Persecuzioni: forma della fede

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rapporto annuale

Le persecuzioni contro i cristiani non sono più un allarme, sono un’emergenza, un fenomeno crescente, che richiede attenzione e dà una figura propria alla testimonianza cristiana di oggi. All’Angelus del 26 dicembre papa Francesco diceva: «Oggi preghiamo per quanti soffrono persecuzioni per il nome di Gesù. Sono tanti, purtroppo. Sono più che nei primi tempi della Chiesa».

E il 27 aprile: «Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa». Sono stimati in 340 milioni i cristiani sottoposti a vessazioni e violenze.

Negli ultimi mesi una decina di rapporti e gli studi convergono  nella costatazione di una crescente pressione persecutoria: Aiuto alla Chiesa che soffre, Pew Research Center, Civicus Monitor, Centro diritti umani (Corea), Virtual 2020 Ministerial to Advance Religious Freedom, Commissione americana sulla libertà religiosa, Open Doors, Fides, Governo della Repubblica federale tedesca, OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), Amnesty International.

340 milioni a rischio

La pressione sui cristiani è coestensiva alla difficoltà rispetto a tutte le minoranze e segnala la riduzione degli spazi di libertà per tutti. Nel rapporto del Civicus Monitor (8 dicembre) si constata che «nel 2019, rispetto all’anno precedente, si sono raddoppiate le persone che vivono in paesi ove le libertà civili sono minacciate. Quasi il 40% della popolazione mondiale vive in paese considerati repressivi. Nel 2018 era il 19%. Per contrasto, il 3% della popolazione mondiale vive in paesi dove i diritti fondamentali sono protetti e rispettati. L’anno prima era il 4%.

Su 196 paesi il rapporto ne classifica 24 come “bloccati”, 38 come “repressivi” e 49 il cui spazio di vita civile è “ostruito”. Solo in 43 paesi lo spazio civile è considerato “aperto” e per 43 “ristretto”. Vi sono intere popolazioni sottoposte alla repressione. Il rapporto del governo tedesco ricorda gli uiguri e i buddisti in  Cina e gli yazidi in Iraq. Si possono aggiungere i rohingya in Myanmar, i popoli indigeni in Amazzonia e molti altri.

La forma della persecuzione può essere violenta e devastante (“a martello”) o piuttosto “a pressione”, con un progressivo restringimento della libertà di fede.

Vi sono tre motori attivi in molte parti del mondo: il tribalismo esclusivo, il laicismo estremo, i poteri abusivi. Gli attori maggiori delle persecuzioni nei due decenni scorsi sono il fondamentalismo islamico e l’islamismo statuale, il radicalismo religioso di tipo nazionalista, l’assenza dell’autorità dello stato con la criminalità diffusa e organizzata, la tradizione antireligiosa dell’ideologia comunista.

Vi è chi identifica anche un quinto attore, seppur con caratteristiche assai diverse: la cristianofobia dei paesi occidentali, la declinazione laicista in funzione anti-cristiana. Nel 2019 mons. A. Camilleri, ex sottosegretario della Segreteria di stato vaticana ha denunciato «la crescente tendenza, persino nelle democrazie consolidate, a criminalizzare o a penalizzare i capi religiosi che presentano i principi base della loro fede, specialmente quelli che riguardano gli ambiti della vita, del matrimonio e della famiglia».

Nel rapporto dell’ufficio per i diritti umani (ODIHR) dell’OSCE si conteggiano in 7.000 gli incidenti diretti contro persone  e istituzioni e 577 episodi in odio contro i cristiani e le istituzioni religiose. La direttrice, Madeleine Enziberger, annota: «Purtroppo, l’intolleranza con i suoi effetti marginalizzanti è un fenomeno che è anche una realtà diffusa nella vita quotidiana dei cristiani europei».

Covid e social

Per il 2020 le variabili che segnano le persecuzioni o le pressioni sulla fede cristiana sono state la pandemia del Covid-19, l’uso esteso dei social sul web e le leggi anti-blasfemia.

Come sottolinea lo studio dell’Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) (Libera i tuoi prigionieri) ci sono tre fattori che hanno provocato un peggioramento della situazione: la chiusura parziale o totale dei tribunali che ha ritardato le sentenze (come in Pakistan e India); l’aumento della vigilanza dei governi autoritari sulla partecipazione alle celebrazioni liturgiche (come in Cina); la crescita dello spazio di azione di gruppi militanti, in particolare islamisti, verso i cristiani (come in Nigeria o in Mozambico). Qualche difficoltà anche per le Chiese d’Occidente viene rilevata da mons. P.R. Gallagher in occasione del Virtual 2020 Ministerial to Advance Religious Freedom (16 novembre): «Le autorità civili dovrebbero essere consapevoli delle gravi conseguenze che i protocolli (legislativi) potrebbero creare per le comunità religiose o di credo, che svolgono un ruolo importante nell’affrontare la crisi non solo grazie al loro sostegno attivo nel campo dell’assistenza sanitaria, ma anche al loro supporto morale e ai loro messaggi di solidarietà e speranza». In Bangladesh e in Somalia la popolazione cristiana è stata accusata di essere responsabile della trasmissione della pandemia. In India la sperequazione è visibile  negli aiuti umanitari da cui, spesso, vengono esclusi i cristiani e le minoranze.

