Lunedì 8 febbraio 2021 la nostra Comunità è stata chiamata a compiere un atto di fiduciosa obbedienza alla Chiesa, rinnovando la propria gratitudine a papa Francesco per la paterna sollecitudine con cui ha voluto intervenire per curare le ferite di una stagione critica della nostra vita comune.
Il passo intrapreso con sofferta trepidazione è la chiusura della nostra Fraternità a Cellole di San Gimignano (SI), aperta nell’aprile 2013.
Una fraternità che, nel corso di questi quasi otto anni della sua esistenza si è rivelata ricca di doni soprattutto per noi, fratelli e sorelle di Bose, prima ancora e ben di più di quanto ha potuto e saputo offrire ai tanti amici e ospiti che l’hanno frequentata.
Solo una ricerca di rinnovata sequela del Signore anche in questi giorni di prova motiva questa scelta dolorosa. Dal giugno dello scorso anno, la Comunità ha atteso invano che fr. Enzo Bianchi obbedisse al Decreto singolare del 13 maggio, approvato in forma specifica da papa Francesco che, per il bene della Comunità, disponeva tra gli altri provvedimenti anche il suo allontanamento a tempo indeterminato da Bose e dalle sue Fraternità. In questi lunghi mesi il Delegato Pontificio p. Amedeo Cencini ha operato non pochi tentativi volti a rendere più agevole a Fr. Enzo Bianchi l’esecuzione del suddetto Decreto, agendo secondo la pazienza insegnata dal Vangelo, in forza del mandato ricevuto dalla Santa Sede, nel rispetto della giustizia e, soprattutto, della sofferenza di tutte le persone coinvolte.
Siccome tra le motivazioni addotte da fr. Enzo Bianchi per sottrarsi alla fattiva esecuzione del Decreto e spiegare il suo restare a Bose, nei medesimi locali da lui abitati da oltre un decennio, vi era l’indisponibilità a recarsi in un altro monastero e l’asserita impossibilità a trovare un altro luogo adeguato, la Comunità ha acconsentito alla richiesta suggerita dal Delegato pontificio di rinunciare alla propria Fraternità di Cellole, richiamando a Bose o in altre sue Fraternità i fratelli fino ad oggi presenti a Cellole e cedendo in comodato d’uso quegli immobili, così che fr. Enzo vi si possa trasferire prima dell’inizio della Quaresima, accompagnato da alcuni membri professi che – nella condizione canonica di extra domum ed esonerati dal divieto, disposto dal Decreto singolare, di intrattenere rapporti con fr. Enzo – possano rendere sostenibile la sua permanenza in quel luogo, scorporato ormai “da Bose e dalle sue Fraternità”. Una decisione per noi ardua e carica di sofferenza, ma purtroppo inevitabile e non ulteriormente procrastinabile.
Mentre ringraziamo di cuore quanti hanno reso possibile la vicenda di Bose a Cellole e l’hanno confortata della loro vicinanza e amicizia, a cominciare dal Vescovo di Volterra, mons. Alberto Silvani, confidiamo che la misericordia del Signore si estenda su tutti noi e ci conceda il dono della pace che solo Lui ci può dare.
“Con profonda amarezza la Comunità ha dovuto prendere atto che fr. Enzo non si è recato a Cellole nei tempi indicatigli dal Decreto del Delegato Pontificio dello scorso 4 gennaio.
“……Si trattava di una soluzione messa a punto in questi mesi con l’assenso ribadito per iscritto dallo stesso fr. Enzo e da alcuni fratelli e sorelle disposti a seguirlo per fornirgli tutta l’assistenza necessaria.” Dal sito della comunità di Bose.
Qualcuno dubitava che il monaco laico signor Bianchi avrebbe rispettato qualcosa a suo carico? Dispiace osservare come la comunità sia coinvolta in una “faccenda” così miserevole ad opera del suo fondatore che ormai non merita più alcuna considerazione di sorta malgrado le autorevoli voci giornalistiche che si spremono in scritti a favore di Bianchi sotto dettatura, sotto chissà quale motivazione per schierarsi per il contrario della verità. Speriamo che un giorno, presto, venga definitivamente svelata tutta questa macchinazione.
