Daniele Menozzi è professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Studioso dei rapporti tra Chiesa e società, ha pubblicato per conto di Carocci Editore, nella collana Frecce, il libro dal titolo “Crociata”. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio, pp. 244, € 23,00 – ISBN: 9788829002917. Gli abbiamo sottoposto alcune domande (intervista a cura di Lorenzo Prezzi).
– Prof. Menozzi, nel volume che lei dedica all’indagine sulle Crociate conclude con un singolare paradosso. Mentre il papato sta abbandonando ogni giustificazione del richiamo alla Crociata, il suo uso non è affatto esaurito nella politica. La sua ideologia sopravviverà senza il consenso del papato?
Il futuro è un argomento particolarmente ostico per uno studioso di storia. Si può però fare una considerazione. Negli ultimi due secoli il papato, pur riservandosi la facoltà di bandire una crociata militare qualora lo ritenesse opportuno, non l’ha mai concretamente promossa sul piano bellico. Tuttavia ha fatto largamente uso del lessico della crociata per mobilitare i fedeli (ad esempio la “crociata del rosario” di Leone XIII, la “crociata missionaria” di Pio XI, la “crociata sociale” di Pio XII).
In tal modo ha alimentato la circolazione nel linguaggio comune di un termine, cui si attribuiva – e che effettivamente svolgeva – una funzione performativa. Ne hanno approfittato le secolari religioni della politica per procedere alla sacralizzazione della violenza che intendevano mettere in opera per il raggiungimento dei loro scopi (ad esempio, la “crociata antibolscevica” del nazifascismo, cui alcuni settori del mondo cattolico non si sono mostrati insensibili).
Papa Francesco ha interrotto questo circuito tra il linguaggio della religione cattolica e quello delle religioni politiche, invitando i fedeli ad evitare ogni ricorso, anche per fini spirituali, ad un vocabolo che prospetta lo scontro, anziché il dialogo come struttura portante delle relazioni sociali. In tal modo ha tolto ogni legittimazione cattolica alla crociata.
Gli uomini d’oggi sono investiti della piena responsabilitàdi scegliere se continuare a promuovere crociate o cercare altre vie per risolvere i problemi della convivenza civile. I prossimi anni ci diranno quale indirizzo è stato seguito.
– Come raccontare l’uso e l’abuso del termine crociata dopo la distruzione delle torri gemelle a New York nel 2001?
All’indomani degli attentati alle torri gemelle il presidente Bush ha indicato nella crociata la risposta che occorreva mettere in campo contro il terrorismo islamista. Ha poi corretto il tiro, dal momento che le sue affermazioni venivano, con buon successo, utilizzate dalla propaganda fondamentalista, in particolare dalla comunicazione politica di Al Quaeda, come la prova che l’Occidente continuava a rapportarsi al mondo musulmano secondo lo schema delle crociate medievali.
Tuttavia l’amministrazione americana non ha mai cessato di ricorrere al lessico della guerra santa, tanto che alcuni politologi qualificano proprio con il termine di “crociata” la politica mediorientale degli Stati Uniti durante la presidenza Bush.
Questa situazione ha spinto gli studiosi di scienze umane ad interrogarsi sulla sacralizzazione della violenza bellica in età contemporanea.
All’interno di questo processo di analisi si colloca anche il volume di cui parliamo. Il suo obiettivo è porre in una prospettiva storica il ricorso odierno al termine “crociata” in modo da fornire strumenti interpretativi che aiutino a decifrarne gli usi.
Religione e politica
– Come interpreta la riemersione del legame religione-politica in alcune ricerche come quelle che si riferiscono allo “scontro delle civiltà”?
Al termine dell’epoca che aveva visto la competizione bipolare tra USA e URSS per il controllo della politica internazionale, il politologo statunitense Samuel Huntington ha proposto lo schema dello scontro tra le diverse civiltà – i cui confini sostanzialmente coincidono con quella delle grandi religioni distribuite sul pianeta – come criterio di lettura della nuova dinamica storica del mondo.
La sostituzione del conflitto tra religioni a quello tra ideologie risponde ad una costatazione circa gli avvenimenti degli ultimi decenni del Novecento: in quel periodo si è verificata la crisi del paradigma della secolarizzazione intesa come inevitabile sbocco del cammino umano e si è assistito al risveglio del religioso come forza in grado di mutare gli ordinamenti statali (basta pensare alla rivoluzione iraniana del 1978-79).
Ma il libro di Huntington rivela anche che, di fronte al vuoto determinato dal crollo del mondo bipolare, l’autore ha cercato nel passato qualche criterio di lettura per la nuova situazione che si era creata: la vicenda delle crociate medievali gli ha offerto un facile punto di riferimento.
Il ricorso allo schema dello scontro di civiltà rappresenta anche una generalizzazione a livello planetario di un’esperienza del rapporto tra religione e politica che ha un carattere regionale e che è cronologicamente circoscritta.
– Quali consonanze e differenze fra “crociata” cristiana e jihad islamica?
Le due categorie hanno assunto contenuti diversi nel corso del tempo e nei diversi contesti geo-culturali che vi hanno fatto ricorso (basta pensare che l’odierno uso comune del termine crociata in ambito cristiano è riconducibile ad una costruzione semantica elaborata della curia romana nel Quattrocento e non sulla pratica linguistica coeva alle iniziative militari lanciate nel Medioevo per la liberazione del Santo Sepolcro).
