Nel contesto della crisi occidentale si può attingere con frutto alle tradizioni devote. Il caso del Sacro Cuore e l’urgenza della misericordia. Come cambiano le immagini e i significati. Dal Dio credibile al Dio amabile
È possibile partire da un patrimonio carismatico proprio, ormai rimosso dalla pratica diffusa come il Sacro Cuore, e arrivare a incrociare le domande ecclesiali più urgenti e le inquietudini culturali e civili più attuali? Si può ignorare la propria ricchezza spirituale e non trasformare il desiderio di aggiornamento in una rincorsa sempre inadeguata al mutare dei tempi e delle stagioni? Non è un azzardo riprendere anche solo il temine “devozione” per le ambiguità che esso trascina con sé? Sono le domande che hanno accompagnato un singolare momento di riflessione e di esperienza comunitaria per la nostra provincia religiosa dehoniana, nell’appuntamento annuale della settimana formativa (Albino [BG], 29 agosto – 2 settembre). Una trentina di confratelli hanno ripreso, in parte, i riferimenti spirituali della propria tradizione mettendoli alla prova della storia, delle immagini, delle esigenze pastorali contemporanee. Con un esito che vale la pena raccontare.
In sintesi si potrebbe dire così. La fondamentale riscoperta della Scrittura operata dal Vaticano II ha avuto un significativo impatto non solo nella liturgia e nella predicazione, ma, in particolare, nella lectio divina. L’approccio orante al testo sacro garantisce al meglio la sua fecondità e forza. La partecipazione attiva alla liturgia si è distesa in questi decenni per molti rivoli e tentativi, generosi, ma non sempre fecondi. L’insistenza sulla mistagogia, sul vivere personalmente e comunitariamente il mistero celebrato, sul cogliere la sacramentalità dei gesti oltre le preghiere e i testi costituisce la sfida per le nostre comunità. In parallelo la comunicazione della fede, ormai tramontata la cristianità e preso atto della “morte di Dio” nella vita civile, richiede una fede che affianchi all’atto del credere i suoi affetti e i suoi sentimenti. In uno slogan: la lectio sta alla Bibbia come la liturgia alla mistagogia, come la devozione alla fede. Dopo secoli in cui il compito ecclesiale più urgente era quello di rendere “credibile” il Dio della nostra fede, oggi, i tumultuosi cambiamenti della post-modernità impongono la domanda sull’“amabilità” di Dio, sulla sua misericordia in ordine alle molte ferite e ai vissuti spezzati che segnano la vite dei contemporanei.
Scarto storico o archivio vitale?
Veniva ricordato un passaggio di Karl Rahner: «La sensazione di poter semplicemente lasciarsi alle spalle questo passato della nostra Chiesa (la devozione al Sacro Cuore, ndr) come una formula vuota – cosa che, data l’ignavia dei nostri cuori, siamo sin troppo tentati di fare – non prova ancora che lo possiamo fare lecitamente davanti a Dio e davanti alla nostra responsabilità per la continuità della storia della Chiesa. Una sensazione del genere dovrebbe piuttosto riempirci di paura; dovremo domandarci se un simile stanco lasciarsi ricadere in una primitività spirituale, che si richiama erroneamente ai tempi antichi, allorché non esisteva alcune devozione al Cuore di Gesù, non sia appunto qualcosa che può e deve essere superato con decisione e con speranza sul piano spirituale. Dovremmo domandarci se – qualora il passato non debba diventare anche il nostro giudizio – a noi non sia riservata una nuova conoscenza dell’essenza di questa devozione e un suo nuovo esercizio. Non tutto quello che oggi ci affascina come una plausibilità indiscutibile, e viene smerciato e comprato dappertutto così, è sempre solo ciò che rende grandi davanti a Dio e per il futuro della Chiesa. Questo può anche racchiudere tanti elementi pazientemente e faticosamente imparati» (Nuovi Saggi teologici, vol. X, Paoline, Milano 1986, pp. 408-409).