Il documento del governo tedesco segnala: «In connessione con le restrizioni emanate  per la pandemia, sono state segnalate discriminazioni sulla base dell’appartenenza religiosa in vari paesi» per limitare la libertà di parola, alimentare l’antisemitismo o l’odio alle popolazioni indigene.

Nei gruppi sociali o nelle mentalità diffuse agiscono in forma deleteria i social. La rete dei social ha un ruolo sempre maggiore nelle denunce contro atti o parole considerate offensive per la religione maggioritaria (islam in specie). Alcune funzionalità dei telefonini o la divulgazione delle immagini decontestualizzate moltiplicano il numero delle persone implicate. In Indonesia è stata lanciata una piattaforma (Smart Pakem) che permette di segnalare casi di eresia religiosa.

Il rapporto del governo tedesco insiste: «L’incitamento all’odio on-line sta producendo un impatto devastante sulla libertà di religione e di credo. È spesso legato ad eventi specifici e intensifica conflitti di lunga data. In Myanmar  l’incitamento all’odio contro i rohingya sui social ha esasperato il conflitto etnico».

Blasfemia

Particolare rilevanza assume la legislazione anti-blasfemia. Asia Bibi, cristiana pachistana, salvata fortunosamente dalla morte per blasfemia, ha scritto nella prefazione allo studio dell’ACS: «Sono stata condannata a morte in Pakistan per un crimine che non ho commesso. Sono stata arrestata e messa in isolamento per evitare che la taglia posta sulla mia testa spingesse qualcuno ad uccidermi… Migliaia di estremisti hanno paralizzato il paese perché volevano la mia morte… e tutto perché sono cristiana».

Per la Commissione americana sulla libertà religiosa  (USCIRF), sono 84 i paesi che hanno adottato una legge punitiva per un supposto oltraggio alla religione. Fra questi, il Pakistan, l’Iran, l’Egitto e la Russia.

L’antropologo Paul Rollier commenta: «Alcuni pachistani che hanno ucciso i “bestemmiatori” sono oggi considerati come dei santi da una gran parte della popolazione». La Mauritania punisce la blasfemia con la morte. Il Marocco ha raddoppiato le pene e le multe per lo stesso reato.

Il rapporto del governo tedesco denuncia: «le leggi sulla blasfemia è contro le conversioni. In più di 70 paesi esistono leggi sulla blasfemia che violano i diritti umani. Servono a discriminare le minoranze religiose e a limitare la libertà di espressione. Anche il diritto alla conversione è limitato in molti paesi. Il diritto di passare da una religiosa all’altra o a nessuna religione è il cuore della libertà religiosa. Gli stati devono consentire alle persone di scegliere liberamente la propria religione o visione del mondo. I convertiti, in particolare, soffrono di restrizioni statali e sociali e sono perseguitati in molti paesi. 99 stati  hanno leggi che puniscono i gruppi religiosi che annunciano (proselitismo) la propria fede ad altri. La missione, tuttavia, fa parte della libertà religiosa».

Corea del Nord

Crescenti limiti alla libertà di fede si ritrovano nei processi formativi scolastici, come anche in antiche prassi claniche come il sequestro di bambine e donne per obbligarle a sposare uomini di altra fede. C’è un allargamento geografico inquietante relativamente alle persecuzioni: dai territori cinesi al subcontinente indiano, fino al Medio Oriente, a tutta l’Africa e ad alcuni paesi dell’America Latina.

Prima di accennare più estesamente a tre dei rapporti citati, vanno ricordati due casi di particolare gravità: la Corea del Nord e gli effetti della guerra in Siria e Iraq. La Corea del Nord è da decenni al vertice delle denunce, ma le informazioni sono scarsissime per la chiusura ermetica di quello stato alla comunicazione internazionale. Da quando si è installato il regime comunista nel 1948 le persecuzioni nel paese sono le più dure al mondo. Ogni attività religiosa è illegale. Quando i cristiani vengono riconosciuti, sono catturati, torturati e inviati ai campi di lavoro dei prigionieri politici. Sarebbero da 50.000 a 70.000 i detenuti nei campi. Il 75% muore per le violenze e le torture.

Un centro per i diritti dell’uomo di sede a Seul ha potuto raccogliere informazioni da 1.234 persone. Trova conferma l’invio nei campi di quanti sono coinvolti in attività religiose. Le violenze anti-cristiane si sono intensificate dopo il 2014. Kim Jong-un ha chiesto di «arrestare le persone che hanno contatti con il cristianesimo», chiedendo aiuto alla Cina per trovarle anche tra di fuggitivi nel paese vicino. È sorprendente che in questo clima siano in crescita le stime circa il possessori di una Bibbia fra gli abitanti del paese.

