Un invito, in occasione del Natale, a credere di nuovo rivolto a chi ha smesso di credere. Ma anche un invito a chi crede perché trovi il coraggio di un credere nuovo che sappia coniugare fede e festa, fede e gioia, fede e autenticità di vita.
Un invito ad un credere maggiormente centrato sulla «gioia del Vangelo»e sulla «grande gioia del credere», in linea con il magistero di papa Francesco che non si stanca di ripetere che la gioia è il modo di esprimersi del cristiano, che non si può vivere cristianamente senza gioia e che lo «stile di Quaresima senza Pasqua» non appartiene ai cristiani.
È questo in estrema sintesi l’obiettivo del nuovo saggio, dal titolo Incontro al Natale – Un invito a credere di nuovo (Edizioni Àncora, Milano 2020, pp. 101, € 12,00), di Armando Matteo, docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana di Roma e autore di interessanti e a volte scomode riflessioni sullo stato della Chiesa di oggi.
Destinatari del saggio
Per stile di scrittura e semplicità di linguaggio, il libro si fa leggere con grande piacere. È diretto, con l’occhio rivolto alla festività del Natale, a due categorie di persone: ai «festeggianti non praticanti» e ai «festeggianti praticanti».
I primi sono coloro che festeggiano il Natale, non interessandosi o avendo cessato di interessarsi dell’evento che l’ha generato, cioè l’umanizzazione di Dio in Gesù di Nazaret. Essi sono invitati a ricucire il momento della festa del Natale con la fede, accorciando le distanze che la separano dall’esperienza religiosa che l’ha data alla luce.
I secondi sono coloro che festeggiano, sì, il Natale, ritenendolo giorno di memoria della nascita in terra del Signore Gesù, Salvatore di tutti gli uomini e di tutte le donne della terra, vero uomo e vero Dio. Ma lo fanno vivendo stancamente una religiosità carente di quella naturale dimensione gioiosa che già oltre un secolo fa Friedrich Nietzsche rimproverava ai cristiani: «I cristiani dovrebbero cantarmi canti migliori perché io impari a credere al loro redentore: più gioiosi dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli» (Friedrich Nietzsche, Così parò Zarathustra, Adelphi, Milano 1986, pag. 109).
Tra le due categorie di destinatari del libro, Matteo vede una correlazione: il festeggiare il Natale ignorando il «festeggiato» e il celebrare nonché il testimoniare il «festeggiato», non solo in occasione del Natale, senza quello spirito di gioia, di festa e di entusiasmo tipico della rivelazione evangelica. Quasi a dire che festeggiare il Natale senza fare riferimento a Gesù è da mettersi sullo stesso piano del Natale celebrato facendo, sì, memoria di Gesù, ma facendolo senza gioia e senza passione.
La speranza dell’autore è che gli uni e gli altri possano, con la lettura del libro, cogliere l’occasione per riscoprire la valenza fondamentalmente natalizia della fede cristiana, «esperienza di continua nascita e rinascita alla speranza e alla fiducia nella vita, grazie alla compagnia di un Dio che mai smette di incoraggiare coloro che a lui si affidano» (p. 9).
Incontro al Natale, cioè incontro a Gesù
Con la sua venuta al mondo – scrive il prof. Matteo –, «Gesù intende illuminare la nostra umanità con la verità del volto di Dio. Non a caso, la festa del Natale, associata alle antiche feste pagane del Sole, è stata prontamente battezzata dai primi cristiani: il vero Sole, la vera luce è Gesù, che scende in mezzo all’umanità per illuminare il cielo e poter finalmente contemplare il mistero divino» (p. 67).
Sarà incontro al Natale se tutti noi credenti, non credenti, dubitanti e interroganti faremo come hanno fatto i pastori nella notte in cui l’angelo del Signore annunciò loro la «grande gioia» della nascita di «un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11): indirizzare «senza indugio» i nostri passi incontro a lui (Lc 2,16), interiorizzando così immagini di Dio che fanno ardere il cuore anche agli uomini e alle donne dei nostri tempi secolarizzati postmoderni.
Potrà essere un Natale di gioia se…
Potrà essere un Natale di gioia se Gesù, di cui festeggiamo la nascita, avrà una parola da dirci relativa al modo di salvaguardare al meglio il nostro rapporto con il mondo, con gli altri e con noi stessi (p. 21). La parola su Dio – contenuta nel capitolo 3° del vangelo di Luca sulla vocazione profetica di Giovanni il Battista – che Gesù ha da dirci è questa: Dio è la notizia buona dei poveri «che riesce ad attivare perfino in loro nuova speranza e nuova fiducia nella vita». A Dio non interessa recidere le radici degli alberi o bruciare le cose inutili. Gli sta a cuore una cosa soltanto: essere sorgente di vita buona, bella e felice per tutti (p. 75).
