La nuova edizione italiana del Messale Romano sembra dimostrare maggiore attenzione al linguaggio inclusivo del genere femminile. Una delle sue novità, infatti, è quella di aver aggiunto sorelle nei testi in cui nell’originale latino compare solo fratres (fratelli).
«Fratelli e sorelle»: alcune volte…
Così, nel primo e più utilizzato invitatorio all’atto penitenziale, a riconoscere i propri peccati per celebrare degnamente i santi misteri non sono solo i fratelli, ma anche le sorelle.
Nella formula della confessione, alle due ricorrenze di fratelli si sono aggiunte le sorelle: «confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle»; «e supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle, di pregare…».
Anche la monizione rivolta all’assemblea al termine della presentazione dei doni è indirizzata ai fratelli e alle sorelle.
Nell’intercessione per i defunti delle preghiere eucaristiche si chiede al Signore di ricordarsi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle.
L’invito alla preghiera per la benedizione delle ceneri all’inizio della Quaresima e per la processione in occasione della domenica delle Palme è rivolto non più solo ai fratelli carissimi, ma ai fratelli e alle sorelle.
Nel corso della Veglia pasquale e in tutti i formulari per la preghiera universale l’esortazione alla preghiera è rivolta sia ai fratelli che alle sorelle.
Basta, questo, per affermare che finalmente anche il linguaggio liturgico prende atto che nella Chiesa va data giusta e ovvia visibilità alla presenza femminile? Basta questo, perché le donne siano riconosciute ed espresse nella preghiera della Chiesa?
Ne dubito fortemente.
…ma non sempre
Intanto, non sembra del tutto rispettato il criterio che si sarebbero dati i revisori del messale, cioè di aggiungere sorelle quando nell’originale latino ci sono solo i fratelli.
Ad esempio, con le collette opzionali (anno A e anno C) della festività del Corpus Domini si prega perché nella comunione con Dio e con i fratelli (ma non con le sorelle) camminiamo verso il convito del suo regno, e perché impariamo a condividere con i fratelli (ma non con le sorelle) i beni della terra e quelli del cielo.
Nel rito della pace, la formula opzionale «In Cristo, che ci ha resi tutti fratelli con la sua croce, scambiatevi il dono della pace», perché non potrebbe essere modificata «In Cristo, che ci ha resi tutti fratelli e sorelle con la sua croce, scambiatevi il dono della pace»?
Nel dare l’annuncio del giorno di Pasqua dopo la lettura del Vangelo, nella festività dell’Epifania del Signore, il diacono o il presbitero continuano a rivolgersi solo ai fratelli carissimi e non anche alle sorelle carissime.
In una benedizione solenne proposta per la festività dell’Epifania del Signore si dice «vi conceda il Signore di essere luce per i vostri fratelli», ma non per le vostre sorelle.
Nella preghiera eucaristica «per le Messe per varie necessità IV» si chiede a Dio di aprire» i nostri occhi perché vediamo le necessità dei fratelli». Come sarebbe bello che i nostri occhi fossero aperti per vedere «le necessità dei fratelli e delle sorelle»!
Nella «preghiera eucaristica per la Messa dei fanciulli I» i termini donne, figlie, sorelle o amiche non compaiono mai: Dio è benedetto «per gli uomini che abitano la terra»; l’amore di Dio è grande «per tutti gli uomini»; si invoca Dio di «guardare con bontà i nostri fratelli e i nostri amici». Ho provato ad aggiungere donne là dove c’è solo la parola uomini e ad aggiungere sorelle e amiche là dove compaiono solo i fratelli e gli amici: non mi sembra proprio di aver appesantito le frasi in modo stucchevole.
Nella «preghiera eucaristica per la Messa dei fanciulli II», si benedice Gesù Cristo che ci insegna ad amarci tra noi come fratelli e che ci ha promesso il dono dello Spirito perché viviamo come figli di Dio. Si chiede inoltre a Dio di benedire e proteggere genitori, fratelli e amici. Aggiungendo sorelle a fratelli, figlie di Dio a figli di Dio, sorelle e amiche a fratelli e amici non credo che la preghiera risulterebbe cacofonica.
Nella «preghiera eucaristica per la Messa dei fanciulli III» si prega per i nostri fratelli che sono morti. È forse l’unica volta in cui, nel pregare per le persone che si sono addormentate nella speranza della risurrezione, non sono nominate le sorelle.
Perché uomini e non anche donne ?
Ma se davvero il nuovo messale avesse voluto fare proprio un linguaggio liturgico più rispettoso della componente femminile del popolo di Dio, avrebbe dovuto compiere un’operazione ben più radicale, utilizzando un linguaggio inclusivo anche nelle parti del messale dove si parla solo di uomini e non anche di donne, solo di figli di Dio e non anche di figlie di Dio.
