Reati sessuali: gratuito patrocinio per tutti

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Nel nostro ordinamento giuridico, specialmente negli ultimi anni, è stato dato grande spazio a provvedimenti tesi a garantire, alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori, una risposta più efficace nei confronti dei reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale.

Di qui la volontà di approntare, anche mediante l’istituto del patrocinio a spese dello Stato a prescindere dai limiti di reddito, un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti.

La scelta di accordare il beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato sganciandolo dal presupposto della non abbienza delle persone offese dai reati sessuali, rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità e neppure contrasta con l’articolo 24-comma terzo della Costituzione che assicura ai «non abbienti» i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La ratio della relativa disciplina, contenuta nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giudizio (D.p.r. n. 115 del 20 maggio 2002), è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.

È quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la prima sentenza depositata nel nuovo anno (la n. 1 dell’11 gennaio 2021).

A tutela della dignità delle donne e dei minori

Con la citata sentenza, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nel dicembre 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, in relazione all’articolo 24-comma terzo della Costituzione secondo il quale i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione sono assicurati ai «non abbienti» con appositi istituti.

La questione di legittimità costituzionale si era posta nel corso di un procedimento penale nel quale la parte offesa per il reato di violenza sessuale aveva chiesto di beneficiare del gratuito patrocinio nonostante fosse titolare di un reddito superiore al limite stabilito dalla legge. Secondo il giudice remittente, assimilare tra loro situazioni diverse e non equiparabili (soggetti «non abbienti» e soggetti «abbienti») significherebbe violare il principio costituzionale di eguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

La pronuncia risulta essere di notevole importanza per rendere sempre più efficace il contrasto alla violenza di genere e per tutelare i minori da ogni forma di abuso sessuale.

Che cos’è il gratuito patrocinio

Il patrocinio a spese dello Stato, comunemente noto come «gratuito patrocinio», è un istituto che consente ai soggetti meno abbienti di agire e di difendersi di fronte all’autorità giudiziaria.

In particolare, è assicurato il patrocinio:

  • nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate;
  • nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

Grazie a questo istituto, le spese relative all’avvocato sono a carico dello Stato. Pertanto, il difensore riceve il compenso non dal cliente – che non avrebbe le possibilità economiche per remunerarlo – ma dallo Stato. Il legale non può chiedere compensi o rimborsi da parte del cliente. La violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare professionale.

Scelta del difensore

L’avente diritto al gratuito patrocinio può nominare un difensore scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di Corte di appello nel quale ha sede il magistrato competente a conoscere nel merito il processo o il magistrato davanti al quale il processo pende.

Se si procede avanti la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, o la Corte dei conti, gli elenchi sono quelli istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di Corte di appello del luogo dove ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti ordinari, il richiedente deve essere titolare diun reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore (attualmente) a euro 11.493,82. Tale importo viene periodicamente aggiornato.

Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), o siano soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero soggetti ad imposta sostitutiva.

Gratuito patrocinio senza limiti di reddito

Esistono, tuttavia, circostanze in cui il legislatore ritiene di estendere il beneficio del gratuito patrocinio a prescindere dal reddito posseduto dalla persona offesa.

In particolare, il comma 4-ter dell’articolo 76 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giudizio (D.p.r. n. 115 del 20 maggio 2002) stabilisce che la persona offesa da determinati reati di natura sessuale «può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti».

In più occasioni la Corte di Cassazione ha stabilito che l’espressione contenuta nella norma «può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti» va intesa come «deve essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti». Con la conseguenza che, a differenza dei procedimenti ordinari, il giudice non deve compiere nessuna analisi delle condizioni reddituali della persona offesa da questo genere di reati.

La finalità della norma, infatti, è quella di assicurare alle vittime un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale.

Sono ammesse al gratuito patrocinio, senza limiti reddituali, le persone offese dai seguenti reati:

  • maltrattamenti in famiglia (art. 571 c.p.),
  • pratiche di mutilazione genitale (art. 583-bis),
  • violenza sessuale (609-bis c.p.),
  • atti sessuali con minorenne (609-quater c.p.),
  • violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.),
  • atti persecutori (612-bis c.p.).

Sono inoltre essere ammessi al gratuito patrocinio, senza limiti reddituali, i minori offesi dai seguenti reati:

  • riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.),
  • prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.),
  • pornografia minorile (art. 600-ter c.p.),
  • iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.),
  • tratta di persone (art. 601 c.p.),
  • acquisto e alienazione di schiavi (art.602 c.p.),
  • corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.);
  • adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.).
La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, con la recente citata sentenza, dichiara che le ripetute affermazioni della Corte di Cassazione che rendono «diritto vivente» il principio secondo il quale il beneficio del gratuito patrocinio spetta alle persone offese dai soprarichiamati reati a prescindere dalla situazione reddituale, da un lato, non è né irragionevole né lesivo del principio di parità di trattamento, dall’altro, neppure viola l’articolo 24 della Costituzione che assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Per il Giudice delle leggi, se è vero che vanno «assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», è altrettanto vero che tale parametro «non può essere distorto nella sua portata, leggendovi una preclusione per il legislatore di prevedere strumenti per assicurare l’accesso alla giustizia, pur in difetto della situazione di non abbienza, a presidio di altri valori costituzionalmente rilevanti», come quelli riferiti alla libera autodeterminazione della persona nell’ambito della propria intimità sessuale e alla tutela della dignità della persona nella sua dimensione sessuale.

Nelle motivazioni della sentenza, la Corte Costituzionale ricorda come, nel preambolo della legge 23 aprile 2009 n. 38, che ha dettato misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, si richiami «la straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati».

Non diverse le considerazioni sviluppate nel preambolo della legge 15 ottobre 2013 n. 119, che ha dettato norme urgenti per il contrasto della violenza di genere.

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