ottobre 2020, nella cattedrale dedicata a sant’Olav, l’antico re patrono del Paese: è il settimo pastore da quando la Chiesa fu ripristinata, prima come prefettura e vicariato apostolico, poi, nel 1979, come prelatura territoriale, vale a dire la configurazione attuale. Era dal 1537 che la diocesi di Trondheim non aveva un vescovo. Era stata infatti soppressa ai tempi della Riforma protestante e attualmente era retta dal vescovo di Oslo.
La cerimonia ha avuto luogo alla presenza di un gruppo molto ristretto di fedeli a causa del coronavirus.
Le tappe della vita fino all’episcopato
P. Varden è nato il 13 maggio 1974 in una famiglia luterana non praticante nel sud della Norvegia ed è cresciuto nel villaggio di Degernes. La sua vita cristiana è stata ispirata dal salesiano p. Tadeusz Hoppe.
Dopo l’istruzione scolastica nel suo paese natale, ha continuato a studiare all’Atlantic College, in Galles (fino al 1992) e, successivamente, al Magdalene College, a Cambridge (1992–1995), con il Master of Arts. Ha conseguito il dottorato presso il St John’s College di Cambridge e la licenza in Sacra Teologia presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. È entrato ufficialmente a far parte della Chiesa cattolica nel giugno 1993.
Accolto nel 2002 nell’Abbazia di Mount St Bernard, un monastero trappista vicino a Coalville nel Leicestershire (Inghilterra), ha emesso la professione il 1° ottobre 2004 e la professione solenne il 6 ottobre 2007. È stato ordinato sacerdote il 16 luglio 2011 dal vescovo Malcolm McMahon.
Dal 2011 al 2013 è stato professore di lingua siriaca, storia monastica e antropologia cristiana presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo a Roma. Ha poi lasciato l’insegnamento ed è tornato nella sua abbazia nel 2013 dopo essere stato nominato amministratore superiore dell’abbazia.
Il 16 aprile 2015, è diventato l’undicesimo abate dell’abbazia di Mount St Bernard, a seguito di un’ulteriore elezione, diventando anche il primo abate nato al di fuori della Gran Bretagna o dell’Irlanda a guidare questa abbazia. Ha scritto libri e articoli sulla spiritualità cristiana e sul monachesimo. È anche un musicista e ha studiato canto gregoriano con la dottoressa Mary Berry, in seguito co-fondando il Forum del canto con Dame Margaret Truran dell’abbazia di Stanbrook.
Trappista e vescovo
Dopo la consacrazione episcopale, l’emittente cattolica di Colonia, Dom Radio, lo ha intervistato l’11 novembre scorso, festa di san Martino. Gli ha domandato anzitutto quali sono le principali sfide che dovrà affrontare nel suo nuovo incarico. «Sono quelle di sempre» ha risposto: annunciare il Vangelo in maniera fedele e credibile, incarnare e custodire l’unità. Noi viviamo qui – ha aggiunto – in una diaspora estrema. Ma è stranamente affascinante e anche molto bello perché qui si vede chiaramente la cattolicità. Qui nella piccola diocesi di Trondheim ci sono più di 120 nazionalità tra i fedeli. Trovo questo fatto eccitante e arricchente».
L’intervistatore, Gerald Mayer, gli ha chiesto: «Lei è un trappista, ossia un monaco di un ordine religioso contemplativo. Come unisce insieme questo fatto con l’ufficio episcopale?».
«Sì – ha risposto –, sembra un paradosso. Ci sono sempre stati, quasi fin dall’inizio monaci consacrati vescovi. Oggi celebriamo la festa di san Martino: il santo è un mirabile esempio che questa sintesi tra essere monaco e insieme vescovo in attività pastorale può effettivamente portare frutto. È quanto mi auguro di fare anch’io». In concreto, ha aggiunto, «cercherò di curare la mia vita di preghiera e anche la dimensione contemplativa attraverso la lettura e la preghiera personale e spero che, dopo 20 anni di vita monastica, i valori fondamentali assimilati in certo qual modo possano esprimersi anche nella mia vita quotidiana che sarà molto occupata… Ciò che mi infonde speranza è l’entusiasmo che trovo tra i fedeli e i giovani della Chiesa. Qui c’è una crescita annuale tra il 10 il 15%. Ma apprezzo molto anche la fedeltà e il bene che vengo a conoscere».