La pandemia ci ha fatto riscoprire l’importanza di chi sta alla porta della chiesa per accogliere e richiamare al rispetto delle norme vigenti.
Nella Chiesa antica esistevano gli ostiari, ossia i custodi della porta (ostium); ostiario era Alessandro, uno dei tre martiri d’Anaunia. Nel medioevo (e in linea di principio fino al 1972) l’ostiariato era invece un grado dell’ordine sacro che fungeva da passaggio intermedio verso il presbiterato.
La pandemia ci ha fatto riscoprire questo antico servizio alla comunità, che è oggi divenuto indispensabile. Non è più possibile, infatti, lasciare le nostre chiese semplicemente (e banalmente) aperte a chiunque: bisogna che ci sia qualcuno che verifichi se chi si avvicina è degno di entrare, in rapporto alle sue condizioni di salute e al modo in cui fa quel che serve per proteggere gli altri (con la mascherina indossata correttamente); che ci sia qualcuno che mi aiuta a compiere un gesto efficace di purificazione, cospargendomi le mani di un liquido igienizzante; che ci sia qualcuno che invita a prendere uno dei posti davvero disponibili.
I nuovi riti di ingresso ci costringono a verificare l’esistenza, in noi stessi e negli altri, di una “pulizia” di carattere sanitario. Ma tanti dei segni che usiamo nella liturgia nascono proprio da necessità pratiche! Il Covid-19 ci ha costretto a lavarci con qualcosa di più forte ed efficace rispetto all’acqua benedetta presente nelle acquasantiere.
Attraverso gli oggetti possiamo vedere i simboli; da questo modo di prepararci fisicamente alla messa può nascere una riflessione più ampia sul nostro atteggiamento e sui nostri rapporti con gli altri, passando quindi dall’impegno per la pulizia alla ricerca della purezza.
C’è però un secondo aspetto di cui tener conto, forse ancora più importante. Abbiamo scoperto quanto sia bello avere qualcuno che ti accoglie alla porta. Un contatto umano (un sorriso, di questi tempi, è chiedere troppo) ci comunica davvero che in quella domus ecclesiae, “casa dell’assemblea”, siamo i benvenuti, uno per uno.
Il fatto di poter e dover individuare, settimana per settimana, gli incaricati di questo servizio ha finito col conferire responsabilità a coloro che garantiscono puntualità, correttezza e gentilezza: il ministero dell’ostiario non si può affidare a chiunque.
Questa innovazione liturgica, imposta dalle circostanze, è insomma una buona pratica da cogliere nel suo significato e nella sua importanza, e non dovrebbe venire dismessa una volta che si ritenesse superata l’emergenza.
Non so se questo nuovo “ostiariato” possa o potrà essere ritenuto un ministero nel pieno senso del termine, ma non credo che questo sia il problema principale.
- da “Vita Trentina”, 20 dicembre 2020.