Il 24 ottobre si è svolta, proprio nella ‘nostra’ piazza una manifestazione contro i migranti. Mia moglie Lorena la chiama la “piazza del mondo” perché lì incontriamo i migranti della rotta balcanica che transitano per la nostra città, Trieste. Con gli amici volontari dell’associazione “Linea d’ombra”, cerchiamo di offrire un aiuto che li metta in grado di proseguire il loro viaggio. Infatti, la nostra intenzione è di riconoscere il diritto, che nessuno Stato riconoscerà mai, di andare là dove ritengono di poter vivere una vita degna d’essere vissuta.
Proprio lì, quindi provocatoriamente, è stata organizzata la manifestazione – contro i migranti e contro di noi – dai protagonisti di un sito online, distintosi per la speciale volgarità degli insulti razzisti.
La piazza della stazione non è luogo da manifestazioni a Trieste, anche per la sua conformazione fisica ad aiuole, con un’aiuola centrale. Ce ne sono diverse molto più adatte. Ciò nonostante, la Questura l’ha autorizzata. Noi abbiamo deciso di non lasciare la piazza come richiesto dalla polizia. Sono accorsi numerosi antifascisti. Ne è nata una tensione fortissima comprensiva di scontri tra fascisti – giunti per la circostanza anche da fuori Trieste – e la polizia. Risultato: sei feriti fra gli antifascisti e sessanta procedimenti giudiziari avviati: cinquantotto per gli antifascisti, due per i fascisti.
Quello che interessa sottolineare, però, è altro.
Da quel giorno la ‘nostra’ piazza è diventata un luogo della sinistra sociale cittadina. Un punto di partenza, non solo per i migranti, ma per un tentativo di coordinamento di un’area sociale, non necessariamente omogenea, che cerca di resistere alla deriva sociale che si sta manifestando nel nostro paese e nella nostra città, impegnandosi su alcune situazioni sociali particolarmente colpite dalla crisi.
Non siamo in molti. In tutta Italia – quella che, per intenderci, chiamo ‘la sinistra sociale’ – è una piccola minoranza. A Trieste ancora di più. Trieste è una città dalle problematiche sociopolitiche diverse da ogni altra città italiana, così come è legata a questioni confinarie ed etniche irrisolte da centodue anni! Vogliamo, però, camminare, ognuno nel proprio posto, nella propria situazione, coordinando le scelte e le pratiche. Questo è l’inizio di un percorso, di un sentiero esile fra i boschi sociali di una città schiacciata sul confine ‘sciavo’, come chiamavano qui in dialetto lo slavo, con intonazione di sprezzo.
L’altro percorso è la costruzione di una rete transconfinaria che faccia della piazza della stazione di Trieste l’inizio di una capacità di accoglienza extrastatuale, anticonfinaria, clandestina nella misura necessaria. Questa rete dovrebbe andare – in qualche misura si estende già – da Trieste a Ventimiglia, a Oulx in Val di Susa, a Briançon, in Francia.
Continua quello che è il nostro impegno fondamentale: la presenza quotidiana in piazza. Quando il tempo è brutto, ripariamo sotto la pensilina sul fianco destro della stazione. Ma ci siamo sempre ad accogliere i migranti. Il loro transito si è fatto più esile negli ultimi tempi. In alcuni giorni non passa nessuno. Ma non cessa. Insistono i controlli e i respingimenti lungo tutta la dorsale tra Trieste e la Bosnia. Anzi, si accentuano. L’Italia continua a respingere in Slovenia, che respinge in Croazia, che respinge a sua volta – anche con le botte – in Bosnia, nel cantone Una-Sana.
Là la situazione – peso le parole – sappiamo essere divenuta tragica. I migranti del campo “Bira” a Bihac sono stati fatti confluire nel campo provvisorio di Lipa a 40 chilometri da Bihac, ammassati in condizioni precarie, senz’acqua in proprio, facili bersagli dell’epidemia. Si parla di tremila persone: per metà a Lipa, per metà nei boschi circostanti, sotto la neve, con temperature oscillanti intorno allo zero di giorno, al di sotto la notte. Chi conosce direttamente la situazione parla di possibili morti per il freddo.
Per noi, questo è l’effetto di una politica europea di esclusione e di reclusione, comprensiva di filtraggio di una parte dei migranti da impiegare nel continente quale manodopera a prezzo molto basso: una politica che non ha neppure il coraggio di manifestarsi sino in fondo con scelte nette. Dalla Turchia alla piazza di Trieste, dall’Africa ai gorghi del Mediterraneo e alle spiagge e ai porti dell’Italia e della Spagna: questo è il frutto di cento anni di devastazioni europee e occidentali del Medioriente e dell’Africa.
L’Europa sta sottovalutando la gravità di una tale situazione che si accompagna all’aumento continuo dell’ingiustizia sociale negli stessi paesi europei. Ricordiamo che l’Europa, prima di aver parlato di ‘diritti umani’, è stata la terra-madre delle teorie e delle pratiche coloniali e razziste. I diritti universali dell’essere umano li hanno inventati gli schiavi di Haiti, quando si sono ribellati alla Francia rivoluzionaria e coloniale nel 1793.