La devozione e la storia
Il paradosso iniziale può essere indicato così: alla tradizionalità non innovativa della dimensione simbolica e di immagine della devozione si contrappone un aggiornamento efficace a livello eucologico e teologico-liturgico. Il patrimonio iconografico delle nostre case religiose è ripetitivo della iniziale dimensione devota di Gesù che mostra il suo cuore con variazioni successive in ordine alla sua regalità (Cristo Re) e con una sostanziale estraneità alle ricerche artistiche e pittoriche di tutto il ’900. Salvo poche eccezioni, come una mostra nazionale sul Sacro Cuore del 1965 e il ciclo musivo della cappella di Capiago-Como (casa di ritiri e accoglienza) ad opera di M. Rupnik (A. Viola). Con la sorpresa di veder “figliare” le immagini tradizionali in quella di Gesù Misericordia, proposta dalla devozione di suor Kowalska. Viceversa, la teologia e l’esperienza spirituale che alimentano il libro di preghiera proprio (A gioia e gloria del Padre, prima ed. 1994; T. Benini) mostra, sia nel corale percorso di maturazione, sia nella sua struttura e riferimenti teologici, un legame assai efficace fra deposito carismatico e orientamenti conciliari (anno liturgico, dimensione biblica, consapevolezza teologica). Le preghiere sono rivolte al Padre (in gran maggioranza, secondo l’indicazione liturgica), e a Gesù, con una attenzione ai destinatari dell’orazione («Chiudere gli occhi di fronte al mondo rende ciechi anche di fronte a Dio», Benedetto XVI) e all’identità dell’offerente, che coincide con il noi comunitario. Quale volto di Dio si accende nel nostro pregare? «Il volto del Dio che dona se stesso e accoglie il dono che noi facciamo a lui» (F. Duci).
La devozione al Sacro Cuore è stato uno dei vettori principali che ha fatto connettere la fede con la dimensione storica nella modernità. L’esito della Gaudium et spes non sarebbe stato possibile senza la dimensione “politica” del Sacro Cuore, anche se rappresenta un suo superamento. In larga parte di indirizzo intransigente e fortemente oppositiva alle conquiste della modernità laica, la devozione non è stata priva di adattabilità e di innovazione quando la dimensione storica e i dati reali hanno imposto interpretazioni diverse (D. Menozzi). Come nella contrapposizione fra il senso apocalittico (Donoso Cortes) e quello storico (De Maistre), nella tensione fra l’intento trionfale e non più solo devoto del Sacro Cuore proposto da p. Ramière a vantaggio dell’Ancien régime e l’apertura della devozione alla democrazia e al superamento delle classi sociali tradizionali proposto da p. L. Dehon; come nella diversa declinazione operata da Benedetto XV a favore della pace e quella di p. A. Gemelli di sostegno alla guerra (1914-1918); come il cambiamento operato da Pio XI per una devozione da baluardo verso il laicismo a difesa contro l’idolatria dello Stato totalitario.
Le immagini parlano e chiedono
A traghettare il Sacro Cuore nel cuore sacro della contemporaneità ha provveduto G. Zanchi. La tradizione mistica spagnola e francese della Riforma cattolica, il dibattito sull’“amore puro” tra Fénelon e Bossuet introducono alla devozione e alle sue immagini che sopravvivono fino all’inizio del ’900, con Charles De Foucauld e George Rouault. Poi la dimensione simbolica del cuore esce dall’appartenenza religiosa e devota per rivestire altri significati come nella Pop Heart del «Cristo piacione» del film Dogma (Kevin Smith 1999) o nella religione di plastica di Pool e Marianela (Buenos Aires 2014), o nell’iconografia dei tatuaggi. Ma anche i grafittari (Street Art) usano il riferimento al cuore per denunciare la sclerocardia del rapporto civile contemporaneo (Bansky) facendo forza sull’elemento simbolico e sacro del cuore, come succede per altri artisti contemporanei: Jeff Koons, Jan Fabre, Damienz Hirst. Si usa la citazione del Sacro Cuore per indicare i nuovi divi o per denunciare la trasformazione della scienza in nuova religione. In particolare, per prendere distanze dal nuovo culto del consumo e del commercio. L’immagine pubblicitaria, spesso raffinatissima, fa del cuore e dell’amore il traino all’adesione all’idolatria del possesso e dell’immagine.