Più nota la disastrosa situazione in Siria e in Iraq dopo le recenti guerre. In Siria, 14 milioni (la metà della popolazione) hanno dovuto fuggire dalle proprie case e molti anche dal proprio paese, verso il Libano, la Turchia e, chi può, verso il Nord America, l’Europa e l’Australia. In Iraq se ne sono andati oltre mezzo milione di cristiani.

Prigionieri

Ai prigionieri di opinione religiosa è dedicatolo studio dell’ACS Libera i tuoi prigionieri. L’ingiusta detenzione è una delle forme prevalenti, durature e gravi di persecuzione. In quest’ambito si collocano i prigionieri di coscienza, quanti sono soggetti a detenzione arbitraria, i condannati in un giudizio ingiusto o soggetti a condizioni disumane, a torture e a pressioni per la loro conversione. Fra i paesi colpiti vi sono l’Egitto, la Corea del Nord, il Myanmar e l’Iran.

Ma l’attenzione è volta in particolare alla Cina, all’Eritrea, alla Nigeria e al Pakistan. Cito solo i casi maggiori fra quelli ricordati. In Cina, il vescovo (sotterraneo) di Baoding, James Su Zhimin, pur non essendo mai stato condannato, è in carcere dal 1996. Le autorità si sono rifiutate di confermare alla sua famiglia se sia ancora vivo o meno. E questo nonostante l’Accordo con la Santa Sede (2018 e 2020) per la nomina dei vescovi. In Eritrea il caso più grave è quello del rimosso patriarca della Chiesa eritrea, Abune Antonios. Arrestato nel 2004, sostituito nel 2007 e, infine, dichiarato scomunicato dai preti filogovernativi nel 2017.

Per la Nigeria si raccomanda il caso di Leah Sharibu, l’unica delle studentesse (un centinaio) rapite da violenti islamisti di Boko Haram nel 2018 e mai rilasciata per la sua persistente volontà di non cedere ad una conversione forzata. Qualche mese fa secondo alcune testimonianze avrebbe partorito, essendo stata costretta a convertirsi e a sposare un comandante delle bande islamiche. Per il Pakistan la persona ricordata è Maira Shambaz, 14 anni, rapita, stuprata, costretta a convertirsi e a un matrimonio fittizio. Nonostante tutte le prove portate dalla famiglia, non è ancora ritornata a casa.

Il rapporto annuale di Open Doors testimonia la crescita delle persecuzioni anticristiane nel mondo ricordando, in una lista di 50, i dieci paesi più pericolosi: Corea del Nord, Afghanistan, Somalia, Libia, Pakistan, Eritrea, Yemen, Iran, Nigeria, India, Iraq, Siria. 340 milioni i cristiani perseguitati. Gli uccisi passano da 2.983 dell’anno scorso a 4.761. Cala il numero delle chiese distrutte: da 9.488 a 4.488 (tenendo conto che quelle distrutte sono ricostruite solo in minima parte). Calano, seppur di poco, i detenuti. Quest’anno sono 4.277. Erano 4.811. In 34 dei 50 paesi registrati la persecuzione è in crescita: soprattutto Nigeria, Comore e Colombia.

I morti registrati sono soprattutto nel continenti africano, per mano di fondamentalisti islamici. I paesi più colpiti sono Burkina Faso, Mali, Niger, Nigeria, Camerun, Congo e Mozambico. Sfuggono alle statistiche tanti cristiani la cui morte non è stata segnalata, o quelli resi feriti o indeboliti (come i genitori delle ragazze sequestrate), o le vittime a causa della sistematica discriminazione rispetto al vitto, all’acqua e alle cure mediche.

I più colpiti

Infine, l’Agenzia Fides ricorda i missionari uccisi nel 2020. Sono 20: 8 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 2 seminaristi e 6 laici. Il numero maggiore è in America (8), Africa (7), Asia (3), Europa (2). Dal 2000 al 2020 sono stati uccisi nel mondo 535 operatori pastorali, fra cui 5 vescovi. Molte delle vittime sono state uccise durante tentativi di rapina o di furto, o sono stati coinvolti in sparatorie o atti di violenza. Il rapporto ricorda anche i molti preti, operatori pastorali e vescovi morti a causa della pandemia. In Europa sono più di 400. I casi italiani di morte violenta sono quelli di don Roberto Malgesini, assassinato a Como il 15 settembre, e fr. Leonardo Grasso (Riposto, Catania), morto il 5 novembre.

Dopo la drammatica stagione dei regimi dittatoriali del ’900 che provocarono circa un milione e mezzo di martiri, il nostro secolo conferma il cristianesimo come la religione più perseguitata del pianeta.

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Un commento

  1. Claudio Bottazzi 16 gennaio 2021

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