In linea generale, si può comunque dire che il più evidente elemento di convergenza tra crociata cristiana e jihad islamica consiste nel presentare la salvezza eterna come l’automatica ricompensa che spetta a chi muore nel conseguimento dei rispettivi obiettivi.
La più rilevante differenza riguarda invece la promozione: la crociata cristiana prende inizio solo in virtù di un bando della suprema autorità della Chiesa, il papa; il policentrismo della religione musulmana fa sì che ciascuna autorità spirituale dell’islam abbia la facoltà di proclamare la jihad.
– Perché nella sua indagine ha scelto l’approccio linguistico, cioè l’uso del termine, rispetto ad altri modi di indagine più diffusi nel lavoro storiografico?
La scelta di prendere gli usi della parola crociata come filo conduttore della ricostruzione ha fondamentalmente due ragioni.
Da un lato, la persuasione che il ricorso ad un sintagma come “crociata” – così denso di implicazioni storiche, evocazioni mitiche e suggestioni proattive – non sia mai “innocente”, ma al contrario risponda a precise intenzionalità che è compito del lavoro storico stabilire.
Dall’altro lato, la convinzione che occorre evitare le trappole, in cui la storiografia è talora caduta, quando ha connotato con la parola crociata iniziative di personaggi che quel vocabolo non hanno mai impiegato. Non è irrilevante, ad esempio, notare che, mentre l’episcopato spagnolo ha fatto assai largo (anche se non unanime) ricorso alla definizione della guerra civile come crociata, il papato, nonostante le sollecitazioni del governo franchista, non ha mai seguito questa strada, permettendo però, ma solo a partire dal pontificato pacelliano, alla diplomazia vaticana di allinearsi ai vescovi iberici.
– Lo studio parte dall’età dei lumi. Perché proprio da lì?
La cultura dei lumi segna un passaggio decisivo nella valutazione della crociata: il giudizio storico duramente negativo sulle spedizioni militari in Terrasanta implica l’auspicio di un loro confinamento in un passato irripetibile nella moderna epoca della ragione e del progresso.
La Rivoluzione francese, con la dispersione del Sovrano Ordine di Malta, ultimo erede degli ordini cavallereschi impegnati nella liberazione del Santo Sepolcro, sembra segnare l’effettiva chiusura dell’età delle crociate. In realtà, proprio in quel periodo la crociata diventa una categoria fondamentale della modernità politica.
In un’età in cui le masse appaiono un fattore determinante nella vita pubblica, il ricorso alla forza evocativa e alla capacità mobilitante legate al termine crociata risulta uno degli strumenti di lotta politica cui non si vuole rinunciare. Si inizia così un complesso percorso in cui, attraverso una molteplicità di risemantizzazioni, arriva fino ai nostri giorni l’intreccio tra il politico e il religioso che comporta l’impiego di “crociata”. Il caso di Bush cui ho fatto prima riferimento non è certo isolato.
Uso e abuso di un termine
– Potrebbe fare qualche esempio sull’uso del sintagma “crociata” negli scontri ideologici e politici di ieri?
Uno dei risultati più interessanti della ricerca condotta nel libro mi pare consista nella dimostrazione dell’ampia circolazione del linguaggio della crociata per dare valore religioso, quindi assoluto, ad uno scontro. Ad esempio, la presentazione della prima guerra per l’indipendenza italiana come una crociata è largamente diffusa nei più diversi registri comunicativi (dalla propaganda politica e militare alla scrittura privata; dalle rappresentazioni visive in quadri e stampe ai canti popolari).
Ma proprio durante questa vicenda si verifica una rottura significativa. I capi dell’esercito pontificio, sottolineando esplicitamente il valore propagandistico dell’operazione, decidono di qualificare come “crociata per la nazione” la partecipazione alla guerra di Carlo Alberto senza alcun mandato papale in merito. In tal modo la crociata si secolarizza: il bando passa dal papa alle autorità laicali.
Ma in questo processo si verifica anche un trasferimento di sacralità: l’uso del termine trasferisce sulla nazione la legittimazione religiosa della violenza che deriva dal suo impiego per la liberazione della Terra Santa.
Nel libro cerco di ricostruire la lunga storia di intrecci tra sacralizzazione del politico e politicizzazione del religioso che si dipana attorno all’impiego del sintagma.
– E oggi?
La crociata è uno dei vettori propagandistici della comunicazione messa in campo dal tradizionalismo cattolico. Non solo lo si riscontra nel bando di crociate di preghiere per scopi politici (ad esempio, per la rielezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti), ma anche nella presentazione della crociata come necessaria risposta – da attuare sul piano spirituale (crociata del rosario alle frontiere), ma da portare anche sul piano militare, se necessario – alla presunta minaccia di invasione islamica dell’Occidente.
Il richiamo alla crociata costituisce anche il retroterra culturale dei sovranisti bianchi che periodicamente seminano morte con i loro attentati.
D’altra parte, la propaganda del terrorismo islamista chiama i credenti alla jihad in quanto la proclama come l’unico atteggiamento in grado di fronteggiare la crociata che, dal Medioevo ad oggi, ha rappresentato lo schema del rapporto istituito dall’Occidente con i paesi musulmani. Proprio per questa ragione lo sforzo di fare chiarezza sulle implicazioni effettive dell’impiego del termine nella storia può aiutare a restituire il volto autentico di tutte queste forme di propaganda.
Collocate in prospettiva storica appaiono soltanto usi manipolatori di un vocabolo, che si ritiene abbia valore performativo per condizionare i comportamenti politici di popolazioni ignare dell’ideologia che sottende.