Se per l’Occidente l’immagine del Sacro Cuore, la sua festa liturgica e la pratica popolare hanno trainato la riflessione teologica e magisteriale, per l’Oriente cristiano la rigidità dei canonici estetici (icone), la teologia delle immagini e la loro “sacramentalità” hanno alimentato un’attenzione spirituale ed ecclesiale di grande rilievo in ordine al cuore. Nelle due tradizioni, occidentale e orientale, le immagini giocano un ruolo diverso: l’icona si “scrive” (come la Bibbia), l’immagine si dipinge; la prima vincola il rapporto col mistero, la seconda facilita la preghiera (E. Fogliadini). L’una e l’altra vivono, a titolo diverso, una distanza dai processi artistici contemporanei. Fra le conclusioni di un’ampia disanima, F. Boespflug ha ricordato il tema del volto e il ruolo dell’immagine. «Solo ciò che ha una figura può trasportare e immergere nell’estasi» (H. U. von Balthasar). Il rischio è la perdita di leggibilità dell’arte da parte del popolo cristiano. «Che lo si voglia o no, le immagini religiose sono spesso investite del compito di rappresentare tutta la religione (pars pro toto) e acquistano, nolens volens, la qualità di emblema identitario». Gestire il sequestro del patrimonio figurativo cristiano e la sua “de-possessione” chiedono alla Chiesa e all’arte una nuova alleanza e un reciproco rispetto.
La preghiera del cuore
L’Oriente cristiano ha resistito alla dittature della ragione strumentale, alla presunzione egocentrica e narcisistica, al dominio tecnologico dell’Occidente, aiutandoci a «riscoprire il cuore inteso come amplificazione della ragione, comprensiva di pura coscienza, ma anche di scienza, arte, poesia, religione e conoscenza simbolica» (N. Valentini). Nella teologia come nella letteratura, nella spiritualità come nella filosofia alcuni dei massimi esponenti del cristianesimo orientale hanno riproposto il cuore come fulcro dell’uomo e del credente. Fino a fare della preghiera del cuore l’orizzonte della sequela: «Quando pregate cercate di fare in modo che la vostra preghiera esca dal cuore. La preghiera autentica non è altro che un sospiro del cuore verso Dio» (Teofane il recluso).
L’originale resistenza della devozione al Sacro Cuore rispetto alla razionalizzazione della fede e al paradigma economicista riemerge oggi alla confluenza fra la crisi della coscienza occidentale, la dittatura del tecno-nichilismo e le nuove domande della fede espresse dal magistero di papa Francesco, con la centralità della misericordia nell’immagine di Dio e della religiosità popolare espressiva del sensus fidei. La spiritualità dehoniana, che ha ereditato la devozione al Sacro Cuore all’inizio del suo tramonto, conosce l’insufficienza della “domanda di senso” che ha segnato la civiltà europea e la pertinenza della “domanda di agape-amore” della dignità umana fragile e ferita. Non si tratta di riprendere le forme di una devozione, ma la sua sostanza teologica e spirituale dentro le coordinate conciliari. «Questo patrimonio va oggi rimesso in circolo fra tutti, perché in grado di parlare agli uomini e alla donne del nostro tempo. Per un privilegio storico, qui in Occidente, abbiamo potuto curarci della bontà e del senso. Oggi l’uomo torna a fare l’esperienza sulla carne delle difficoltà e delle ferite che segnano la vita. Occorre dire una prossimità del Dio di Gesù all’umano ferito, segnato e sbagliato» (M. Neri). Quello che sembrava un patrimonio dismesso si rivela più prezioso del previsto. Una ricchezza per tutti.