Oggi 16 febbraio dov’è il signor Bianchi? Si sono lette varie arringhe solo a sua favore, e nessuno che si domanda invece come sia possibile il tollerare un simile sistema di “Capacità di evitare, di sottrarsi alla pena, a qualcosa, con furbizia e abilità”, di eludere la verità giocando con la ingenua credibilità di tante persone. Se si verificherà la effettiva nuova destinazione sarà solo un atto di giustizia, se questo non è avvenuto si spera che ne verrà preso atto nella sua gravità ulteriore.
Scriviamo ancora una volta con desiderio unico di testimonianza, per accogliere, nel nostro piccolo, l’appello del prof. Massimo Recalcati, che si chiede in queste ore dalle colonne de La Stampa “Nessuno si indigna? nessun cristiano alza la sua voce a difendere l’inerme..?”
La nostra voce si alza da molti mesi, innanzi tutto per chiedere chiarezza e trasparenza, nel rispetto di tutte le persone coinvolte; noi non conosciamo quasi nulla della verità della vicenda, dal momento che si è scelto di non motivare ( pur nel rispetto delle vicende personali) la storia che ha portato alle prescrizioni del decreto; sappiamo soltanto che i massimi vertici della Segreteria di Stato vaticana hanno ammesso essere “molto dure” , in una risposta a noi, semplici scriventi che cercavano verità in nome di un lungo passato di frequentazione.
Tuttavia, proprio come frequentatori che tanto hanno ricevuto dai soggiorni a Bose, non riusciamo a credere, che le risorse umane della Comunità si siano così contratte o celate da non aver consentito in questi mesi di girar pagina, solo perché un anziano ex priore ha continuato ad abitare nei dintorni, con la necessità ovvia di contatti per aiuti quotidiani.
Proprio non riusciamo a comprendere (e giustificare) questo atteggiamento che richiede in modo rigido applicazioni sanzionatorie, puntuali e tempestive, senza prevedere contemporaneamente iniziative altrettanto sollecite di incontro e di riconciliazione – e soprattutto di misericordia- nei confronti delle persone che sono state soggetto – oggetto delle decisioni. Dal nostro punto di vista, le misure prese avrebbero potuto essere almeno comprensibili se proiettate in un’ottica di ricostruzione , seppur lenta, di legami e di condivisioni.
Come osserva il prof. Recalcati , anche supponendo gravi trascuratezze nelle relazioni, prese di posizione del padre-fondatore vissute come opprimenti o svalutanti, atteggiamenti vissuti come persecutori (accuse però, purtroppo, sanzionate ma inappellabili) ci sembra del tutto inefficace, ai fini di un cambiamento di rotta, la soluzione di cancellare la presenza non solo di una, ma di più persone con un tratto di penna, chiedendo all’antico padre di allontanarsi in un luogo, sì conosciuto e forse anche in passato amato, ma solo a condizione che oggi questo luogo testimoni “la cacciata”, cancelli anche sul cartello stradale l’evocazione del nome di Bose, accolga come terra bruciata una persona non più desiderata e desiderabile. Una totale dichiarazione di estraneità, una distanza che testimoni la sanzione e consenta ai “sopravvissuti” di trovare nuova pace, solo grazie ad assenze e lontananze: pace di apparenza , non di sostanza , che l’esperienza in questi casi rivela sempre inquieta e instabile.
Qualcuno potrebbe replicare che tutto questo non dovrebbe essere oggetto di un nostro interesse specifico: tuttavia, poiché la misericordia, il perdono, l’accoglienza delle debolezze (le famose tante e differenti fragilità) lo sforzo per superare anche con doloroso impegno le provocazioni sono compiti ineludibili, anche solo per iniziare a definirsi in un contesto di cultura cristiana (e lo abbiamo sentito affermare in tante occasioni a Bose e ancora lo leggiamo negli scritti dei fratelli), ebbene, allora crediamo che tutta questa situazione e sofferenza sia decisamente anche “affar nostro”, nostro come comunità di credenti attonita e amareggiata.
Se la comunità dei fratelli non trova la via della pace, certo non può essere perché nei pressi abita un anziano, che tanti anni fa ha creato le condizioni per cui, oggi, tanti potessero identificarsi come una comunità. Se poi è proprio questa identità specifica, con il suo portato profetico e il suo stile, che si ritiene debba essere cambiata, allora sì, il passato storico, nella persona di chi lo rappresenta, deve essere allontanato, ma sarebbe bene avere il coraggio di dirlo chiaramente. Anche se ormai i fatti parlano da soli. Ora infatti cominciamo tristemente a dar forma al nostro sentire: possiamo essere vicini a chi scrive” non siamo migliori”, ma non possiamo facilmente nutrire empatia per un passaggio di identità fondato sulla convinzione che la nuova via possa generare concordia, nascendo da separazione o da esclusione.
