Il sinodo della Chiesa ortodossa serba ha deciso, il 24 dicembre, di convocare l’assemblea dei vescovi in vista dell’elezione del nuovo patriarca il 18 febbraio 2021.
Il patriarca Ireneo, morto il 20 novembre scorso a novant’anni, è stato sepolto due giorni dopo nella cripta dell’ancora non consacrata chiesa dedicata a San Sava.
Durante i suoi funerali, a cui hanno partecipato i massimi rappresentanti di Serbia e Montenegro oltre ai gerarchi delle Chiese ortodosse, il vescovo Ireneo di Baćka, ha detto: «Il nostro patriarca è stato talora esposto a giudizi e condanne ingiuste, ma nessuna di esse era vera», perché egli «incarnava e portava la pace, era un pacificatore fra i cristiani, fra i popoli e in particolare nel suo popolo».
La sua successione è regolata da una procedura canonica volta a garantire la libertà di scelta dell’assemblea rispetto a condizionamenti esterni, in particolare politici. Utilizzata per la prima volta nel 1990 per l’elezione di Pavle, prevede le figure che presiedono provvisoriamente il sinodo (il membro più anziano) e la diocesi vacante, il tempo di tre mesi in ordine alla convocazione dell’assemblea e una modalità particolare di elezione.
L’assemblea dei vescovi elegge a maggioranza tre nomi che abbiano almeno cinque anni di esperienza episcopale, poi colloca i tre foglietti dentro le pagine di un Vangelo. Durante una liturgia toccherà a un monaco aprire a caso il testo e annunciare il nome dell’eletto.
Le radici nel Kosovo
La pandemia ha fortemente segnato la gerarchia serba. Sono morti di Covid-19 il patriarca Ireneo, l’arcivescovo Anfiloco di Montenegro, il vescovo Milutin e l’anziano gerarca Artemio. Ospedalizzato anche il locum tenens, Grisostomo. Della terna della “sorte” apostolica del 2010 sopravvive ed è considerato anche un possibile candidato Ireneo di Baćka.
L’attenzione è rivolta in particolare alla generazione successiva. È quella che ha conosciuto la vocazione monastica sul finire dell’egemonia socialista nelle aree monastiche abbandonate del Kosovo, partecipando attivamente alla ricostruzione ecclesiale con una particolare attenzione alla tradizione spirituale e al messaggio anticomunista del vescovo Nicola Velimirović (1881-1956) e alla teologia dell’identità serba di Justin Popović (1894-1979).
Molti di essi si sono fatti le ossa nel difficile tempo della guerra del Kosovo (’98-’99) e degli scontri anti-serbi del 2004. Impegnati a rifondare la presenza monastica nelle aree di antica tradizione, hanno assimilato la dimensione martiriale, senza per questo identificarsi nelle pulsioni identitarie-etniche o subalterne al potere politico.
È la generazione che si riconosce nel solenne appello del sinodo del 2018 contro ogni ipotesi di aggiustamento territoriale Serbia-Kosovo, auspicata dal potere politico per chiudere il contenzioso fra i due paesi, ma disposto a sacrificare le aree sacre dell’origine della Chiesa serba, adattandosi a una partizione etnica e rinunciando alla tradizionale compresenza di etnie diverse (serba, albanese, kosovara).
La discussione sul Kosovo e sulle radici storico-ecclesiali che quel territorio custodisce rappresenta il punto più delicato dell’attuale situazione e un riferimento condiviso nella scelta del patriarca.
Tre linee di confronto
In un articolo recente, Jean-Arnault Dérens (Religioscope), ha indicato le tre linee di confronto-conflitto dalla cui composizione potrebbe emergere il profilo del 46° patriarca di Serbia: continuità-discontinuità; ecumenica-radicale; di compromesso.