Quanto a uomini/donne l’incipit del Gloria invoca la pace in terra agli uomini, amati dal Signore. Che cosa impedisce che la pace sia invocata in terra agli uomini e alle donne che il Signore ama?
Nella preghiera eucaristica «per le Messe per varie necessità IV», quando si arriva ai defunti si dice a Dio: «Ricordati anche dei nostri fratelli e delle nostre sorelle». Però, poco prima si chiede che «tutti gli uomini si aprano a una speranza nuova». Non credo che si possa dire che l’invocazione risulta sovraccaricata se la si formulasse così: «La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini e tutte le donne si aprano a una speranza nuova».
Sempre nella preghiera eucaristica «per le Messe per varie circostanze IV» ci si rivolge a Dio, santo e degno di lode, che ama gli uomini ed è «sempre vicino a loro nel cammino nella vita». Non sarebbe stato più rispettoso delle donne credenti proporre: «Veramente santo sei tu e degno di gloria, Dio che ami gli uomini e le donne, sempre vicino a loro nel cammino della vita»?
Nella preghiera eucaristica «per le Messe per varie necessità III» ci si rivolge a Dio per ricordare che, per mezzo di Gesù, gli uomini creati per la gloria del suo nome, redenti con il Sangue della sua croce e segnati dal sigillo dello Spirito, sono raccolti in una sola famiglia: perché non dire che le donne, al pari degli uomini, sono raccolte in una sola famiglia, sono redente con il Sangue della croce e segnate dal sigillo dello Spirito?
Nella «preghiera eucaristica IV» Dio, Padre santo, è lodato per aver creato l’uomo a sua immagine: che cosa impedisce, nel tradurre in preghiera Gen 1,27, di lodare Dio, Padre santo, per aver creato l’uomo e la donna a sua immagine? Sarebbe stata un buona occasione per riportare il senso di Gen 1,27, dove «immagine di Dio» sono «maschio e femmina».
Nella messa vespertina della vigilia della festività della Pentecoste sulle offerte il presbitero che presiede la celebrazione dell’eucarestia prega Dio Padre perché la forza dei doni dello Spirito susciti nella Chiesa quell’amore che rivela a tutti gli uomini la verità del suo mistero di salvezza. L’aggiunta «e a tutte le donne» suona male? A me pare proprio di no.
Perché figli e non anche figlie?
Quanto a figli/figlie, nell’intercessione escatologica della «preghiera eucaristica IV», si prega il Padre misericordioso di concedere «a tutti noi, tuoi figli, di ottenere con la beata Maria… l’eredità eterna nel tuo regno»: perché non nominare anche le figlie del Padre misericordioso?
Nella preghiera eucaristica «per le Messe per varie necessità IV» si dice che Dio Padre si prende cura di tutti i suoi figli. Ma certamente anche di tutte le sue figlie: diciamolo!
Relativamente al rito della pace, si è ritenuto di sostituire solo il termine «segno» con il termine «dono» nell’invito «Scambiatevi il dono della pace», lasciando inalterata la seconda bella formula opzionale «Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna». Perché non modificare la formula nei termini che seguono: «Come figli e figlie del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna»?
Perché nell’orazione che precede la benedizione e l’imposizione delle ceneri si chiede a Dio di benedire solo questi tuoi figli e non anche queste tue figlie ?
E si potrebbe, in fatto di carenza di linguaggio inclusivo, continuare a lungo a «fare le pulci» al «nuovo messale».
Proclamazione androcentrica della Parola
Ma è soprattutto nel rito della messa riguardante la «liturgia della Parola» che il linguaggio inclusivo è del tutto incomprensibilmente assente.
Nella proclamazione della «seconda lettura» costituita da brani del Nuovo Testamento diversi dai Vangeli, i testi scritturistici continuano ad essere inesorabilmente rivolti ai soli fratelli, nonostante la normale assemblea liturgica sia costituita da fratelli e sorelle.
In un’assemblea quasi sempre costituita in grande maggioranza da donne questo suona un po’ ridicolo.
Due soli esempi, tra le centinaia che si potrebbero segnalare!
Per domenica 31 gennaio 2021 (IV domenica tempo ordinario B) la seconda lettura propone 1Cor 7,32-35. Perché nell’incipit del testo ci si dovrebbe rivolgere solo ai fratelli e non anche alle sorelle, tanto più che nell’edizione critica Nestle-Aland del Nuovo Testamento non c’è né «fratelli» né «sorelle»?
