Troppo spesso le donne sono offese, maltrattate, violentate, indotte a prostituirsi… Se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, dobbiamo tutti fare molto di più per la dignità di ogni donna (Papa Francesco @Pontifex_it, 25 novembre 20).
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è una norma del codice penale (art. 572) che punisce, con la reclusione da tre a sette anni, chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato.
Si tratta di una norma di largo utilizzo nei tempi che corrono, non solo per il persistente verificarsi del fenomeno della violenza di genere, ma anche per il suo ampio ambito di applicazione (famiglia, convivenza, affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione).
Dalla comparazione dei dati statistici, raccolti e diffusi dal Ministero di grazia e giustizia, riferiti al periodo intercorrente tra l’anno antecedente (1/8/2018 – 31/7/2019) e l’anno successivo all’entrata in vigore del c.d. Codice Rosso (1/8/2019 – 31/7/2020), emerge che il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è notevolmente aumentato (+11%): il numero dei procedimenti iscritti è, infatti, passato da 36.539 a 40.726.
Sembra, pertanto, opportuno richiamare, alla luce del diritto vivente esplicitato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alcuni aspetti fondamentali di un reato di grande allarme sociale come quello disciplinato dall’articolo 572 del codice penale.
Persone offese del reato
Offesa dal reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi può essere:
- una persona della famiglia,
- una persona convivente,
- una persona sottoposta all’autorità del reo,
- una persona affidata al reo per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia,
- una persona affidata al reo per l’esercizio di una professione o di un’arte,
- il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti.
Il bene tutelato
Il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio costringere la moglie a sopportare la presenza in casa di una concubina (Cass.pen.sez.VI n. 35677 del 30 maggio 2019) o farle mancare i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, (Cass.pen.sez.IV n. 34351 del 3 dicembre 2020), ovvero ancora privarla della sua funzione genitoriale, realizzata mediante l’avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale (Cass.pen.sez.V n. 21133 del 25 marzo 2019).
Il bene giuridico tutelato non è solo l’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti o la difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, ma anche il rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (Cass.pen.sez.V n. 34504 del 3 dicembre 2020 e sez.VI n. 4935 del 31 gennaio 2020).
Il reato in questione deve ritenersi sussistente, sotto l’aspetto materiale, tutte le volte in cui, lungi dal rappresentare espressione di episodiche manifestazione di atteggiamenti prevaricatori, le condotte di uno dei componenti del nucleo familiare, pur se intervallate nel tempo e persino se contrastate dalla vittima, abbiano finito con il concretare una stabile alterazione di quelle relazioni, comportando così una sostanziale compromissione della sua dignità morale e fisica (Cass.pen.sez.VI n. 8312 del 7 febbraio 2019).
Maltrattamenti di famiglia in ambienti lavorativi
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni di una lavoratrice dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (il cosiddetto mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro maltrattante e la persona dipendente maltrattata sia caratterizzato da quella che, per comodità espositiva, è stata qualificata come parafamiliarità, intesa come sottoposizione di un soggetto all’altrui autorità in un contesto di prossimità permanente per le dimensioni e la natura del luogo di lavoro, di abitudini di vita proprie di comunità familiari caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità (Cass.pen.sez.VI, n. 27905 del 7 ottobre 2020).
La persona maltrattata
L’articolo 572 del codice penale è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Cass.pen.sez.VI n. 34086 del 1° dicembre 2020).
Per la configurabilità del reato non è richiesta una totale soggezione della vittima al maltrattante, in quanto la legge penale, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza. Il reato può sussistere anche in un contesto familiare caratterizzato da forti tensioni ascrivibili ad entrambi i coniugi, tra i quali viene a crearsi un clima di reciproca insofferenza e intollerabilità, che non deve comunque mai sfociare in condotte abitualmente proiettate all’aggressione, alla mortificazione e all’umiliazione (Cass.pen.sez.VI n. 28776 del 30 settembre 2020).
Vittime del reato di maltrattamenti in famiglia, ben più grave del reato di abuso dei mezzi di correzione, possono essere anche i figli minori in presenza di reiterate e conclamate condotte violente messe in atto dal genitore (Cass.pen.sez.VI n. 24027 del 24 agosto 2020).
Anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, raggiungono la soglia della rilevanza penale ai fini del reato di cui all’art. 572 c.p, quando si collochino in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea ad imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile attraverso ricorrenti atti di minaccia, mediante controllo maniacale della maltrattata (attraverso telefonate, controlli con GPS, estenuanti interrogatori notturni, telecamere nascoste, controllo dell’igiene personale) ed atteggiamenti di disprezzo, denigrazione, coinvolgendo anche le figlie minori (Cass.pen.sez.VI n. 32781 del 22 luglio 2019).
Gli episodi di prevaricazione nei confronti della moglie, consistenti in continui e volgari insulti pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, cui si accompagnano sporadiche condotte violente, sono sufficienti a sorreggere il giudizio di ripetitività e abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di maltrattamenti in famiglia (Cass.pen.sez.IV n. 34351 del 3 dicembre 2020).
Irrilevanza delle differenze culturali e religiose
Il cittadino straniero non può invocare, quale causa di giustificazione per il reato di maltrattamenti commesso nei confronti della convivente more uxorio, le connotazioni culturali e religiose proprie del paese di provenienza.
Questo perché ha scelto di vivere in Italia, dove, ai fini dell’armonizzazione di culture individuali rispondenti a culture diverse e dell’instaurazione di una società civile multietnica, assume centralità il rispetto assoluto della persona umana e della sua dignità (Cass.pen.sez.III n. 8986 del 5 marzo 2020).
Pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale
È applicabile la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale – che determina il dovere di crescere i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni e aspirazioni – anche quando le condotte integranti il reato di maltrattamenti in famiglia, colpendo l’altro genitore, siano indirettamente rivolte contro i figli minori, costringendoli ad assistere ad atti di violenza e sopraffazione destinati ad avere inevitabili conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica.
Le ragioni di tutela del diritto del minore di intrattenere regolarmente relazioni e contatti personali con il genitore vengono meno allorché la prosecuzione di tale rapporto sia contraria all’interesse preminente del minore (Cass.pen.sez.V n. 34504 del 3 dicembre 2020).
Dichiarazioni della persona offesa
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
A tal fine è necessario che il giudice indichi con precisione le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata (Cass.pen.sez.III n. 18574 del 19 giugno 2020).
Ripensamenti della vittima e ritrattazione delle accuse
La ritrattazione delle accuse non è, di per sé sola, sufficiente a evitare la condanna per maltrattamenti in famiglia.
Le accuse possono fondare il giudizio di colpevolezza se sono rigorosamente e criticamente vagliate dal giudice, se sono sorrette da riscontri di attendibilità e credibilità e se sono assistite da riscontri, che, come per gli altri indizi, vanno apprezzati per gravità, precisione e concordanza (Cass.pen.sez.VI n. 24027 del 24 agosto 2020).
Arresto in flagranza
Nell’ipotesi di maltrattamenti ai danni di un familiare, l’arresto in flagranza si considera legittimamente eseguito non solamente quando gli agenti della polizia giudiziaria hanno assistito ad una frazione di quelle condotte maltrattanti che costituiscono l’elemento oggettivo del delitto, ma anche quando siano intervenuti subito dopo la commissione di tale illecito e abbiano accertato che l’autore si sia dato alla fuga ovvero sia stato trovato con cose o tracce dimostrative della immediatamente precedente commissione del reato (Cass.pen.sez.VI. n. 17853 del 10 giugno 2020).