La continuità significa la conferma dell’attuale vicinanza con la politica in nome della cooperazione e della tradizione ortodossa “sinfonica”. Il segnale più evidente è l’invito che il patriarca Ireneo fece nel 2019 al presidente Aleksandar Vučić ad assistere e a intervenire nei lavori del sinodo del maggio del 2019 in cui rimproverò i vescovi che si erano espressi contro la politica del governo e i suoi indirizzi.
La piena consonanza con Ireneo è visibile anche nel discorso pronunciato alle esequie in cui ha ricordato gli ultimi colloqui e l’indicazione finale «Non preoccuparti, per me andrà tutto bene. Cerca invece di fare tutto il possibile per il Kosovo e la Repubblica Srpska (la regione serba della Bosnia-Erzegovina)».
Il consenso a ridisegnare i confini col Kosovo fa parte dell’attesa dell’attuale maggioranza politica.
La continuità ha anche una dimensione pastorale che privilegia la liturgia all’attività caritativa. L’enorme investimento sulla nuova cattedrale di San Sava non ha convinto tutti i vescovi. Alcuni si sono espressi per dirottare i soldi sui servizi essenziali alle persone in particolare durante questa pandemia.
Due elementi polemici possono ulteriormente illustrare la tensione.
Il primo è la disputa attorno alla distribuzione eucaristica durante la pandemia che, nella tradizione ortodossa, avviene dallo stesso calice e con lo stesso cucchiaino. La difesa della tradizione ha trovato il dissenso di chi ne riconosce la storicità e la contradditorietà rispetto al pericolo sanitario.
Il secondo è la disputa che si è accesa nel 2017 sulla teoria evoluzionistica di Darwin che alcuni preti, sostenuti dai loro vescovi e da diversi laici, hanno proposto di togliere dall’insegnamento scolastico.
La discontinuità alimenta l’autonomia rispetto al potere politico e una pastorale più consapevole dei mutamenti culturali e storico-civili.
Memoria martiriale
Nella cifra ecumenica è compresa un’attenzione partecipe alla cultura contemporanea e internazionale e uno sguardo favorevole all’Occidente.
All’interno della grande disputa ortodossa relativa al riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ucraina non c’è unanimità all’identificazione con la posizione russa finora espressa dalla dirigenza ecclesiale. Da un lato, si tende ad abbassare la rilevanza ecclesiale dell’autocefalia, riconducendola ad elemento canonico e non dogmatico, dall’altro, si avverte la fecondità dei legami con la Grecia e Costantinopoli. Si percepisce la possibilità che anche nel Montenegro le tendenze nazionali possano far rifiorire la questione, come del resto avviene anche in Macedonia del Nord.
Il contrasto con la “radicalità” non si gioca tanto rispetto alle radici ecclesiali nel Kosovo, quanto nel tratto spirituale di tradizione martiriale. L’identità serba è segnata dalla memoria della battaglia di Vidovdan (28 giugno 1389) in cui un angelo appare al principe serbo Lazar Hrebeljanović, che guidava la coalizione dei principi cristiani contro i turchi, per scegliere fra la vittoria in battaglia o piuttosto il Regno dei cieli. Una scelta di martirio che determina la vocazione spirituale del popolo serbo.
La posizione di compromesso o di neutralità fra gli schieramenti è sempre possibile. Le singole posizioni hanno alle spalle nomi e cognomi precisi.
La continuità potrebbe avere i nomi di Ireneo di Baćka (che ha celebrato i 30 anni di episcopato) e di Porfirio di Zagabria.
La novità potrebbe essere espressa da Gregorio di Düsseldorf e da Massimo di California.
La posizione ecumenica potrebbe essere resa evidente da Ireneo d’America e quella radicale da Giovanni di Budva.
Il compromesso avere il nome di Ignazio di Breničevo e di Crisostomo di Saraievo.
L’assemblea e la “sorte”, che richiama la scelta di Mattia per far parte del collegio apostolico (At 1,25-26), indicheranno il successore di Ireneo.