Nella nostre variegate esperienze, anche quando le dinamiche sono difficili e portano molte sofferenze, non abbiamo mai vista efficace la rimozione trasformata in osservanza fedele delle norme e soprattutto ci è stato ribadito che non poteva far parte di un cammino cristiano.
È molto doloroso ora per noi, con questi convincimenti, pensare di essere stati anche noi in qualche modo “allontanati” da Bose; anche noi infatti, ospiti da sempre, abbiamo tante ferite nate da questa vicenda da tentare di sanare. Speravamo di poterlo fare con l’esempio,soprattutto quello di una comunità sofferente ma in crescita, perché senza rimozioni e proiezioni di colpa: a fine estate ci eravamo augurati, per tutti, interventi e segnali di misericordia scambievoli.
Ora l’invito alla preghiera resta ovviamente valido, ma, probabilmente, ci verrà più spontaneo e più facile ricordare principalmente chi a Bose non c’è o non ci sarà più. O forse ci è rimasto davvero, perché l’ha amata nella sua costruzione iniziale, radicale, ricca di speranza, probabilmente meno bisognosa di continui incoraggiamenti, sostegni psicologici, approvazioni e, certamente, di decreti.
Rosamaria Nebiolo , Ennio Tomaselli, Mariagrazia Rossi, Valter Rizzi, Federica Bosso, Gianni Raposio, Lorenzo Raposio, Paola Bosso,
Mario Bonfanti, Simona Martinotti, Carla Lino, Mariangela Zoccola, Luisa Mennuti, Riccardo Morello
Luisa Mennuti , Riccardo Morello
Lungi da me qualunque giudizio, ma la sensazione in casi come questo è che l’obbedienza sia facilmente declinabile in capo agli altri, molto meno in capo a noi stessi. Certi come al solito dell’aiuto dello Spirito.
Quanto furono profetiche le conclusioni di Salvatore Settis nel suo articolo “Bose, il pugnale della curia”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 15 settembre 2020!
“[…] Quando fu colpito dal pugnale di un sicario a Venezia, Paolo Sarpi trovò la forza di sussurrare poche, taglienti parole: Agnosco stilum Romanae curiae, riconosco lo stilum (‘pugnale’, ma anche ‘stile’) della curia romana. Era il 1607, e quello forse poteva essere lo “stile” curiale autorevole e spietato, negli anni in cui si mandava al rogo Giordano Bruno. E oggi? Quale è lo “stile” della Curia in questo 2020 già così ricco di incertezze e di dolore? La vicenda futura di Bose sarà essenziale per capirlo”.
“Basti pensare che i fedeli si sono sorbiti per 30 anni un Enzo Bianchi che diceva che Cristo non era il Figlio di Dio e che la Madonna non era vergine, senza batter ciglio.”
Proprio sul giornale che lei cita c’è questa chiara descrizione di uno dei tanti illuminati momenti di questo signore, se poi vuole romanzare la storia allora è un’altra questione.
https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/26082280/concilio-vaticano-ii-scisma-concordato-unica-via-salvare-chiesa-cattolica-tradizione.html
liberoquotidiano.it
Certo che se lei si informa su Libero potrà capire ben poco di ciò che avviene nella Chiesa e in molti altri ambiti
Enzo Bianchi non meritava un trattamento simile.
Doveva rimanere a Bose nel suo eremo.
Non sono chiari i motivi dell’allontanamento.
E poi che significa “cedendo in comodato d’uso”? Fino a quando? E con che garanzie? Allontanare Enzo Bianchi da Bose è come allontanare una persona anziana da casa sua, costruita con tanti sacrifici nei lunghi anni della sua vita e dopo aver fatto tanto bene a migliaia di persone.
Ma Papa Francesco è proprio al corrente della situazione?
Era tempo, bene. Siete stati fin troppo pazienti e poi generosi nel procurare ancora una sistemazione al fondatore, ma sappiate che Voi tutti siete i fondatori della vostra vita e di quello che Bose è oggi e sarà per chi cerca una vera e unica parola nel vangelo, non inquinata da chi ne ha fatto spesso una rappresentazione spettacolare.