Idem dicasi per domenica 21 febbraio 2021 (I domenica di Quaresima B) per la quale la seconda lettura propone 1Pt 3,18-22 che prende avvio da un carissimi inesistente nell’originale.
A chi, dopo adeguata previa preparazione e con l’approvazione del presbitero che presiede la celebrazione eucaristica e che recepisce eventualmente un suggerimento in tal senso del consiglio pastorale parrocchiale, si presta a proclamare queste due letture che cosa impedisce di rivolgersi il 31 gennaio all’assemblea con un bel fratelli e sorelle e il 21 febbraio con un ancor più amichevole carissimi fratelli e carissime sorelle? Senza attendere altri vent’anni per avere un messale che abbandoni ogni linguaggio antropocentrico o sessista.
Una riflessione finale
Il 22 ottobre 1963, nell’ambito della celebrazione del concilio Vaticano II, il cardinale Leo Suenens, in un suo intervento dedicato alla struttura carismatiche della Chiesa e dei doni conferiti dallo Spirito Santo a tutti i credenti (uomini e donne), auspicò che al Concilio potessero partecipare, quali uditrici, anche delle donne, «quae – disse con una certa ironia –, ni fallor, dimidiam partem humanitatis constituunt».
Al suo intervento fece seguito, il 24 ottobre 1963, un’analoga sollecitazione del vescovo melchita Georges Hakim, il quale, prendendo in esame lo schema della costituzione sulla liturgia, invitò l’assemblea conciliare a riflettere sul fatto che non vi fossero citate le donne: «grave oblivium humiliter denuntiare vellem».
Il 28 ottobre 1964 il vescovo canadese Gérard Coderre fece un intervento, a nome di 40 padri conciliari canadesi, sull’eguale dignità degli uomini e delle donne, scorgendo un segno dei tempi nel riconoscimento della dignità della donna. Nell’occasione affermò con decisione che «et vir et mulier totam, perfectam et integram naturam humanam modo valde diverso et specifico possident. In hac diversitate divitiae humanae naturae perficiuntur».
A quando un’edizione italiana del Messale Romano che renda pienamente visibili le donne anche in ambito liturgico, utilizzando un linguaggio davvero inclusivo che sia rispettoso della loro inalienabile dignità e che le consideri nella loro soggettualità?
Quando avremo un libro liturgico che testimoni la profonda unità che lega la legge del pregare (lex orandi) alla legge del vivere (lex vivendi), recependo quanto il paragrafo 32 della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium afferma in sede di legge del credere (lex credendi): «Nessuna discriminazione in Cristo e nella Chiesa quanto a razza o nazionalità, condizione sociale o sesso, perché non c’è più Giudeo né Gentile, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo (Gal 3,28)»?
Non è certo con il solo strumento di un linguaggio liturgico inclusivo che le donne potranno scrollarsi di dosso il ruolo marginale loro appiccicato nella Chiesa da molteplici forme di maschilismo clericale. È però altrettanto vero che un linguaggio liturgico inclusivo concorre in modo rilevante a plasmare atteggiamenti, percezioni e comportamenti.
È attraverso il linguaggio che noi esseri umani rappresentiamo la realtà in cui viviamo, ed è attraverso tale rappresentazione che contribuiamo a consolidarla così com’è o, al contrario, a modificarla.
Il linguaggio rimane comunque sessista.
Non si tiene conto delle realtà neutre.
Non si considerano quelle persone che si sentono non maschi e non femmine.
Non si dovrebbe dire “fratelli e sorelle” ma “parenti con genitori comuni” in questo modo si sarebbe rispettosi di tutti.
Certo non si può ottenere tutto subito ma col tempo…
Negli anni ’90, quando mi occupavo della Caritas Italiana, ricordo che dovevamo organizzare un convegno con le Caritas dei paesi africani anglofoni, e a tutti quanti dovevano preparere i testi delle varie preghiere e liturgie fu raccomandato di “usare un linguaggio non sessista”: raccomandazione per altri già allora consueta, ma poco abituale per noi italiani. La nuova versione del Messale ne è conferma, anch’io avevo notato che non dappertutto i fratelli sono affiancati dalle sorelle, gli uomini dalle donne, meno ancora i figli dalle figlie. Qualche celebrante compie un piccolo “abuso liturgico” per rimediare alle mancanze e alle sviste. Addirittura anteponendo, qualche volta, le sporelle ai fratelli, le donne agli uomini…
Oso sperare che l’apertura dei ministeri del lettorato e dell’accolitato anche all’ “altra metà del cielo” segni un passo avanti verso la piena accoglienza e valorizzazione nella chiesa delle sorelle, delle donne, delle figlie. Ben sapendo che sraà lungo il cammino verso una chiesa un po’ meno maschilista, un po’ meno clericale.