Potrà essere un Natale di gioia se saremo fermi nella certezza che la volontà del Dio rivelato dal Bambino Gesù con la sua venuta al mondo è quella di vederci fieri e fiduciosi nella vita, non succubi dei limiti che ci abitano (p. 25 e 26). Il Dio che si fa avanti in Gesù – come testimonia il capitolo 19° del vangelo di Luca che narra l’incontro di Gesù con Zaccheo – «ha un momento per noi, per tutti noi, per il nostro desiderio di vedere, di capire, di essere all’altezza della vita». È «un Dio che ci salva volgendo a noi il suo sguardo e aprendo finalmente i nostri occhi oltre le nostre sicurezze e i nostri sistemi di difesa della nostra piccola vita» (p. 78).
Potrà essere un Natale di gioia se la fede cristiana sarà da noi recepita come una «fede in un Dio che sempre incoraggia, che mai indugia sulle nostre paure o timori, che ogni giorno invece si desta prima di noi per illuminare i nostri piccoli passi nella realtà, esortandoci a rinascere continuamente» (p. 30).
Leggendo il capitolo 3° del vangelo di Giovanni che racconta l’incontro di Gesù con Nicodemo, ci si può rendere conto che il Dio che si mostra in Gesù non teme le domande e non ha paura del confronto. «Al contrario, sollecita la nostra curiosità, ci invita a fidarci del nostro istinto di conoscenza e del nostro desiderio di rinascere continuamente. E anche a noi, come a Nicodemo, ripete: non temere di nascere di nuovo, di nascere dall’alto!» (p. 82).
Potrà essere un Natale di gioia se accoglieremo l’invito a scoprire che il Dio cristiano ama relazionarsi con persone coraggiose e libere nella loro individualità (p. 35). Il Dio che si rivela in Gesù – al capitolo 7° del vangelo di Marco in occasione dell’incontro con la donna sirofenicia – «ha un debole per le persone sincere, genuine, libere, capaci di correre dei rischi per non svendere sé stesse, in grado di interloquire con dignità e verità, senza paura e senza infingimenti. Un Dio che sa ascoltare e anche cambiare idea, quando è il caso» (p. 85).
Potrà essere un Natale di gioia se faremo nostra l’idea che l’esperienza della fede è marcata non solo da vittorie ma anche da sconfitte, da conquiste ma anche da fallimenti. «Che, in una parola, la fede è un modo felice di stare al gioco della vita» (p. 40). Il Dio che in Gesù si manifesta – stando al capitolo 20° del vangelo di Luca dove ci si sofferma sulla domanda posta a Gesù dai sadducei in tema di risurrezione – è un Dio dei vivi e non dei morti. «È un Dio che, alla fine dei conti, vuole invitarci ad un gioco più grande di quelli a cui siamo normalmente abituati. Al gioco più grande che ci sia: quello di una vita senza tramonto, di una vita per sempre oltre la morte» (pp. 88-89).
Potrà essere un Natale di gioia se ci riuscirà di scoprire che il Dio cristiano è interessato ad un rapporto di singolarità con ciascun uomo e ciascuna donna, sapendo «rispettare la libertà e i tempi di ciascuno, sino al punto di correre il rischio di ricevere un no alla sua proposta di amore» (p. 44). Il Dio che si manifesta in Gesù – lo si legge nel capitolo 10° del vangelo di Marco che narra l’incontro di Gesù con il giovane ricco – «non coltiva narcisistici sogni di essere scelto a prescindere, ma è veramente buono perché invita ciascuno a maturare interiormente, a coltivare lo spazio preziosissimo del proprio io, della propria libertà, del proprio desiderio. Un Dio che semplicemente non teme di fallire nel rispetto dei tempi e delle situazioni di chi si pone in relazione con lui» (p. 92).
Potrà essere un Natale di gioia se avremo modo di convincerci definitivamente che la fede cristiana – quella legata al Bambino Gesù – ha di mira sostanzialmente la fioritura di quel dinamismo vitale che avvertiamo nel nostro intimo, sentendoci «in compagnia di un Dio che di mestiere fa il tifo per noi» (p. 49). Come testimonia la guarigione operata da Gesù a beneficio della donna sofferente da dodici anni di sanguinamento uterino anomalo e narrata nel capitolo 5° del vangelo di Marco, al Dio che in Gesù si fa incontro a noi non interessa sapere a quale punto della nostra esistenza noi ci troviamo. «Quel che conta è che, incontrandoci con Gesù, ci è data la possibilità di ritornare di nuovo figli e figlie della vita e rinascere con più pace nell’anima e più salute nel corpo. Ci è data la possibilità di fiorire ancora e ancora» (p. 95).